L’annosa questione degli antiquati aerei nascosti sotto un vulcano Neozelandese

Scatoloni polverosi in uno scantinato, sepolto sotto molti metri cubi di roccia impenetrabile e potenti pezzi d’artiglieria, percorsa da una fitta rete di tunnel ormai parzialmente crollati da generazioni. Al loro interno, un leggendario tesoro, per ottenere il quale alcuni sarebbero disposti a fare (quasi) qualsiasi cosa. Eccetto, s’intende, andare incontro al rischio di saltare rovinosamente in aria!
Sul finire del 1915 Conrad Westervelt, giovane studente d’ingegneria aeronautica presso il MIT di Cambridge, acquistò un rudimentale idrovolante d’addestramento Martin TA, simile a quello utilizzato durante le sue lezioni di volo assieme al collega William E. Boeing. Dopo aver testato approfonditamente il velivolo, i due decretarono perciò un funzionale percorso di miglioramento: galleggianti più grandi, un motore più potente tramite l’impiego di un motore Hall-Scott A-5 da 125 CV, l’aerodinamica maggiormente curata. Affittando una rimessa per barche sulle rive del lago Union, si misero al lavoro. Entro giugno dell’anno successivo la loro opera era completa e furono pronti a battezzarla, assai semplicemente, il B&W Plane. Una volta completato il primo giro di test, effettuati dallo stesso Boeing nel giro di alcune settimane, il duo ambizioso tentò quindi di ottenere un appalto presso la Marina degli Stati Uniti per la produzione in serie dell’aereo, ad un costo unitario di 10.000 dollari ad esemplare, che venne accettata in via preliminare. Completata la costruzione di un secondo prototipo i due velivoli vennero prontamente inviati a Seattle, dove i militari di una scuola di volo incaricati di testare gli apparecchi, denominati Bluebird e Mallard, decretarono tuttavia che fossero eccessivamente difficili da pilotare e li rispedirono prontamente ai mittenti. Non sapendo esattamente cosa fare i due creatori, a questo punto, contattarono una differente istituzione per l’acquisizione del brevetto situata assai più lontano: la popolosa città portuale di Auckland, in Nuova Zelanda. Che avendo un certo capitale d’investimento e l’interesse all’ampliamento della propria flotta, acquistò immediatamente gli aeroplani al prezzo di convenienza di esattamente 3.750 dollari ciascuno. I due B&W Modello 1, come sarebbero stati chiamati in seguito, furono impiegati frequentemente, non soltanto per l’istruzione dei piloti ma anche la consegna della posta e nel 1919, per l’impresa notevole di stabilire il record d’altitudine neozelandese di 1980 metri, volando a bordo del Bluebird. Nel 1924, per il fallimento della scuola, i due aerei vennero quindi smontati e messi da parte senza eccessivi riguardi, non avendo alcuna caratteristica particolare degna di nota, soprattutto rispetto ai nuovi modelli che erano stati successivamente introdotti sul mercato. Nessuno, a partire da quella fatidica data, li avrebbe più visti.
Che l’opera giovanile di due giganti della storia dell’aviazione, futuri iniziatori di un’azienda destinata a dare un significativo apporto al campo del volo civile e militare, sia scomparsa senza lasciare traccia alcuna è un letterale paradosso del settore, tanto che la stessa Boeing ha dichiarato in più occasioni un valore teorico, per il ritrovamento dei B&W da esporre in un museo, pari o superiore a quello di un moderno 747. Eppure ormai nessuno, dopo il trascorrere di quasi un secolo, riterrebbe ragionevole poter mettere di nuovo le mani su qualcosa di tanto lungamente smarrito, il cui destino sembrerebbe quello fin troppo frequente di essere svaniti nella nebbia della storia. Fatta eccezione per un particolare gruppo di archeologi e curiosi della città di Auckland, guidati idealmente dalla figura eclettica di Martin Butler, che ormai da decadi ha fatto della loro ricerca la letterale missione principale della sua esistenza…

Molti dei cannoni di North Point sono stati rimossi e riciclati nel corso degli anni, fatta eccezione per quelli più pesanti e difficili da trasportare. Incluso il più notevole, puntato eternamente verso la baia e diventato negli anni uno dei simboli più riconoscibili della città.

