Nella sera dello scorso lunedì 10 agosto, una strana serie di segnali contrastanti hanno iniziato ad essere registrati dai sensori di marea sul lago Michigan, tanto da far pensare agli enti preposti a valutarne la lettura che qualcosa, da qualche parte, avesse cessato di funzionare correttamente. Con un grafico paragonabile a quello di un terremoto, per un periodo di alcuni giorni, la linea costiera del terzo lago statunitense per estensione iniziò ad arretrare, avanzare, arretrare di nuovo, con un tempo d’oscillazione di pochissime ore; in altri termini sembrava, dal punto di vista pratico, che un gigantesco bambino stesse sbattendo le mani e i piedi all’interno di una colossale vasca da bagno, influenzando per gioco il livello dell’acqua a suo piacimento. Una visione o descrizione metaforica, quest’ultima, tutt’altro che probabile nei fatti eppure valida per dar l’idea di quanto la furia risvegliata della natura, ancora una volta, stava per scatenare sull’eternamente in bilico regione continentale dell’intero Midwest statunitense: una catastrofe ventosa dalle proporzioni sconvolgenti. Riassunta in una parola, derecho, che non è del tipo frequentemente udito in questi giorni al telegiornale, per ragioni a conti fatti alquanto semplici da interpretare… Laddove le migliaia di vittime quotidiane da Covid-19, anche all’altro lato dell’Atlantico, hanno relegato questo disastro all’ultimo servizio dei telegiornali o magari neanche lì, con un conto delle vittime pari a “soltanto” due allo stato attuale ed “appena” 14 feriti, per lo più non particolarmente gravi. Ma esiste più di un modo, per subire i danni collettivi di un disastro, come sanno molto bene i possessori di terreno in questa fondamentale riserva agricola del Nordamerica, già pesantemente colpita nel corso dell’anno dalla lunga sequenza di dazi generati nella guerra dei commerci con la Cina e che adesso, a fronte di una situazione già complessa, stanno affrontando forse il periodo più drammatico della loro esistenza: granai divelti, magazzini distrutti, abitazioni fatte a pezzi e soprattutto milioni di ettari del raccolto letteralmente spazzati via, con incalcolabili tonnellate di mais strappato alla radice, poco prima di essere disseminato ancora non maturo attraverso le verdeggianti valli di Iowa, Ohio, Utah e Wyoming.
Già perché il derecho, per sua natura non si avvolge attorno agli edifici torcendone gli elementi architettonici e scagliandoli in tutte le direzioni, come avviene per la sua più celebre e frequente controparte, il tornado, bensì dando ragion d’essere al suo nome preso in prestito dalla lingua spagnola soffia in una maniera “diritta”, che poi risulta essere, da queste parti, orientato verso Sud-Est nel tentativo disperato di raggiungere l’equatore. Il che rende una tale tempesta paradossalmente meno pericolosa per gli umani che possono tentare di trovar rifugio in tempo utile, benché non faccia nulla per salvare le proprietà ed inoltre risulti, con venti misurabili fino alla velocità impressionante di 58 m/s, capace d’infierire su queste ultime con enfasi particolarmente degna di nota. Immaginate, a tal proposito, una lunga linea di temporali che si sposta in linea retta, attraversando con un ritmo accelerato l’intero territorio di una serie di comuni e piantagioni. Ciascuno dei quali sufficientemente rapido da permanere sopra di essi per un tempo pari ad appena 20-30 minuti, ma ben presto seguito dall’anello successivo della catena per un tempo complessivo che nelle regioni più colpite può aggirarsi fino alle 8 ore. Questo, in parole povere, è il derecho, che per fortuna risultando essere piuttosto raro si realizza una, al massimo due volte l’anno, benché sia particolarmente difficile ignorare o dimenticare gli effetti cataclisimici del suo passaggio. Particolarmente gravi, neanche a dirlo, nella presente situazione di un così drammatico 2020…
meteorologia
NASCAR e la pioggia, circostanze inconciliabili. Finché “loro” non cominciano a soffiare
