Il vasto cratere che rimane per testimoniare il tragico conflitto della Somme

In mezzo ad una serie di campi coltivati, percorrendo la strada provinciale di Bapaume, gli automobilisti hanno l’occasione di scorgere una strana e distintiva caratteristica del paesaggio. Come i bordi di un’avvallamento lunare, ricoperti da vegetazione folta e verdeggiante, sorge la parte osservabile di una profonda depressione. Ampia 100 metri e profonda 30, ovvero abbastanza perché sia istintivo attribuirgli un qualche tipo di causa naturale, benché i fatti storici raccontino una storia completamente differente. Quella di una colossale deflagrazione, fatta detonare in un fatidico momento in cui si credeva di poter cambiare il corso della storia, il primo luglio 1916. Riuscendo in qualche modo, forse non proprio quello originariamente desiderato, ad apportare un significativo cambiamento delle aspettative ragionevoli in un particolare tipo di contesti tattici, almeno fino all’invenzione del carro armato.
Visitando oggi la regione pianeggiante della Francia dove scorre il fiume settentrionale della Somme, difficilmente ci si troverebbe a sollevare obiezioni sull’antico significato del suo nome. Che proviene per il tramite del termine latino Samara dalle due parole celtiche samo (tranquillo) e quella ormai etimologicamente elisa di ar (fiume). Manifestando nella tangibile realtà dei fatti la stessa contraddizione cronologica, rispetto ai suoi trascorsi storici, di quella apprezzabile nel vasto spazio dell’Oceano Pacifico. Privo di conflitti, oggi. Non così nel periodo destinato a concludersi coi grandi conflitti globali del Novecento. E non meno rilevante, nel controllo strategico del centro Europa, questa regione a nord di Parigi sarebbe stato il teatro nel corso dei due conflitti di svariati scontri armati tra fazioni contrapposte all’espansione dell’Impero Tedesco. La prima delle quali fu anche, di gran lunga, la più sanguinosa nonché uno degli scontri più costosi in termini di vite nell’intero estendersi della storia umana. Sto parlando del confronto fortemente voluto dagli eserciti francese ed inglese, nel momento in cui le manovre del Kaiser Guglielmo II avevano massimizzato la pressione militarizzata contro la piccola, ma determinante città di Verdun. Un tentativo attentamente pianificato di scardinare le difese del generale Erich von Falkenhayn, costituite secondo i più efficienti crismi operativi di quel particolare periodo storico. I quali essenzialmente prevedevano lunghe e labirintiche trincee, intervallate da nidi di mitragliatrici e impervi rifugi sotterranei, in grado di resistere al bombardamento senza sosta dell’artiglieria nemica. Strutture che di certo, qui furono messe duramente alla prova, con un dispiegamento da parte della componente occidentale della Triplice Intesa, ed in particolare il suo esponente britannico di 1537 bocche da fuoco, utili a sviluppare quello che fu il più terribile e duraturo impiego di munizionamento esplosivo mai visto e udito prima di quel fatidico momento. Gradualmente in crescita a partire dall’anno 1915, fino al culmine di quei dodici giorni di “apertura” che gli Inglesi avrebbero deciso di chiamare la battaglia di Albert, durante cui fu sparata una quantità di colpi stimata attorno al milione e mezzo, molti dei quali calibrati al fine di spazzare via unicamente bersagli tattici come il filo spinato. Eppure destinati a non essere uditi almeno in parte da una grande quantità dei soldati coinvolti, per l’assordante effetto di due ancor più grandi, e drastiche deflagrazioni: quelle delle due miniere scavate nei dintorni del villaggio di La Boiselle, denominate con i nomi in codice di Lochnagar ed Y Sap. Lunghe e laboriose opere, fatte passare sotto le siepi, le asperità, l’asfalto stradale, scavate nel corso di mesi se non anni con un obiettivo semplice ed impressionante: quello di essere riempite d’esplosivo nella loro parte terminale, per saltare in aria assieme alle migliaia di soldati soprastanti. Con la consueta e necessaria spietatezza della guerra ormai giunta alle sue conseguenze più inesorabili…

Le grandi deflagrazioni di ammonal usate durante la prima guerra mondiale avevano in realtà una valenza tattica limitata, poiché i difensori sopravvissuti potevano spesso occupare il cratere in tempi più brevi rispetto agli attaccanti. E poteva bastare anche una singola mitragliatrice, per vanificare il vantaggio ricercato attraverso lunghi ed operosi mesi di preparazione all’assalto.

