L’obliqua scalinata che conduce alla fortezza più elevata dell’intera Corsica meridionale

187 scalini e non sentirli. 187 scalini nella notte non potevano fermarli. Neppure con armatura a piastre, spada, mazza ed alabarda in quel fatidico giorno dell’estate del 1420. Nella versione folkloristica della vicenda, i soldati al servizio del Re Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo sbarcarono con il favore delle tenebre al di sotto dell’alta scogliera di Bonifacio. Armati di vanghe, picconi e scalpelli, questi uomini instancabili iniziarono quindi ad aggredire lo sperone carsico al di sotto della città-fortezza, mentre frammenti di pietra grandinavano, letteralmente, verso le acque silenziose del Mediterraneo. E non è del tutto chiaro a dire il vero, in quale maniera un compito di tale entità potesse raggiungere il completamento, con la tecnologia del XV secolo, nel corso di un singolo interludio tra il tramonto e l’alba. Né perché o come i 250 uomini della milizia locale, incaricati di difendere l’alto strapiombo, potessero aver dormito per l’intero estendersi di quel turno. D’altra parte erano ormai cinque mesi che il suo assedio procedeva e come si dice, a mali estremi, estremi rimedi. Questo dovettero pensare, la mattina successiva, gli assaltatori incaricati di salire per quel tunnel e iniziare la conquista, lungamente sofferta, dell’insediamento appartenente alla Repubblica di Genova fin dai tempi dei remoti conflitti tra gli stati medievali italiani. Ma i risvolti della storia, ancora una volta, presero una piega inaspettata e nonostante l’elaborato stratagemma, all’infuriar della battaglia il fato favorì gli italiani. E il re spagnolo non avrebbe mai potuto prendere possesso di quel feudo che, almeno in linea di principio, il papa stesso aveva ascritto a suo nome. Una leggenda con significativi risvolti storici, giacché il conflitto fu reale così come le circostanze, le difficoltà incontrate dal corpo di spedizione del sovrano e l’esito inconcludente della battaglia. Eppure basta usare la deduzione logica, per comprendere come la celebre Escalier du roi d’Aragon non possa semplicemente essere stata edificata in poche ore, impresa che sarebbe risultata particolarmente difficile persino con mezzi e metodologie dell’epoca contemporanea. Il che ribalta in modo letterale, letteralmente all’opposto, la funzione e natura dell’opera ingegneristica in questione. In una maniera che la mera osservazione, ancora una volta, ci permette di ricostruire viste le particolari caratteristiche della cittadella di Bonifacio, con il proprio angusto spazio portuale in un’insenatura, più simile alla foce di un fiume. Tanto che più volte sia Genovesi che i Pisani, e possibilmente gli Spagnoli in epoca successiva, avevano operato per bloccarla con un gruppo di navi o stratagemmi quali semplici catene, barricate e terrapieni di simile concezione. Allorché sarebbe stato niente meno che scontato, andare in cerca di un sentiero d’accesso alternativo per riuscire a rifornire i difensori dello svettante gruppo di abitazioni…

Viene altresì indicato, nella cronistoria locale, come lo scalone in oggetto potrebbe aver avuto un’origine molto antecedente a quella del suo nome attuale. Essendo riferibile alle operazioni ingegneristiche dei monaci del convento di Saint-Julien, istituzione religiosa del XIII secolo, fondata nel luogo dove si ritiene che San Francesco in persona avesse trovato rifugio, nel remoto anno del 1215, due soli anni dopo che aveva rinunciato ai vizi del mondo convertendosi alla religione cristiana. raggiungendo quello stesso luogo isolano dove i suoi seguaci, successivamente, avrebbero trovato un modo per garantire, da quel momento e per molti anni a venire, l’approvvigionamento d’acqua per gli abitanti della scogliera di Bonifacio. Trattasi effettivamente dell’anomalia geologica del pozzo di San Bartolomeo, una grotta sottostante la scogliera ove l’acqua percolata attraverso le rocce carsiche della superficie, nei millenni trascorsi, avevano creato un lago sotterraneo. Ricolmo di acqua soltanto parzialmente salata e che poteva dunque trovare impiego nella vita di tutti i giorni, salvo trovare un modo idoneo per varcare la barriera dell’antistante strapiombo. Da qui l’idea, possibilmente elaborata e costruita nel corso di svariati anni, di scalpellare la roccia ricavando il tunnel e i relativi scalini, destinati in seguito ad avere un ruolo di primaria importanza nella difesa dell’insediamento fortificato. Riuscite ad immaginare a tal proposito, qualcosa di più importante di una fonte d’acqua sicura e difendibile? Nonché un punto d’approdo alternativo, da cui inviare messaggi, ricevere rinforzi o vivande utili a prolungare il conflitto da oltre lo spazio sicuro dei propri involati bastioni… Ed anche se la scala avrebbe potuto, idealmente, essere bloccata e distrutta facilmente dagli attaccanti, va pur detto che prima dell’Era delle informazioni non ne avrebbero necessariamente conosciuto l’esistenza. Senza contare come anche poche settimane o mesi di utilizzo senza restrizioni della scala avrebbero potuto costituire già un vantaggio importante.
Per quanto concerne dunque l’utilizzo del pozzo successivamente allo storico assedio del XV secolo, abbiamo poche notizie fino agli albori dell’epoca moderna. Quando tra il 1852 e ’56 gli ingegneri militari francesi, la cui nazione controllava l’intera Corsica ormai da quasi un secolo, effettuarono un’approfondita prospezione all’interno del pozzo di San Bartolomeo. Ampliandolo ed approfondendolo fino a 60 metri di profondità, infastidendo non poco i monaci al di sopra che temevano le opere potessero minacciare la solidità del loro convento. Ciò detto, l’acqua semi-salata risultante fu sfruttata estensivamente nelle decadi a seguire, per mansioni tra cui la cucina, la pulizia dei locali, l’annaffiatura degli alberi e il rifornimento della caserma. Alcuni disegni coévi giunti fino a noi mostrano persino un sofisticato sistema di pescaggio meccanico alimentato da una pala eolica, la cui effettiva realizzazione resta un’incertezza storica di difficile accertamento.

Costituendo oggi un’attrazione turistica di rilievo, la scalinata del Re d’Aragona vede svariate migliaia di visitatori a stagione, interessati alla notevole vista, la rilevanza storica e l’insolita natura del monumento. Esperienza consigliata solo a chi è in buona forma fisica e non soffre di vertigini, la discesa dei 187 scalini prevede il pagamento di un (economico) biglietto, che includerebbe in base al sito ufficiale il noleggio di un elmetto da cantiere per sicurezza. Il che potrebbe costituire un’informazione ormai desueta o in alternativa, molto recente, visto come in nessuno dei video delle visite disponibili online sembri comparire una singola persona dotata dell’indumento precauzionale in questione. Per un’esperienza da inserire, idealmente, nella visita estensiva dei molti luoghi storici e l’atipica configurazione urbanistica di Bonifacio, forse una delle cittadelle più caratteristiche e distintive dell’intero Mediterraneo Occidentale. A patto di non avere al seguito cani o bambini al di sotto dei tre anni, cui l’accesso al ripido sentiero resta comprensibilmente vietato.

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