Ossessioni di questa portata hanno spesso una profonda radice personale legata alla propria personalità o l’intento fondamentale di arricchirsi o ritornare idealmente ad un’idealizzata Età dell’Oro. O ancora, come forse in questo caso, il fastidio ronzante e l’inquietudine di aver dovuto sopportare lungamente una menzogna, promulgata in modo enfatico dalle autorità civili di una popolosa città contemporanea. Vedi il DOC (Dipartimento di Conservazione) che ormai da quasi cinque decadi ha più volte dichiarato, scritto e ripetuto: “A fronte delle nostre approfondite ricerche e studi, non c’è ragione di pensare che esistano dei tunnel segreti sotto il vulcano Maungauika, antica Montagna Ancestrale del popolo dei Maori”. Questo luogo situato a poca distanza dal centro cittadino, su una penisola nella baia di Waitemata denominata North Point dove ancora sorgono le mura e gli altri resti di una poderosa fortificazione dell’inizio del secolo scorso. Quella costruita in tutta fretta, per l’appunto, nel remoto 1885 a seguito della grave crisi internazionale tra i due imperi Russo ed Inglese per l’incidente del ponte Kushka in Afghanistan, quando si credette brevemente che le armate euroasiatiche sarebbero giunte persino nei paesi dell’Oceania con l’obiettivo di cercare nuovi territori da colonizzare. Fu nel corso delle decadi successive, mediante lo sfruttamento del lavoro dei detenuti, che lo spazio sotterraneo della fortezza venne approfondito ed ampliato a dismisura, creando uno dei bunker più complessi e spaziosi di tutto l’emisfero meridionale. Il che è in un certo senso all’origine della frustrazione dell’archeologo della modernità Martin Butler, il quale racconta di aver documentato le sue conversazioni con oltre 100 testimoni che ancora ricordano, 20, 30 e 40 anni fa, di aver visitato in prima persona un dedalo molto più profondo di quello oggi presentato ai numerosi turisti, successivamente sigillato e reso inaccessibile attorno agli anni ’80 del Novecento. E questo senza neppure considerare la causa legale intentata agli inizi degli anni Duemila dal documentarista John Earnshaw, che si era visto vietare dal governo ricerche più approfondite sotto il promontorio vulcanico di Maungauika, poco prima della suo imprevista e irrimediabile dipartita. Molto significative risultano essere, inoltre, le missive scambiate a più livelli da funzionari governativi negli anni antecedenti a tale data, in cui l’Esercito neozelandese, l’ente di spionaggio elettronico GCSB ed in un caso addirittura il Vice Primo Ministro Don McKinnon nel 1991, chiedevano ulteriori informazioni in merito alla presenza di un vasto sotterraneo dimenticato sotto la penisola di North Point.
Quale potrebbe essere, dunque, la ragione di un tale alone di segretezza? Martin Butler ed i suoi seguaci, convinti in parte tramite la pubblicazione del suo libro del 2015 “Tunnel Vision” e la creazione del relativo sito internet, non hanno particolari dubbi in materia: i tunnel di Auckland sono stati sigillati e nascosti perché sono terribilmente pericolosi. In quanto luogo di stoccaggio, assieme ai preziosi aerei della Boeing, di copiose quantità di munizioni risalenti alla seconda guerra mondiale, inviate presso queste terre dagli americani per resistere ad eventuali aggressioni giapponesi, poi potenzialmente degradatosi fino al punto di poter esplodere alla minima sollecitazione. Il che, se fosse vero o in qualsivoglia modo verificabile, costituirebbe un pericoloso insabbiamento da parte del governo ed un pericolo altrettanto grande per gli abitanti della città soprastante. Ma potrete facilmente immaginare la poca propensione da parte dei più o meno curiosi ad applicarsi nello scavo con ruspe o rumorose trivelle al di sotto di un tale sito…

Piegarsi in stretti pertugi strisciando sopra l’inesplorata massa di una Santa Barbara di proporzioni spropositate: cosa c’è di meglio, da chiedere ad un’esperienza turistica fuori dagli schemi? Un importante ritrovamento archeologico, magari?

Con un solo terzo esemplare costruito con finalità commemorative nel cinquantenario della fondazione della Boeing, per il museo del volo di Seattle dove si trova dal 1966, i due idrovolanti B&W hanno così accumulato negli anni una fama imperitura pari a quella di sacre reliquie a forma di coppa dell’età dei cavalieri. E sono in molti, ancora oggi, a giurare che nelle sale della parte visitabile dei sotterranei di Waitemata i propri passi risuonino in maniera stranamente vuota, come se ci fosse uno spazio inesplorato al di sotto in cui a nessuno è permesso di penetrare. Forse un deposito ricolmo di dimenticati oggetti ed altri scheletri lasciati nel mondo… Inclusi quelli inaccessibili di oggetti alati, così eminenti all’occhio degli estimatori.
Ma come purtroppo tende a capitare nei percorsi alterni delle vicende umane, è altrettanto realistico pensare che il tempo per riuscire ad accedervi sia ormai scaduto da generazioni. Mentre le infiltrazioni d’acqua, i crolli o il semplice passaggio del tempo hanno sgretolato ormai da tempo le testimonianze di ciò che un tempo era stato. Poiché il valore della storia, fin troppo spesso, si realizza solo dopo che è ormai andata perduta. E ciò che atterra per l’ultima volta, a meno di un miracolo, non potrà mai più affrontare la sfida dei cieli.

Lascia un commento