E fu terribile, fu grandioso, fu davvero impressionante. In altri termini, una delle più grandi esplosioni causate dall’uomo fino all’invenzione della bomba atomica. Quando le compagnie di scavatori britannici incaricati di portare a termine il lavoro, terminato il posizionamento delle 27 tonnellate di esplosivo ammonal diviso in due punti delle alte fortificazioni tedesche note con il termine di Schwabenhöhe (Altura Bavarese) furono detonate di concerto, all’apertura designata delle ostilità per l’assalto nei confronti dell’insediamento de La Boiselle. Mentre usandolo come segnale, l’intera massa delle 13 divisioni inglesi ed 11 francesi coinvolte in questa prima parte del conflitto iniziarono a mobilitarsi in direzione delle “appena” 6 divisioni tedesche. Al manifestarsi pressoché istantaneo di quello che il pilota perlustratore Cecil Lewis avrebbe descritto, nelle sue memorie, come un “colossale cipresso di detriti e fango” che restando temporaneamente immobile a mezz’aria, sarebbe fragorosamente ricaduto verso il suolo nel giro di qualche terribile, drammatico secondo. Ma non prima di aver colpito le fragili ali del suo aereo con un’onda d’urto ed alcuni pericolosi proiettili di terra. Una potenza a cui non avrebbe fatto seguito, molto sfortunatamente, l’effetto desiderato. Le cariche composte da nitrato d’ammonio, carbone e polvere d’alluminio, che erano state appositamente sovraccaricate al fine di creare una voragine più grande, non riuscirono tuttavia a gettare l’esercito tedesco nel caos. Il quale, incassando le pur significative perdite riportate al momento dell’esplosione, si affrettò a posizionare nuovamente un limitato, ma sufficiente numero di mitragliatrici ai lati della Schwabenhöhe. Così che al diradarsi del fumo, coloro che avevano l’incarico di manovrarlo videro le schiere di truppe soprattutto inglesi che avanzavano lentamente in campo aperto, del tutto immobili e perfettamente esposti alla condanna dei loro mirini. Fu una strage letteralmente priva di precedenti, con una quantità di perdite per la parte attaccante stimata attorno ai 60.000 uomini, contro i 6.000-12.000 dei difensori. Senza per di più ottenere alcun guadagno significativo di territorio, fatta eccezione per un piccolo tratto sul fianco estremo destro, che permise se non altro di schierare truppe ben protette a settentrione dello stesso cratere di Lochnagar. Il quale non ci mise molto a diventare, in modo particolarmente controproducente, una nuova postazione di tiro per l’esercito di von Falkenhayn.
Questo particolare concetto dello scavo ed utilizzo di esplosivi come arma d’offesa nei confronti delle inavvicinabili trincee difese con bocche da fuoco a ripetizione, d’altra parte, era stata reintrodotta nella guerra moderna proprio dall’Impero Tedesco che ne conosceva largamente i punti positivi e negativi, direttamente ereditati dalle tecniche fondanti dell’assedio scientifico secondo i crismi tardo-rinascimentali. Inclusa la facilità con cui un rovesciamento dei rapporti di forza poteva, in un attimo, trasformare un’opera prossima al completamento in una galleria ostruita o peggio, lo strumento utilizzabile dalle schiere ostili. Forse la ragione per cui gli Inglesi, prima di un così letterale punto di svolta della grande guerra si erano categoricamente rifiutati di utilizzarle su larga scala, un’opinione destinata gradualmente a cambiare ogni qual volta il nemico conseguiva validi obiettivi tramite l’impiego di questa rodata metodologia. Per un processo grandemente accelerato, secondo le cronache coéve, dal coinvolgimento nel conflitto di un particolare personaggio chiave, l’imprenditore privato originario del Somerset John Norton-Griffiths, che allo scoppio del conflitto mondiale si trovava a gestire un’impresa di scavo per la rete fognaria, nei dintorni di Brecon, nel Galles meridionale. Soprannominato Hellfire Jack per la sua passione nazionalista nei confronti dell’Imero Britannico ed il predominio imperituro che spettava ai suoi legittimi possessori, fu proprio lui a proporre al maresciallo e capo di stato maggiore Herbert Kitchener il progetto del primo corpo di scavatori professionisti dell’esercito inglese, le cosiddette Talpe di Manchester. Un gruppo di operai-soldati abituati a scavare attraverso il suolo argilloso delle Isole Inglesi, che una volta trasferitosi al di là della manica scoprirono l’efficacia straordinaria del loro metodo al fine di tracciare tunnel lungo il terreno ben più friabile della regione della Somme. Un approccio noto come “lavorare sulla croce” e consistente nel posizionare uno di loro sull’eponimo carrello, piedi in avanti, mentre usava questi ultimi per spingere innanzi la vanga, mentre i suoi compagni trasportavano via il materiale il più silenziosamente possibile, al fine di non richiamare l’attenzione dei possibilmente prossimi scavatori della parte avversa.

