Ritrovati tra un migliaio di anni, la maggior parte degli oggetti del mondo di oggi si dimostrerebbero immediatamente facili da capire. Non ci sono particolari dubbi sulla funzione possibile di una tastiera, un mouse, un telefono cellulare. Lievemente più complesso, di suo conto, risulterebbe l’immediata comprensione dell’originale funzione di un Tamagotchi, un fidget spinner o un pupazzo Furby, nell’ideale assenza di fonti esplicative o pubblicitarie a cui fare riferimento. Non che vada molto meglio a noi che l’abbiamo! D’altra parte ciò è applicabile in modo analogo all’interpretazione delle antiche civiltà, ove può essere successo più volte che l’oggetto di turno sia rimasto privo di spunti d’analisi in ogni testo filologico da noi posseduto. Generando un fiume d’ipotesi spesso logiche, certe altre, diametralmente all’opposto. Esiste almeno un caso eminente, tuttavia, in cui nulla sembrerebbe essersi dimostrato utile a smorzare la selvaggia iterazione dei teorici, semplicemente in forza della propria unicità di forma, apparenza e l’interconnessione pressoché impossibile con ogni disciplina o tratto culturale a noi noto. Il che risulta più che mai apparente già dal semplice nome impiegato, meramente descrittivo nella sua natura di quanto gli occhi possono apprezzare d’istinto: un dodecaedro romano, ovvero la forma totalmente geometrica, assolutamente riconoscibile, di una monade sostanzialmente funzionale ad un’idea. Peccato che ogni singola persona di questa Terra, ormai da tempo immemore, ne abbia perso ogni ricordo sostenuto dall’evidenza. E di oggetti come questi, è assolutamente fondamentale sottolinearlo, ne sono stati trovati di gran lunga troppi a partire dal 1739 per poterli relegare al ruolo di semplici ornamenti, decorazioni prive di significato o la creazione autonoma di un artigiano locale. Ben 117 con dimensione variabile tra i 4 ed 11 centimetri lungo l’intero estendersi del principale impero dell’antica Europa, con particolare frequenza in Galles, Ungheria, Germania, Francia, Spagna e qualche volta in Italia. Spesso collocati nelle tombe di figure presumibilmente importanti, assieme ad altri tesori metallici o monete preziose. Già perché i dodecaedri stessi, alquanto inaspettatamente a giudicare dal contesto storico in cui li abbiamo collocati, sono tutti realizzati in bronzo, una lega tutt’altro che accessibile all’epoca del passaggio al sistema imperiale, per l’assenza di significativi giacimenti di stagno situati a meridione delle isole inglesi. Una considerazione, questa, che parrebbe limitarne in modo significativo le possibili qualifiche, facendone un oggetto di assoluto valore materiale e perciò difficilmente relegabile al semplice ruolo di ninnolo, umile attrezzo o passatempo. Almeno finché non si considera la dura legge della sopravvivenza: di dodecaedri in legno avrebbero potuto esisterne letteralmente centinaia di migliaia, se non milioni. Tutti andati persi, idealmente, come polvere nel vento dei millenni, all’usura inevitabile di un tale materiale. Con la palla nuovamente al centro, dunque, diamo inizio alla declinazione delle stravaganti elucubrazioni…
Volendo dare seguito alla più classica giustificazione degli archeologi, l’avreste certamente immaginato, il dodecaedro del mistero con tutta la sua sequela di bizzarre caratteristiche rappresenterebbe meramente un qualche tipo d’oggetto “religioso e/o rituale” la cui funzione va inserita nel sistema dogmatico di una serie di movimenti o circostanze d’introspezione collegata al divino. Il che è una classica spiegazione del tipo a “taglia unica” logicamente impiegabile, e replicata su larga scala, ad un’ampia serie di possibili circostanze. Ed è senz’altro cosa nota che gli antichi, qualunque sia il contesto geografico, intraprendessero attività davvero insolite per soddisfare i propri Dei o spiriti supremi, per non parlare dello sguardo sempre attento degli antenati. Forse il dodecaedro conteneva delle candele, oppure piccole statuette, manufatti finalizzati alla manifestazione di un ex-voto? L’intrinseca complessità della sua forma precisamente ripetuta, con le dodici facce perforate da buchi di diverse dimensioni e pomelli sporgenti ai vertici, parrebbe tuttavia sottintendere una storia più lunga ed elaborata, riconducibile possibilmente a uno specifico ambiente d’impiego. Esso avrebbe potuto servire, ad esempio, come calibro misuratore, per la dimensione di tubi, componenti meccanici o persino le distanze, guardandovi all’interno come si trattasse di una sorta di sestante. Secondo uno studio pubblicato nel 