L’incredibile trasformazione di uno stadio nel giro di sole 67 ore

Un timelapse come questo, orgogliosamente pubblicato sul canale dello stadio più importante d’Olanda, sono pronto a scommettere che non l’avevate mai visto. Pubblicato l’estate scorsa ma riferita ad un evento ancora precedente, durante il quale un tale ambiente venne utilizzato, nello spazio di soli tre giorni, per una tappa del tour-revival degli U2 Joshua Tree e un’importante partita della Champions League, finita in un pareggio 2-2 tra le più celebri squadre di Nizza e la città locale. Può in effetti sussistere la più perfetta comunione d’intenti, l’obiettivo di trovarsi assieme un pomeriggio, piuttosto che a tarda sera, con lo scopo di ridare vita ad amicizie ormai dimenticate o rivivere i bei tempi della scuola o i campi di calcetto pre-adolescenziali… Eppure non è facile, secondo le precise regole del calendario, riuscire a mettere tutti d’accordo sulle condizioni di un simile incontro. Come, quando e soprattutto in quale luogo: tutti assieme al ristorante? Magari al cinema? Presso un parco pubblico del centro cittadino? Impegni di lavoro o familiari, problemi di viabilità, disponibilità di mezzi e circostanze, contribuiscono ad allontanare un simile raduno. E immaginate adesso di dover fare lo stesso per un gruppo di 68.000 anime distinte, ciascuna con le proprie preferenze, desideri e priorità. Per lungo tempo gli organizzatori per definizione, quel tipo di figure in grado di fornire grosse prospettive di guadagno, hanno cercato di pianificare negli stadi la tipologia d’eventi in grado di mettere tutti d’accordo, o quasi. Ma non c’è stato verso: c’è chi di sport, proprio non s’interessa. Ed altri che aborriscono i concerti, in quanto espressione cacofonica di un aurale susseguirsi d’emozioni, ascoltabile senza fatica dagli altoparlanti del proprio sistema Hi-Fi. Gretti gli uni, privi di ambizione i secondi, potrebbero chiamarsi vicendevolmente! Se non fosse che le due visioni possono coesistere, dietro un’adeguato impegno di tangenti metodi risolutivi.
O almeno, possono in un luogo come il Johan Cruyff col suo tetto apribile a comando, al secolo Amsterdam ArenA, principale e più moderno impianto sportivo della città nonché residenza dell’AFC Ajax, squadra dalla lunga storia e ancor più estesa lista di rivalità sportive. Terminato di costruire nell’ormai remoto 1996 a un conveniente costo equivalente a 140 milioni di euro e rinominato giusto lo scorso anno in onore del leggendario calciatore e coach Johan Cruyff (1947-2016) tra i principali fautori della corrente nota come Total Football, secondo cui un giocatore dovrebbe essere in grado di ricoprire qualsiasi ruolo nel proprio team. Stadio concepito sin da principio sulla base di un concetto sopra ogni altro, anacronistico a quei tempi: l’assoluta versatilità. Il che voleva dire, a partire dall’inaugurazione condotta il 14 agosto di quell’anno con la partecipazione della regina Beatrice in persona, che potesse transitare dallo stato di un poetico balletto con navi bidimensionali trascinate sul colossale dipinto orizzontale De Zee (Il Mare: 80 x 126 metri, tutt’ora un record senza pari) all’ordinata e semi-perfetta erba per il match inaugurale tra la squadra di casa e il Milan…Che fu vinto 3-0 da quest’ultimo, ma questa è tutta un’altra storia. Ciò mediante una serie di particolari accorgimenti, tra cui l’impiego di uno speciale sistema di pavimentazione rimovibile d’alluminio nota per l’appunto come ArenA panels, semplici e accessibili vie di fuga laterali per i materiali di supporto e soprattutto, l’impiego di organizzazioni e fornitori sempre pronti a intervenire, con il minimo preavviso, per assecondare i desideri dell’azienda di gestione Stadion Amsterdam N.V…

Osservate, per comparazione, la praticità garantita da uno stadio da Hockey, come la Bridgestone Arena di Nashville. Usato, nel corso di una singola settimana, per due partite, un concerto e due rodei: dopo tutto, una volta ricoperto e mantenuto sufficientemente freddo, che cosa volete che possa mai succedere a 61 x 26 metri di gelido ghiaccio americano?

