Anno 1934 – l’uomo che rispose alla domanda: “E se gli aeroplani volassero con ali discoidali?”

Le stagioni si susseguono e le circostanze cambiano costantemente. Col passare delle decadi, molte cose finiscono per essere dimenticate. Nel contesto della nostra epoca, ad esempio, è normale utilizzare lo strumento digitale per cercare informazioni utili o interessanti. Eppure c’era un merito importante, nell’antico luogo “sacro” dell’edicola e le sue riviste. Pagine su pagine di concezione effimera, ciascun titolo pre-figurato sull’intento di rendere qualcuno momentaneamente un esperto. In materia di… Sport? Computer? Cronaca mondana? O il campo che più di ogni altro può beneficiare di approfondimenti collaterali: la tecnologia che cambia e al tempo stesso condiziona la vita delle persone. Simili prodotti editoriali, qualche volta, permettevano a momenti aneddotici o frangenti collaterali di venire registrati per il beneficio delle generazioni future. Come il giorno in cui Steven P. Nemeth, istruttore della scuola di volo di McCook Field vicino a Dayton, Ohio, seppe guadagnarsi meritatamente i sue cinque salienti minuti di celebrità. Ne parlarono in America “Modern Mechanix” e l’irrinunciabile “Popular Science” tra le pagine pubblicitarie di modellini, radio tascabili e orologi cromati, premurandosi di riportare dettagliatamente la reazione dei presenti a un’occasione più unica che rara. Non capitava certo particolarmente spesso, d’altra parte, di vedere un aeroplano fermarsi all’improvviso in volo. Per fluttuare giù verticalmente, lievemente, fino al delicato impatto con il terreno. Capacità fornita dall’insolita forma della parte più importante del velivolo, un disco dal diametro di 4,6 metri costituente a tutti gli effetti una singola ala, capace di agire nei suddetti attimi come l’approssimazione funzionale di un parasole. La scelta del termine di paragone usato dalla stampa, d’altra parte, risulta sorprendentemente facile da motivare. In quello stesso 1934, Helen L. Goff scriveva sotto lo pseudonimo di Pamela L. Travers il primo romanzo della serie destinata a diventare infinitamente celebre di Mary Poppins, una governante che decollava grazie al magico potere di un ombrello. E d’altra parte gli stessi fratelli Wright avevano dimostrato, 31 anni prima, come qualsiasi cosa potesse, volare a patto di disporre di aerodinamica precisa e una quantità di potenza bastante allo scopo.
Il che figurava, certamente, tra i pensieri dell’insegnante trasformatosi in pilota collaudatore Nemeth, mentre s’impegnava ad affrontare il gravoso problema della quantità d’incidenti sperimentati nel suo ambito dove frequentemente un attimo di distrazione, o manovra poco avveduta, poteva portare a un’immediata e irrisolvibile perdita di controllo del mezzo. Ragion per cui pensò di progettare, a suo modo, la versione migliorata di un biplano che poteva entrare in un garage personale, i cui comandi potessero venire impugnati con facilità dopo soltanto qualche ora di addestramento. E che praticamente nessuno, per quanto incompetente, avrebbe potuto condurre fino al punto aerodinamico di non ritorno…

La questione da comprendere per quanto concerne il Nemeth Parasol, come sarebbe passato in seguito alla storia, è che non sappiamo molto della sua genesi o la progressione logica che avrebbe condotto a quel sorprendente, funzionale decollo. Né disponiamo di dettagli validi in materia della vita o precedenti esperienze del suo omonimo inventore. Fatta eccezione per la notazione secondo cui furono “studenti della Miami University” (Come? Perché) ad aiutarlo a riconvertire, con evidente perizia pratica, un Alliance A-1 Argo di sua proprietà, biplano prodotto in appena 20 esemplari dalla Hess Aircraft di Alliance, Ohio. Gli aspetti verso cui le riviste dell’epoca si dedicarono in maniera maggiormente estensiva, d’altronde, lasciarono ampi spazi sul tema delle prestazioni e capacità del veicolo, incluse le prerogative concesse dalla sua insolita configurazione alare. Il Parasol dunque, dotato in prima battuta del motore da 90 cavalli di serie, poi sostituito con un Warner Scarab in configurazione radiale che riusciva ad erogarne 120, vantava una velocità massima di 217 Km/h con un serbatoio di 130 litri. Esso aveva una lunghezza di 6,15 metri, buone capacità di manovra ed il posto a bordo per due persone incluso il pilota. Mentre la caratteristica di maggior pregio rimaneva, per ovvie ragioni, la velocità di stallo pari ad appena 40 Km/h, accompagnata dalla propensione a decollare necessitando di appena 19 metri di pista. E atterrare in 7,5! Tanto che in altri termini potrebbe essersi trattato, in base ai criteri selezionati, di uno dei primi se non il primo aereo STOL della storia. Ciò grazie alle prerogative istintivamente o abilmente determinate da Nemeth, che con l’ala circolare nominalmente finalizzata a incrementare la maneggevolezza logistica del velivolo aveva in effetti precorso una metodologia destinata a valutazioni e piani di fattibilità in eclettici frangenti delle decadi successive (vedi ad esempio il Vought V-173 “Pancake Volante” di cui parlammo in precedenza tra le pagine di questo stesso blog). Nell’assenza di ali separate dal profilo tradizionale, infatti, scomparivano del tutto i vortici alle loro estremità, un problema da sempre necessariamente preso in considerazione dai progettisti aeronautici. Proprio perché deleterio ai fini dell’attrito, e conseguente resistenza indotta dalla portanza. Il cui superamento rendeva inerentemente l’apparecchio più stabile, ancorché tendesse a ridurre nel contempo il coefficiente di penetrazione aerodinamica a causa dell’ingombro e compattezza dell’ala stessa. Pare infatti che il Parasol avesse visto un’unica importante modifica, oltre al carrello rinforzato, nella fusoliera per il resto rimasta invariata dell’Alliance A-1: l’inversione di una superficie orizzontale della coda affinché tendesse naturalmente a contrastare la tendenza del muso a sollevarsi da solo, per via della quantità eccessiva di potenza che veniva costantemente trasformata in forza di sollevamento.

L’energia del cambiamento nel campo della fisica può provenire, del resto, dal nulla. Ed ogni progetto portato alle sue estreme conseguenze non potrà prescindere, di suo conto, dal bisogno di effettuare adeguate valutazioni ed uno studio approfondito delle forze in gioco. La cui somma complessiva, nella maggior parte dei casi, finisce per giustificare un esito finale che risulta, in questo particolare caso, anche troppo facile da valutare. La quantità di aerei con ala discoidale dopo il primo esempio di questa insolita categoria, del resto, è particolarmente limitata. E messi da parte prototipi dal singolo esemplare come il già citato Vought, del resto creato in un’epoca di conflitti in cui la prerogativa diventava talvolta stupire o intimorire l’avversario, molto prossima allo zero. Permettendo ragionevolmente di affermare che nessuno, a conti fatti, abbia trovato una ragione idonea a preferirli alle alternative dal più elevato grado di familiarità funzionale. Con buona pace di Mirone, lo scultore del discobolo di Elèutere. Che mai, tra il 480 e il 440 a.C, avrebbe potuto immaginare di vedere la sua opera trasformata nel possibile testimonial pubblicitario di una compagnia aerea!

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