2010 Sjra Wagemans della DSM Research, l’orpello avrebbe potuto di contro costituire una sorta di calendario utile a prevedere l’occorrenza dei solstizi e degli equinozi, e il conseguente momento per piantare il raccolto, tramite la dislocazione sequenziale di uno spago ai diversi snodi della sua distintiva forma. Volendo alzare ulteriormente il tiro della complessità, a questo punto, è possibile inoltrarsi nell’ipotesi pubblicata scientificamente dall’ingegnere in pensione John Ladd, che nel 2011 dimostrava in modo pratico come l’immersione del dodecaedro all’interno di un fluido, prima d’inserirvi alcune sferette di metallo, permettesse di prevedere in modo intrinseco il tragitto balistico dei proiettili per le fionde, migliorandone idealmente la fabbricazione. Il che è formalmente… Possibile, sebbene niente lasci pensare in modo particolare che alcun essere vivente prima di lui potesse essere giunto alla stessa conclusione. Mentre l’idea più spesso paventata che il soggetto dell’analisi potesse costituire il dado o altro componente di un semplice gioco da tavolo veniva ripetutamente scartata, anche perché avrebbe rotolato oggettivamente piuttosto male, dal maelstrom di Internet si è palesato un potenziale cambio di paradigma, così lampante e facile da dimostrare da aver immediatamente convinto una buona parte degli opinionisti fuori dallo specifico settore dell’archeologia antica:
Tessere guanti all’uncinetto e nulla più di questo, idea compatibile con il ritrovamento della maggior parte dei dodecaedri nelle regioni più fredde dell’Impero Romano. La presenza di esattamente dodici fori e la disposizione delle diverse dimensioni relativamente alle altre, in effetti, può evidentemente ricordare quella delle dita di due mani umane più un paio di aperture per lavorarci, mentre i pomelli risulterebbero assolutamente adatti a far mantenere ordinati e far passare i fili. Il che rientra a pieno nella narrativa molto apprezzata dal senso comune, secondo cui gli scienziati tendano costantemente a “complicare le cose” finché ad uno della loro schiatta, quasi per caso, non succeda di essere abbastanza umile da abbassarsi a chiedere a una qualsiasi “persona comune” e per questo depositaria di un maggiore senso pratico, nonché depositaria potenziale di un qualche tipo di sapienza popolare. In breve tempo, anche grazie all’esistenza di stampanti 3D utili a replicarne la forma, i dodecaedri romani sono comparsi in innumerevoli video dimostrativi su YouTube i cui rispettivi autori ne dimostravano l’utilità nel trarne tessiture quasi pronte all’utilizzo previo allungamento del palmo, finendo in modo assolutamente collaterale per provarne anche la poca praticità d’impiego. Come la logica ci avrebbe prontamente dimostrato, d’altra parte, la dimensione dei fori fa ben poca differenza laddove i perni risultano tutti egualmente distanziati, mentre il progressivo comprimersi dell’oggetto lavorato al centro del solido geometrico lo rende inerentemente difficile da gestire, benché utile a produrre l’apprezzato, accattivante abracadabra finale. C’è inoltre da considerare il dettaglio, non propriamente insignificante, di come l’invenzione della tessitura all’uncinetto venga idealmente collocata attorno all’anno Mille nell’area del Caucaso, mentre il sistema più semplice che i Romani avrebbero impiegato, chiamato per antonomasia con il termine scandinavo Nålebinding sebbene proveniente dall’Antico Egitto, si sarebbe rivelato ancor meno adeguato all’integrazione col dodecaedro al centro della nostra disquisizione.
Al che, vi lascio scegliere il sentiero logico che preferite. La realtà dei fatti è che in assenza di nuovi frammenti o opere visuali ritrovate sul tema di questi specifici OOPArt (Out of Place Artifacts) continueremo a brancolare tutti nella stessa oscurità, rendendo qualsiasi ipotesi quasi altrettanto probabile rispetto alle altre. Fatta eccezione per quella extraterrestre, s’intende, inevitabilmente da includere nel catalogo delle proposte formalmente attinenti al tema. Se voi proveniste dal cosmo galattico, d’altronde, con tecnologie e potenzialità del tutto prive di paragoni tra gli esseri di questa Terra, non lascereste anche un curioso souvenir metallico tra le schiere dei nativi? Non lo nascondereste… Senza una chiara ragione… All’interno dei loro cupi sepolcri? Avete una mente semplice, davvero. Niente affatto simile a quella dei vostri predecessori Romani! I Grigi ne prendono atto, togliendo dalle guide interstellari una visita presso la vostra piccola urbe o ambito rurale di legittima appartenenza.