NASCAR e la pioggia, circostanze inconciliabili. Finché “loro” non cominciano a soffiare

Una struttura dalla forma grossolana di un ovale, capace di contenere un numero variabile tra i 100.000 e 168.000 spettatori, con il tutto esaurito raggiunto in media almeno una volta per singola stagione sportiva. Questo soprattutto è la NASCAR, serie automobilistica prettamente statunitense nata negli anni ’20 e ’30, come competizione tra le vetture modificate dei contrabbandieri di whisky ed altri alcolici durante l’era del proibizionismo, create originariamente per sfuggire alla polizia tra i monti degli Appalachi. Oggi il singolo evento, in quest’epoca d’intrattenimento per ogni gusto e predisposizione, maggiormente in grado di ricreare l’atmosfera delle bighe al Circo Massimo di Roma, portando ad incontrarsi, e fare il tifo, un’intera comunità ansiosa di entrare a farne parte. Sia pur soltanto per un esplosivo, caotico, roboante pomeriggio ed è proprio questo a costituire, più di ogni altra circostanza, un notevole problema in potenza. Poiché nel momento in cui le cose cambiano, per uno dei più classici eventi naturali, basta un attimo e l’evento può essere immediatamente cancellato. Pensate che la pioggia è talmente deleteria, per queste gare, che il regolamento prevede l’immediata interruzione con la possibilità di dichiarare un vincitore, qualora sia stato percorso almeno il 50% dei giri, oppure rinvio a data da destinarsi con conseguente restituzione del prezzo dei biglietti. Il che ha portato nel corso degli anni a non pochi significativi problemi: chi può dire infatti quanti dei fan accorsi sugli spalti, spesso percorrendo lunghe trasferte per il weekend, siano poi disposti a ritornare nel corso della settimana… E quali altri momenti sportivi debbano essere spostati dal palinsesto delle televisioni, in forza del pubblico interesse nei confronti di un mondo tanto popolare e talvolta, soggetto ad imprevedibili ritardi. Il principio operativo della NASCAR ha del resto previsto, fin dall’inizio della sua epoca contemporanea, l’utilizzo di potenti turbine a getto d’aria montate su autoveicoli per l’asciugatura della pista nei tempi più brevi possibili, con significativo dispendio di mezzi e carburante al fine di minimizzare, quanto meno, i tempi di attesa successivi all’esaurirsi dei rovesci di breve durata. Ma è soltanto a partire dal 2013 che Steve O’Donnell, vice direttore del campionato presentò alla stampa un approccio effettivamente creato ad-hoc al fine di risolvere l’antico ed umido problema. Mediante l’impiego del ponderoso convoglio di veicoli denominato Air Titan, frutto di un lungo percorso di Ricerca & Sviluppo fortemente voluto dall’allora capo esecutivo delle operazioni Brian France. Il 24 febbraio di quell’anno a Daytona ovvero la più prestigiosa di tutte le gare di campionato, vennero fatti sfilare per la prima volta, benché la necessità d’impiego effettivo avrebbe, fortunatamente, mancato di palesarsi in tale occasione: nient’altro che un trio di camion con enormi compressori della Pullair, connessi mediante dei lunghi tubi ad altrettanti pick-up dotati di un apparato retroattivo con la forma non dissimile da quella di un aratro. Con al suo interno, tuttavia, una sottile fessura finalizzata ad incrementare, secondo il principio di Bernoulli, la rapidità in fase d’uscita di un continuativo ed insistente getto d’aria. Per spingere a lato, con enfasi risolutiva, l’annoso e inevitabile accumulo d’acqua piovana…

La somiglianza degli ugelli montati in parallelo con degli squeegee o spatole per l’asciugatura del parabrezza è in un certo qual modo lampante. Una metafora senz’altro pregna, quando si considera che le stock car della Nascar non hanno i tergicristalli.

