Affascinante video mostra il rischioso affollamento dell’orbita terrestre

Dimostrare le caratteristiche di un moderno videogame su Internet non è difficile, come in molti potrebbero testimoniare in questi tempi di YouTube, Instagram e Twitch: tutto ciò che occorre fare, in fondo, è tentare di trasmettere il divertimento e le sensazioni che si provano durante il suo utilizzo. Una portata totalmente differente, d’altra parte, avrebbe l’opera di chi a una simile esperienza mediatica intenda aggiungere qualcosa d’altro, una trattazione scientifica, un approfondimento storico o documentaristico di qualche tipo. Come fatto, in un esempio alquanto raro, dal famoso Scott Manley-alias-The Astronogamer, astrofisico di origini scozzesi che risiede e lavora in California, a quanto pare come consulente privato per una qualche azienda attiva nel settore. Per lo meno fino a quando, giunta la sera, si applica ogni giorno nel produrre contenuti su Internet, dedicati alle opere d’ingegno interattive, spesso di natura ludica ed in qualche caso invece, di sua personale concezione e messa in opera a vantaggio dei fruitori. Vedi il caso di quest’ultima creazione intitolata “If you could see every satellite […]” ovvero in termini esplicativi e nella nostra lingua, nient’altro che un video con visuale mobile a 360°, col punto di vista situato in territorio nord-americano, che permette di osservare il cielo notturno ed in aggiunta ad esso, ciascun singolo oggetto artificiale che in effetti lo percorre, pur essendo normalmente troppo piccolo per esser visto ad occhio nudo.E sia chiaro che “nient’altro” si fa per dire, data la mole impressionante di lavoro necessaria per giungere alla pubblicazione di una simile sequenza di appena 4 minuti e mezzo, creata consultando ben tre diversi archivi pubblici dell’attuale situazione vigente lassù, e applicazione delle proprie conoscenze pregresse su quali siano, effettivamente, gli aspetti e le tipologie di satelliti a cui dare maggior rilievo. Il risultato è, per usare un solo termine, semplicemente… Impressionante. Mentre l’autore ci esorta a trascinare con il nostro mouse la visuale, infatti, appaiono per primi i più ingombranti tra i satelliti meteorologici e per la navigazione in GPS in orbita geostazionaria, situati in una singola fascia istantaneamente riconoscibile che s’interrompe, in modo piuttosto chiaro, nel punto in cui ha inizio l’ininterrotta e umida distesa dell’Oceano Pacifico. Quindi nel momento forse più scioccante dell’intero video, Manley “accende” all’improvviso le letterali dozzine di satelliti situati in orbita terrestre bassa (LEO) appartenenti alle diverse costellazioni di dispositivi per le telecomunicazioni europei, russi e americani, oltre a dispositivi usati per numerosi esperimenti scientifici e poi alquanto prevedibilmente, lasciati lì ad esaurire la propria forza centrifuga residua, dopo il passaggio di parecchie decadi a venire. Il risultato è questo scenario in straordinario e continuo movimento, con gli oggetti che saettano da una parte all’altra del cielo notturno, tanto che soltanto per un miracolo del caso e della fortuna, sembra riescano a evitare di scontrarsi da un momento all’altro. La plurima reazione dei commentatori al video, dunque, è comprensibile: sgomento, perplessità, dubbio. Quanto effettivamente, un simile scenario corrisponde a verità? In fondo è chiaro che i singoli dispositivi, al fine di renderli visibili a occhio nudo, sono stati sovradimensionati in maniera particolarmente apprezzabile e lo spazio d’altra parte, come lascia intendere il suo stesso nome, risulta essere decisamente… “Spazioso”. Ma benché ciascuna di queste ultime due rassicuranti osservazioni corrisponda formalmente a verità, altrettanto rilevante è una questione secondaria, non discussa nel corso del qui presente video. Una volta presa in considerazione la quale, nei fatti, la situazione potrebbe risultare persino PEGGIORE…

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L’incredibile trasformazione di uno stadio nel giro di sole 67 ore