Una struttura dalla forma grossolana di un ovale, capace di contenere un numero variabile tra i 100.000 e 168.000 spettatori, con il tutto esaurito raggiunto in media almeno una volta per singola stagione sportiva. Questo soprattutto è la NASCAR, serie automobilistica prettamente statunitense nata negli anni ’20 e ’30, come competizione tra le vetture modificate dei contrabbandieri di whisky ed altri alcolici durante l’era del proibizionismo, create originariamente per sfuggire alla polizia tra i monti degli Appalachi. Oggi il singolo evento, in quest’epoca d’intrattenimento per ogni gusto e predisposizione, maggiormente in grado di ricreare l’atmosfera delle bighe al Circo Massimo di Roma, portando ad incontrarsi, e fare il tifo, un’intera comunità ansiosa di entrare a farne parte. Sia pur soltanto per un esplosivo, caotico, roboante pomeriggio ed è proprio questo a costituire, più di ogni altra circostanza, un notevole problema in potenza. Poiché nel momento in cui le cose cambiano, per uno dei più classici eventi naturali, basta un attimo e l’evento può essere immediatamente cancellato. Pensate che la pioggia è talmente deleteria, per queste gare, che il regolamento prevede l’immediata interruzione con la possibilità di dichiarare un vincitore, qualora sia stato percorso almeno il 50% dei giri, oppure rinvio a data da destinarsi con conseguente restituzione del prezzo dei biglietti. Il che ha portato nel corso degli anni a non pochi significativi problemi: chi può dire infatti quanti dei fan accorsi sugli spalti, spesso percorrendo lunghe trasferte per il weekend, siano poi disposti a ritornare nel corso della settimana… E quali altri momenti sportivi debbano essere spostati dal palinsesto delle televisioni, in forza del pubblico interesse nei confronti di un mondo tanto popolare e talvolta, soggetto ad imprevedibili ritardi. Il principio operativo della NASCAR ha del resto previsto, fin dall’inizio della sua epoca contemporanea, l’utilizzo di potenti turbine a getto d’aria montate su autoveicoli per l’asciugatura della pista nei tempi più brevi possibili, con significativo dispendio di mezzi e carburante al fine di minimizzare, quanto meno, i tempi di attesa successivi all’esaurirsi dei rovesci di breve durata. Ma è soltanto a partire dal 2013 che Steve O’Donnell, vice direttore del campionato presentò alla stampa un approccio effettivamente creato ad-hoc al fine di risolvere l’antico ed umido problema. Mediante l’impiego del ponderoso convoglio di veicoli denominato Air Titan, frutto di un lungo percorso di Ricerca & Sviluppo fortemente voluto dall’allora capo esecutivo delle operazioni Brian France. Il 24 febbraio di quell’anno a Daytona ovvero la più prestigiosa di tutte le gare di campionato, vennero fatti sfilare per la prima volta, benché la necessità d’impiego effettivo avrebbe, fortunatamente, mancato di palesarsi in tale occasione: nient’altro che un trio di camion con enormi compressori della Pullair, connessi mediante dei lunghi tubi ad altrettanti pick-up dotati di un apparato retroattivo con la forma non dissimile da quella di un aratro. Con al suo interno, tuttavia, una sottile fessura finalizzata ad incrementare, secondo il principio di Bernoulli, la rapidità in fase d’uscita di un continuativo ed insistente getto d’aria. Per spingere a lato, con enfasi risolutiva, l’annoso e inevitabile accumulo d’acqua piovana…
L’astronomica battaglia combattuta nei cieli medievali di Norimberga

Lo stimato stampatore Hans Glaser tirò a se la leva della pressa, azionando il meccanismo a vite che permise di sollevare la piastra coi caratteri mobili e l’illustrazione intagliata nel legno. Dopo un giro completo della sua officina, finalizzato a far passare i 15 minuti di rito, sollevò orgogliosamente il prototipo del suo nuovo Breites Blatt edizione di Aprile 1561, grossomodo quello che oggi chiameremmo un foglio di giornale quotidiano. L’effetto era notevole: dietro e attorno l’immagine espressiva di un Sole pensieroso, campeggiavano le precise forme di cui aveva sentito parlare gli abitanti del principale centro abitato commerciale della Bavaria, quella stessa Norimberga che fino a 10 anni prima, era stato il centro dei disordini e la guerra civile per la rivoluzione protestante contro il governo cattolico di Carlo V. Più volte assediata e bombardata, come lo sarebbe stato ancora in quattro secoli dopo in maniera ancor più tragica e devastante. Ciò detto, prevedibilmente, ai suoi abitanti ormai poco importava del passato (e non potevano conoscere il futuro) ponendo al centro dell’attenzione pubblica un diverso tipo di conflitto, almeno in apparenza totalmente privo di precedenti: quella che lui aveva scelto di chiamare nel breve articolo, assecondando il consenso del pubblico coinvolto, ein sehr erschröcklich gesicht an der Soñ, ovvero “l’orribile apparizione comparso sopra il Sole” ma che oggi conosciamo soprattutto con il nome che Carl Jung, secondo psicologo del mondo e discepolo dello stesso Sigmund Freud, oltre che noto occultista e seguace delle pseudoscienze, scelse di attribuirgli nel 1958: la battaglia degli UFO di Norimberga.