La scala spropositata del cratere di Lochnagar è difficilmente apprezzabile nelle foto satellitari, richiedendo una visita in prima persona per comprendere esattamente quanto devastante debba essere stata la sua creazione. E quanti soldati persero istantaneamente la vita in quell’infernale inizio di giornata, risultando forse, in ultima analisi, alcuni tra i più fortunati.

L’utilizzo di miniere e bombe sotterranee fu perciò impiegato con trasporto per l’intera prima parte della grande guerra, con altri esempi estremamente celebri a Beaumont Hamel, Hooge ad est di Ypres e Verdun. Molti dei quali, realizzando una poetica affermazione di John Masefield nel suo testo autobiografico The Old Front Line sarebbero scomparsi negli anni successivi “Quando l’aratro passerà su di loro, togliendo al mondo l’aspetto residuo della guerra.” Mentre altri, tra i più grandi, furono riempiti intenzionalmente di terra incluso quello di Y Sap. Un destino dal quale Lochnagar fu risparmiato, in parte per la sua imponenza e soprattutto grazie all’opera di un particolare appassionato di storia, l’oggi ultra-settantenne Richard Dunning, che ne comprò il terreno nel 1978 al fine di preservarne l’importanza storica ed imperitura. Provvedendo immediatamente a costruirvi un’alta croce di legno, che sarebbe stata colpita da un fulmine di lì a poco, in modo tale da richiedere la riparazione in metallo che la caratterizza tutt’ora. Per un aspetto derelitto e ricostruito, così stranamente appropriato per commemorare le condizioni in cui sarebbe rimasta l’intera Europa dopo il drammatico conflitto della Somme. Che fu risolto dopo quel primo fallimentare assalto, almeno in parte, soltanto a novembre del 1916, quando nel corso degli scontri per il villaggio di Morval la parte inglese schierò per la prima volta un nuovo tipo d’implemento bellico: la fortezza semovente, ragionevolmente inespugnabile e corazzata, del carro armato. Veicolo decisamente inaffidabile in questa prima fase, eppure destinato a contenere in se il seme che avrebbe cambiato l’andamento di ogni guerra di terra futura. Liberando i difensori dalla schiavitù della trincea, pur avvicinandoli ancor di più in maniera inevitabile all’ora tragica della propria fine.

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