Un timelapse come questo, orgogliosamente pubblicato sul canale dello stadio più importante d’Olanda, sono pronto a scommettere che non l’avevate mai visto. Pubblicato l’estate scorsa ma riferita ad un evento ancora precedente, durante il quale un tale ambiente venne utilizzato, nello spazio di soli tre giorni, per una tappa del tour-revival degli U2 Joshua Tree e un’importante partita della Champions League, finita in un pareggio 2-2 tra le più celebri squadre di Nizza e la città locale. Può in effetti sussistere la più perfetta comunione d’intenti, l’obiettivo di trovarsi assieme un pomeriggio, piuttosto che a tarda sera, con lo scopo di ridare vita ad amicizie ormai dimenticate o rivivere i bei tempi della scuola o i campi di calcetto pre-adolescenziali… Eppure non è facile, secondo le precise regole del calendario, riuscire a mettere tutti d’accordo sulle condizioni di un simile incontro. Come, quando e soprattutto in quale luogo: tutti assieme al ristorante? Magari al cinema? Presso un parco pubblico del centro cittadino? Impegni di lavoro o familiari, problemi di viabilità, disponibilità di mezzi e circostanze, contribuiscono ad allontanare un simile raduno. E immaginate adesso di dover fare lo stesso per un gruppo di 68.000 anime distinte, ciascuna con le proprie preferenze, desideri e priorità. Per lungo tempo gli organizzatori per definizione, quel tipo di figure in grado di fornire grosse prospettive di guadagno, hanno cercato di pianificare negli stadi la tipologia d’eventi in grado di mettere tutti d’accordo, o quasi. Ma non c’è stato verso: c’è chi di sport, proprio non s’interessa. Ed altri che aborriscono i concerti, in quanto espressione cacofonica di un aurale susseguirsi d’emozioni, ascoltabile senza fatica dagli altoparlanti del proprio sistema Hi-Fi. Gretti gli uni, privi di ambizione i secondi, potrebbero chiamarsi vicendevolmente! Se non fosse che le due visioni possono coesistere, dietro un’adeguato impegno di tangenti metodi risolutivi.
O almeno, possono in un luogo come il Johan Cruyff col suo tetto apribile a comando, al secolo Amsterdam ArenA, principale e più moderno impianto sportivo della città nonché residenza dell’AFC Ajax, squadra dalla lunga storia e ancor più estesa lista di rivalità sportive. Terminato di costruire nell’ormai remoto 1996 a un conveniente costo equivalente a 140 milioni di euro e rinominato giusto lo scorso anno in onore del leggendario calciatore e coach Johan Cruyff (1947-2016) tra i principali fautori della corrente nota come Total Football, secondo cui un giocatore dovrebbe essere in grado di ricoprire qualsiasi ruolo nel proprio team. Stadio concepito sin da principio sulla base di un concetto sopra ogni altro, anacronistico a quei tempi: l’assoluta versatilità. Il che voleva dire, a partire dall’inaugurazione condotta il 14 agosto di quell’anno con la partecipazione della regina Beatrice in persona, che potesse transitare dallo stato di un poetico balletto con navi bidimensionali trascinate sul colossale dipinto orizzontale De Zee (Il Mare: 80 x 126 metri, tutt’ora un record senza pari) all’ordinata e semi-perfetta erba per il match inaugurale tra la squadra di casa e il Milan…Che fu vinto 3-0 da quest’ultimo, ma questa è tutta un’altra storia. Ciò mediante una serie di particolari accorgimenti, tra cui l’impiego di uno speciale sistema di pavimentazione rimovibile d’alluminio nota per l’appunto come ArenA panels, semplici e accessibili vie di fuga laterali per i materiali di supporto e soprattutto, l’impiego di organizzazioni e fornitori sempre pronti a intervenire, con il minimo preavviso, per assecondare i desideri dell’azienda di gestione Stadion Amsterdam N.V…

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Slanciata balenottera, divoratrice delle moltitudini senza un domani

