Il teschio implume con il suono della sega elettrica che svolazza tra i rami

L’oscuro delatore della Pestilenza sobbalzò sull’albero segreto, avendo cura di aggiustare con un gesto della testa l’ottimale inclinazione del suo cappuccio marrone. Gli occhi tondi e spalancati, l’inquietante maschera corvina del suo volto in atteggiamento compunto e dignitoso, mentre meditava sull’importante compito di quel particolare giorno, ereditato dalla stirpe dei suoi illustri predecessori medievali. Controllare, verificare, riportare ed aggiornare il braccio esecutivo degli Agenti, ovvero quella casta di elementi silenziosi e sempre pronti a muoversi, il cui simbolo professionale resta la finale falce di metallo, mezzaluna in grado di concludere l’ultimo giorno di una vita su questa Terra… Una serena o impropria dipartita, ovvero il passo che conduce all’altro lato dell’invalicabile barriera. Oltre cui determinati elementi, virus obbedienti, possono migrare agevolmente denotando un ambiente maggiormente funzionale allo scopo. Con un brusco sobbalzo in quel momento necessario, l’elegante pennuto “vitello” sollevò dunque il suo appuntito becco perpendicolarmente verso il cielo. E in un crescendo di squillante tono ed enfasi, cominciò ad emettere il roboante discorso che corrispondeva al suo nome maggiormente tradizionale: “ooo-AAAAA, ooo-AAAAA”. Simile a un muggito. Simile a un motore. Che ricorda, sotto certi versi, l’arma del moderno Jack lo squartatore.
Tralasciando momentaneamente il rilevante appellativo latino, che risale alla classificazione del 1776: Perissocephalus tricolor (tricolore dal cranio stupefacente) l’essere di circa 40 cm di lunghezza che stiamo descrivendo in questa situazione viene spesso definito, da colui o colei che lo indica col proprio dito nei contesti sudamericani, “uccello cappuccino” in funzione della distintiva stempiatura che caratterizza la sua inconfondibile testa, sormontata dal triplice ciuffo vagamente simile ad un copricapo dei nativi americani. Che lo identifica come rappresentante tassonomico all’ordine dei passeriformi e non dei corvi come si sarebbe forse potuto pensare, ovvero all’interno della famiglia dei cotingidi, benché il suo insolito aspetto non permetta d’inquadrarlo visivamente in alcuna di queste citate categorie. Per non parlare della distintiva abitudine, ad esibirsi nei periodi riproduttivi in elaborati show canori, con buona pace di chi andrebbe a cercare la pace e il silenzio nelle immediate prossimità degli estuari del Rio delle Amazzoni e del Rio Negro. In un tripudio polifonico e coordinato, in cui nessun maschio cerca di coprire le note prodotte dai colleghi, pur cercando ripetutamente di scacciare i rivali di turno dall’ideale palcoscenico sfidandoli a duello, mentre le femmine s’impegnano di contro all’altro lato di questo stesso conflitto auditivo. Cui fa spesso seguito, in maniera largamente prevedibile, il Caos…

Creatura normalmente solitaria, l’uccello cappuccino è solito formare gruppi di fino a 15-20 esemplari maschi durante l’esibizione riproduttiva, cui tenderanno ad aggiungersi progressivamente le controparti femminili. Simili raggruppamenti, d’altra parte, sembrano possedere una natura esclusivamente transitoria.