Metodo risolutivo sebbene costoso, quindi (France dichiarò, almeno originariamente, un prezzo di noleggio dell’Air Titan ai tracciati pari a 100.000 dollari per un singolo week-end) sebbene questo non chiarisca, soprattutto per noi europei, l’effettiva necessità della sua semplice esistenza. Difficile negare, dopo tutto, che l’unica altra serie motoristica capace di competere con la NASCAR in materia d’incassi, la più internazionale Formula 1, corra su piste bagnate di continuo senza la necessità di ricorrere a dei veri e propri phon sovradimensionati per assolvere all’implicita promessa fatta agli spettatori… Una questione spesso sollevata che manca di affrontare, di contro, le profonde difficoltà tecnologiche tra i due contrapposti sport a motore. Il punto cruciale della gara americana, d’altra parte, è rintracciabile proprio nella quantità di concorrenti contemporanei variabile tra i 40 e i 60, in grado di ridurre sensibilmente i margini d’errore o imprecisione nella traiettoria in curva prima del verificarsi di un incidente, spesso capace di coinvolgere non soltanto il singolo pilota, bensì l’intero segmento di gara. Senza considerare il peso regolamentare di una tonnellata e mezzo per le attuali stock cars, tale per cui un’eccessiva perdita d’aderenza possa inficiare ancor più grandemente le possibilità di recupero da un momentaneo sbandamento. Un problema particolarmente gravoso nei circuiti con superficie asfaltata, piuttosto che ricoperta di cemento, data l’inerente porosità di questo materiale, capace d’impregnarsi letteralmente d’acqua fino al punto di lasciarla uscire tutta assieme, in letterali piccoli ruscelli chiamati in gergo weepers, particolarmente pericolosi per i piloti. Aggiungete a questo la notevole quantità di gomma lasciata annualmente dagli pneumatici su queste superfici relativamente ridotte, con conseguente aumento della scivolosità in caso di tracciato umido, per comprendere perché anche il principale campionato a ruote scoperte degli Stati Uniti, la Indy con prestazioni simili alle nostre monoposto, rifiuti di gareggiare sotto la pioggia all’interno degli ovali, continuando a farlo unicamente sulle piste di tipo convenzionale. Nell’interesse di ottimizzare ulteriormente i tempi d’attesa e per quanto possibile, rendere l’asciugatura stessa una parte dello spettacolo per il pubblico pagante, l’ente che gestisce la NASCAR ha quindi presentato l’anno successivo una versione migliorata del sistema con il nome programmatico di Air Titan 2.0, offerta in un pacchetto maggiormente compatto e dotato di un grado superiore d’efficienza. I compressori, questa volta più piccoli e contenuti sul cassone delle vetture stesse, degli affidabili pick-up Toyota Tundra, vede quindi un’asciugatura più economica e al tempo stesso performante con il vantaggio addizionale di essere scalabile a piacimento. Il convoglio di autoveicoli ancora oggi utilizzato, sempre rigorosamente seguìto dalle turbine semoventi delle origini per completare l’opera d’asciugatura e coadiuvato da un aspiratore/pulitore della Elgin nella parte bassa della pista al fine di rimuovere del tutto l’acqua, viene quindi caratterizzato da un getto d’aria misurabile attorno ai 910 Km/h, idealmente capace nelle parole della press release di “gonfiare il dirigibile della Good Year in 3,4 minuti”. Anche la questione dell’impatto ambientale, d’altra parte, riceve quindi un significativo miglioramento, con la quantità di emissioni stimata essere inferiore al primo Air Titan di circa l’80%. Ma gli imprevisti, quelli si, restano sempre in agguato…

A volte proprio quando tutto sembra andare per il meglio, si finisce per commettere un errore. Chi avrebbe mai potuto pensare, d’altonde, che il manto stradale potesse essere COSÌ delicato?

Asciugare la pista prima d’iniziare a correre sembrerebbe essere un concetto inerentemente privo di presupposti deleteri. Il che risulta essere vero, per lo meno, nella MAGGIOR PARTE dei casi. Vedi il curioso evento verificatosi almeno una volta a Dover nel 2008, ovvero prima dell’introduzione dei compressori Air Titan, della turbina a getto che si è dimostrata capace di causare il distaccamento di un generoso pezzo d’asfalto, che dovette essere riparato con conseguente aumento, piuttosto che diminuzione del tempo complessivo d’attesa. Ben più grave si è dimostrato essere, d’altra parte, l’incidente del 2012 di Juan Pablo Montoya alla Daytona 500, in cui un’incendio si sviluppò in conseguenza del suo impatto a svariate centinaia di chilometri orari contro una delle vetture a turbina durante le prove, fortunatamente privo di conseguenze per i piloti ma comunque indesiderabile per un’ampio ventaglio di ragioni.
Al di là di una tale casistica purtroppo inevitabile, una cosa resta ad ogni modo certa: finché bolidi di tale peso ed entità continueranno a girare sugli ovali, l’asciugatura del tracciato dovrà continuare a disporre di un qualche tipo di sistema risolutivo. Ed è in quest’ottica che aumentarne l’efficacia, come nel caso delle due iterazioni successive dell’Air Titan, può essere considerato utile a ridurne l’impatto sul week-end di gara, imprevisti inclusi.
Da questo punto di vista non sarebbe del tutto privo di logica affermare, assieme ai fan più sfegatati, che la Nascar abbia mostrato un possibile sentiero innovativo, utile in futuro anche in altre distanti ramificazioni del complicato albero degli sport a motore. Perché non sempre “ideale” è l’opposto di “interessante”. E certe volte la prima è semplicemente l’unica possibilità rimasta, di fronte ai margini d’errore sempre più ridotti concessi al pilota.

Fuoco e fiamme hanno la capacità inerente di sembrare, talvolta, più terribili di quello che sono. A fronte di tute ignifughe e protocolli di sicurezza ben collaudati non sono infatti loro a costituire il maggior rischio bensì l’impatto stesso. Particolarmente contro veicoli che si muovono a velocità decisamente contenuta, come un pick-up asciuga-pista con la sua grossa turbina retroattiva.

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