Devastatrice senza nome dei pascoli color cobalto negli abissi sconosciuti, grande busta che si gonfia, per fagocitare l’acqua ed il suo contenuto brulicante, di innumerevoli presenze nuotatrici. Quando chiude finalmente quella bocca, al tramonto del distante Sole, nel suo stomaco soggiornano 70, forse 80 milioni di creature. La cui dimensione infinitesimale non è stata sufficiente, per nasconderle alla grande fame del più grande predatore mai esistito sul pianeta Terra, mostri della Preistoria inclusi. In molti hanno guardato, per restare affascinati, la maestosa forma della Balaenoptera musculus (raro caso di umorismo tassonomico: il nome può significare “topolino”) ma quanti in precedenza hanno avuto veramente modo di acquisire, grazie alla tecnologia dell’alta definizione, l’effettiva grazia ed eleganza di un simile titano… Che lungi da trovarsi caratterizzato dalla forma tozza, e qualche volta non propriamente aggraziata di alcune sue parenti, prossime o distanti, rappresenta la più ragionevole approssimazione di una nave spaziale, entità in merito a quale condivide forma, capacità e in taluni casi, anche le dimensioni. C’è del vero a voler essere pignoli, pure nell’affermazione che vedrebbe un tale essere raggiungere le dimensioni impressionati di oltre 30 metri di lunghezza; benché un tal caso, contrariamente all’immaginazione popolare, risulti essere nei fatti alquanto raro. Laddove la media tende ad aggirarsi tra i 20-25 metri, per almeno due delle tre sottospecie riconosciute (B. m. musculus e B. m. intermedia) ed eccettuata la balenottera azzurra pigmea (B. m. brevicauda) occasionale abitante dell’Oceano Indiano.
Altri aspetti, invece, risultano essere perfettamente condivisi. Tra cui il metodo per cui si spingono impiegando la possente coda (principale musculus cui allude il latinismo di Linneo) ed il timone comparativamente piccolo della pinna dorsale, talvolta non più lunga di 30-40 cm. Il che non impedisce, come osservabile dal video riportato in apertura dal programma della BBC con voce dell’irrinunciabile Attenborough del 2015 “The Hunt: Hunger at Sea” alla massiccia presenza dei mari di dirigere la propria sagoma imponente con l’eccezionale precisione, ed attenzione, necessaria ad incrociare il transito dei branchi di crostacei, soprattutto krill e cobepodi, che costituiscono la parte principale della propria dieta. Benché allo spalancarsi delle fauci plissettate, ella non manchi d’ingurgitare anche l’occasionale pesce, mollusco o altra malcapitata creatura che dovesse trovarsi a passare di lì. Ma mai maggiore, nelle dimensioni, del prototipico pallone da spiaggia, la cui dimensione è stata utilizzata per descrivere la dimensione dell’esofago di un tale monstrum dei mari. Tutt’altra storia rispetto alle presunte dimensioni delle sue arterie, all’interno delle quali, si usa dire: “Potrebbe nuotare un bambino!” Si spera per sua scelta, diversamente dall’esperienza incredibile vissuta dal più celebre burattino italiano…

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Inseguitore di tempeste scopre nuovo fenomeno atmosferico in Kansas

Luminosi punti di riferimento nel cielo notturno, gli spiriti divini appaiono e scompaiono a comando, mentre tentano di prevalere sul consorzio dei dominatori del cosmo. Mentre umile spettatore di tutto questo, l’uomo può soltanto volgere lo sguardo in alto, assistere e se propenso, tentare ipotesi in materia. Umile… Timido, dimesso, atterrito? Qualche volta, ma non sempre (forse, un tempo) e certamente non nel caso di Pecos Hank, uno dei più famosi praticanti di YouTube di quell’approccio che ogni anno, al cominciare del periodo centro-americano stagionale in cui s’inseguono tornado, supercelle e altre caotiche battaglie della meteorologia, si mettono al volante e iniziano a viaggiare, telecamera al seguito, per documentare a vantaggio d’ognuno la furia incontenibile della natura. Ecco, dunque, un qualche cosa di profondamente diverso. Il nostro amico divulgatore si trovava infatti lo scorso 4 giugno verso gli estremi confini settentrionali del grande Texas, durante lo svolgersi di una delle sue missioni di ricerca, quando ha scorto sulla distanza il formarsi di un vasto sistema temporalesco. Volgendo lo sguardo e l’obiettivo ad est, quindi, verso il punto in cui la mappa degli Stati nordamericani vede soltanto una sottile striscia d’Oklahoma dividere “il Gigante” dal luogo in cui Dorothy trovò le scarpette rosse nell’opera letteraria di L. Frank Baum “Il Mago di Oz”, ottenne proprio quello che tanto lungamente, aveva desiderato: l’occasione di riprendere in alta definizione il verificarsi del particolare accumulo di plasma nella troposfera noto come spettro rosso, capace di presentarsi come netta sagoma di una serie di enormi figure vagamente antropomorfe al di sopra delle nubi del temporale. Una contingenza, questa, in realtà ampiamente documentata fin dal 1989 grazie a scienziati dell’Università del Minnesota, mentre lo stesso non può essere detto per quello che avrebbe seguito subito dopo.
“Riuscite a vederlo? Aguzzate lo sguardo. È come una sorta di bagliore verde scuro…” Afferma il popolare personaggio del Web, prima di assisterci con un fermo immagine e la più opportuna zoomata immaginabile a tale scopo. Qualcuno nei commenti consiglia anche di alzare la luminosità del monitor. Finché sotto gli occhi di tutti, il misterioso fantasma atmosferico indubbiamente appare. Ora, l’ultra-razionale Mr. Hank non tenta affatto di dargli un nome, né si lancia in entusiastiche tirate sulla natura inusitata di quanto apparso dinnanzi a due attente pupille ed al tempo stesso, l’oggettivo sensore della videocamera facente parte della sua dotazione. Mentre la sua reazione consiste, essenzialmente, nel chiedere riscontro ad altri praticanti della stessa scienza largamente empirica, del produrre vagheggianti ipotesi online. Alcune delle quali, tanto per cambiare, capaci di veicolare notevoli fattori d’interesse…

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