Il coinvolgente video dalla progressione accelerata, in realtà montato dall’autore e regista Jorrit Lousberg (alias Light at Work Photography) con le rapide zoomate e i cambi d’inquadratura di un vero e proprio hyper-lapse, mostra uno dopo l’altro i rapidi passaggi necessari per portare a termine la succitata mansione. Connotati da una pratica barra di progresso sottostante, che al suo coronamento mostra quanto siano straordinariamente precisi e severi i margini di tolleranza che devono essere assolutamente rispettati, pena un disastro totalmente privo di precedenti. Si comincia con la rimozione sistematica del palco e gli apparati scenografici della produzione del concerto, tra cui appunto l’iconico “albero” situato dietro l’area centrale nello show degli U2. Maneggiati mediante l’impiego di tre gru mobili e caricati da una squadra di circa 150 persone su 54 camion, pronti a partire verso la successiva destinazione del tour. Cui fa seguito la rimozione dei sopra descritti pannelli d’alluminio dal peso unitario di 175 Kg, nel giro di 8 ore e con l’aiuto di 6 carrelli elevatori. Ma ovviamente, il tipo di usura a cui l’erba sottostante può essere sottoposta da una breve cerimonia inaugurale non è nulla, rispetto al reiterato calpestio ad opera di qualche decina di migliaia di persone, ragion per cui l’erba dovrà essere sostituita. Siamo quindi a 16 ore dal momento in cui l’ultima nota riecheggiò tra gli spalti momentaneamente deserti, quando un trio di performanti trattori inizia a preparare la terra sottostante per la disposizione di una nuova superficie erbosa, che dovrà essere consegnata entro la ventesima ora dalla compagnia locale De Hendriks Graszoden: oltre 60 rotoli pronti all’uso di 12 x 2,4 metri, composti al 90% di erba naturale (e per il resto, presumibilmente, l’ormai classico polietilene di rinforzo). Si tratta dell’operazione più lunga e complessa, capace di occupare la maggior parte delle ore rimanenti, tra dispiegamento, appianamento delle discontinuità mediante macchinari specifici ed essenziale pareggiamento mediante l’impiego di un tagliarbe, condotto in parallelo da una singola figura armata di apparecchiatura a spinta manuale. Questo assai probabilmente al fine di garantire la massima precisione, come quella dimostrata dal suo collega, principale artista solitario della situazione, incaricato di tracciare le linee bianche di gioco, senza nessun altro tipo d’aiuto che la sua ineccepibile esperienza e notevole attenzione ai dettagli.
Lungi dall’essere l’opera complessiva di tanti singoli dalle specializzazioni differenti, l’impresa di trasformazione dello stadio di Amsterdam si presenta tuttavia nel suo complesso come l’espressione più perfetta della più totale collaborazione, tra singoli componenti di ciascuna squadra e la completa collettività di queste, dietro le regole dettate da un’intento comune straordinariamente apparente. Niente differenze politiche, preferenze metodologiche o distinzioni di qualifiche lavorative: non c’è semplicemente tempo per simili facezie. Quando l’umana propensione all’individualismo viene rimpiazzata, per almeno un paio di albe catartiche, dalla necessità collettiva di realizzare quanto ci si era prefissati.

La soluzione del campo erboso scorrevole, qui impiegata con successo presso dalla Veltins Arena di Gelsenkirchen in Germania, è considerato il metodo preferibile per uno stadio multi-ruolo, purché ne sussista il requisito principale: uno spazio, all’esterno, che consenta di mettere in salvo in prato.

L’operazione si conclude quindi alla quarantaduesima ora (un numero… Carico di sottintesi) lasciando il tempo per correggere eventuali incidenti di percorso, disporre le strisce al LED pubblicitarie a bordo campo e soprattutto quello necessario affinché la squadra ospite, priva di un capo di allenamento, possa usare la propria metà dell’area di gioco per gli allenamenti pre-partita. Manca un ultimo ciclo solare, a questo punto, prima che l’alba sorga sull’incontro al termine di un simile tragitto, che finirà, per dovere di cronaca, con un pareggio Ajax-Nizza 2-2.
Quale costo, dunque, possiamo ipotizzare sia stato pagato per tutto questo? Difficile azzardare un’ipotesi precisa, benché con circa 250 impiegati, per lo più assunti dietro contratti temporanei per un periodo di due giorni, 12 ore di lavoro ciascuno, potremmo trovarci sulle 6.000 ore complessive. Ipotizzando una spesa, contributi ed assicurazione inclusi, di 30 euro a testa, siamo già sui 180.000 euro, e questo senza includere la paga delle figure manageriali o i costi necessari per il noleggio delle macchine, l’acquisto dell’erba e gli altri materiali. 250.000, quindi? 300.000? Nulla di così spropositato, quando si considera la capienza massima dei 68.000 ospiti paganti in occasione del concerto degli U2, che moltiplicati per una stima conservativa di 50 euro a biglietto, portano un guadagno 3,4 milioni complessivi. Un vero affare… Per gli amministratori, la band e l’economia locale nel suo complesso.
Ma che dire, invece, del dispendio energetico e l’impatto avuto sull’ambiente? Ancora una volta, siamo costretti a dirlo… Questa è tutta un’altra storia. Che potremmo forse ridimensionare, o riqualificare, sulla base del valore intangibile dei “ricordi creati” o le “esperienze vissute” grazie a tali e tante canzoni concesse dallo show-business del mercato culturale globale. Almeno, finché sarà possibile goderne… A vantaggio delle prossime, o non tanto prossime, future generazioni.

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