Amato dagli osservatori ornitologici per il suo aspetto immediatamente riconoscibile, questo cotingide inusuale presenta d’altra parte significative difficoltà impreviste nel comprendere il suo effettivo genere d’appartenenza. Questo per l’assoluta somiglianza, fatto salvo qualche misero centimetro d’altezza media, tra i due sessi nella maggior parte delle circostanze. Escluso il transitorio momento del conflitto di seduzione sopra descritto, durante cui è abitudine del maschio far gonfiare le proprie piume principali sotto alla coda in una sorta di doppio palloncino dalla tonalità arancione, scherzosamente definito dai naturalisti come fanalini di coda, capace di focalizzare l’attenzione della femmina e incoraggiarne l’atteggiamento consono alle circostanze. Questo perché durante il periodo del lek variabile in base al territorio d’appartenenza (febbraio/aprile in Guyana, novembre/marzo in Suriname) e come precedentemente dato ad intendere, le stesse femmine sono solite impiegare metodi subdoli e conflittuali cercando anche d’imitare le controparti maschili, mentre costoro non si formalizzano nel fare occasionalmente lo stesso. Il che ha indotto determinati studiosi (vedi ad esempio Trail, 1989) ad immaginare un’effettivo scopo evolutivo in questa loro latente indistinguibilità reciproca, fino al momento della consumazione o accoppiamento propriamente detto di ciascuna coppia pronta alla riproduzione. Episodio cui fa seguito, da parte della femmina immediatamente abbandonata, la costituzione in essere dello scarno nido di rametti a 4-6 metri d’altezza, destinato a contenere nella maggior parte dei casi un singolo uovo maculato. Destinato a schiudersi nel giro di 26-27 giorni, dando inizio al periodo di un ulteriore mese durante cui la madre continuerà a nutrirlo, portandogli principalmente grossi insetti e l’occasionale piccola lucertola o altra creatura vertebrata. Il che permette d’identificare chiaramente tali uccelli come veri e propri onnivori, ancorché meno aggressivi di quanto saremmo inclini a desumere dalla grandezza e profilo del loro becco. E con un totale disdegno nei confronti delle carogne, nonostante l’apparentemente funzionale assenza di piume in corrispondenza della parte frontale della loro testa. Un altro mistero, se vogliamo, dei fenotipi che giungono a dominare una particolare discendenza animale, le cui vicissitudini pregresse risultano inerentemente inaccessibili agli osservatori umani. Lasciando possibile, o persino probabile, l’elaborazione di scenari fantastici alternativi. Un’opportunità che potremmo continuare ad avere ancora molto a lungo negli anni a venire, visto lo stato di conservazione relativamente ottimale di questa creatura, qualificata come “rischio minimo” da parte dell’ente dello IUCN con soltanto vaghi avvisi in merito alla riduzione dell’habitat sensibile. Aspetto, quest’ultimo, difficilmente accantonabile per qualsivoglia specie naturale all’attuale stato delle cose.

Nobile ed elegante creatura, magnifica nella sua stranezza esteticamente priva di paragoni. Sebbene altri cotingidi, nelle svariate circostanze documentate online, si siano dimostrati inclini a congiungersi in maniera infertile con i rappresentanti di questo cognato. Un fraintendimento alquanto difficile da capire o giustificare.

Difficile, del resto, sopravvalutare i meriti di suggestione e coinvolgimento prodotti dal suono caratteristico di tali abitanti della foresta, così unici ed inconfondibili nel loro luogo geografico di appartenenza. Una cacofonia sottilmente inquietante ma cionondimeno imprescindibile, in quanto utile a ricordarci il nostro elettivo scopo e posizione nello schema generale dell’universo. Avevate mai visto, d’altronde, niente di simile prima di conoscere l’uccello? Forse all’interno dei vostri sogni maggiormente tormentati e allineati con la parte grama dell’esistenza. Il che risulta chiaramente ingiusto, per una creatura che vuole soltanto fare del proprio meglio all’interno di una nicchia operativa attribuitagli dalle vigenti circostanze. Come determinato dalla natura e nella maniera analoga in cui opera, essenzialmente, la nostra stessa e sofisticata mente contenuta all’interno del cervello umano. Che talvolta non può esimersi dal costituire associazioni, anche se appartengono alle oscure circostanze di una notte che non potrà mai andare incontro alla propria Fine. Ed il richiamo accidentale di quell’Entità che eternamente opera, nell’interesse di coloro che dovranno occupare quegli stessi spazi… Dopo.

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