Il che in effetti, se si sceglie di prendere sul serio la descrizione prodotta dalla nostra principale ed unica fonte coéva in materia, appare quanto mai giustificato, vista la presenza, in aggiunta alle due mezzelune rivolte verso il terreno, poste come ornamenti dietro alla testa dell’astro principale, sfere, croci e strani oggetti cilindrici, che pare si sarebbero “rincorsi” e “scacciati vicendevolmente” da una parte all’altra della volta celeste, fino alla comparsa di una gigantesca “freccia nera triangolare” rivolta verso occidente, seguìta da uno schianto poderoso udito poco fuori i confini della città. Quasi come se durante l’acceso scontro, qualcuno o qualcosa avesse finito per avere la peggio, precipitando rovinosamente nel bel mezzo della campagna tedesca! Uomini verdi, rettili antropomorfi, cavallette alte quanto una persona? Difficile capirlo, visto come all’epoca per ovvie ragioni, l’intero accadimento venne attribuito al “Desiderio Divino di far breccia nel cuore degli uomini” e preso ad esempio dallo stesso Glaser del tipo di visioni surreali che dovremmo idealmente accettare e prendere per cose buone & giuste, piuttosto che interrogarci sulla loro effettiva natura. Approccio non particolarmente scientifico, in un secolo che pur essendo uscito dalla cosiddetta epoca tenebrosa, era ancora ben lontano dall’acquisizione del Metodo destinato a portare, negli anni successivi, al drammatico ed imprescindibile avanzamento della tecnologia umana. Il che in maniera posteriore, avrebbe immancabilmente portato a porsi l’imprescindibile interrogativo: ammesso e non concesso che il buon Jung stesse basando la propria idea su una serie di preconcetti particolarmente soggettivi, restando quindi ben lontano della verità, che cosa, esattamente, accadde in quel fatidico giorno della primavera di metà del XVI secolo nell’entroterra d’Europa?
Cose come una cascata che si arrampica sulla muraglia delle isole Faroe
Niagara, Salto Angel, Victoria. Ci sono vari modi d’iniziare un anno bisestile come il 2020 e questo qui è senz’altro, tra tutte le alternative, uno dei più surreali. Il quarantunenne Samy Jacobsen, dell’isola faroese di Suðuroy, si trovava a passeggiare in un mattino uggioso presso la parte meridionale della sua isola, con l’intenzione di provare la fotocamera del nuovo cellulare; quando giunto presso il familiare scoglio alto 470 metri di Beinisvørð, lo ha ritrovato in qualche modo differente. Quasi come sulla sagoma riconoscibile, stagliata contro il vuoto in movimento dell’Oceano, qualcosa d’insolito e luminescente stesse “danzando”, spirito delle acque o l’espressione di un antico Dio? Serpe senza testa e senza nome, adagiatasi sulla montagna, che seguendo il suo profilo minacciava di allungarsi fino all’infinito. Era infatti fatta di quella sostanza stessa che ci da la vita, il liquido ricco d’idrogeno ed ossigeno, che veniva risucchiato verso il cielo nuvoloso dalla forza stessa della tempesta. Corroborato da una simile visione, ed avendola per sempre intrappolata nella sua memoria ed il sensore digitale, fu tempo a quel punto di cercar riscontro. “Mai visto nulla di simile” concordò, parafrasando, sua sorella ed effettiva proprietaria del nuovo iPhone Helen Waag, assieme alla quale egli avrebbe quindi deciso d’inviare la straordinaria occorrenza a più canali di notizie meteorologiche locali & non, oltre a pubblicarla sulla pagina Facebook di lei. Così che verso la fine della prima settimana di questo gennaio, il grande pubblico l’avrebbe conosciuto, accompagnato dal parere dell’esperto meteorologo Greg Dewhurst del Met Office del Regno Unito, riassumibile nell’espressione singolare “Incredibile, magnifico. Trattasi senz’altro dell’esempio tipico di un waterspout, modificato dalle caratteristiche notevoli del paesaggio.”
Già perché provate a immaginare, nella vostra mente, l’effetto di un flusso d’aria calda che si forma all’altezza della superficie del mare, causa la temperatura di quest’ultima, per iniziare a risalire con notevole energia verso le nubi soprastanti. Se non che i venti arrivati di traverso, soprattutto nelle acque gelide del Mare del Nord, iniziano ad imprimervi una potente rotazione, in buona sostanza comparabile a quella che caratterizza i temibili tornado dell’entroterra americano. Affinché il mero spostarsi della nube sovrastante, immancabilmente, contribuisca a far traslare lungo l’asse orizzontale tale orribile costrutto della natura, verso dei recessi che siano auspicabilmente privi di persone. Ed in effetti simili fenomeni, come potrete facilmente immaginare, possono portare a conseguenze relativamente gravi (benché tendano a disperdersi una volta sulla costa) ed è stata una fortuna, questa volta, che la roccia definita un tempo come “Protettore delle Isole Faroe” sia bastata ad arrestare un tale viaggio verso l’autodistruzione. Mantenendo in bilico, per più di un qualche straordinario minuto, la visione senza tempo e senza nome di un qualcosa che mai prima d’allora, macchinario umano aveva ricevuto l’occasione di registrare. Affinché Internet, come suo solito, spalancasse le sue fauci immense, per accogliere quel documento a beneficio di noi tutti…