Ora di scienze? Sarà meglio affrettarsi a mettere le mani nella vasca dei vermi velenosi

Il vero scienziato, colui che crede nella specificità oggettiva dell’esperienza diretta, non può in alcun caso accontentarsi di commentare o analizzare un racconto di seconda mano, come fondamento stesso del metodo scientifico che domina il suo ambito procedurale inerente. Il che presenta alcuni significativi aspetti non del tutto trascurabili, nello studio di ambiti estremamente fuori dal corso principale della conoscenza. Vedi la celebrata e spesso citata opera di Justin O. Schmidt, entomologo statunitense che nel 1983 pensò bene di compilare un catalogo dei più dolorosi morsi e punture a cui può essere soggetta la dura scorza esterna del nostro organismo, qualora andasse incontro all’atteggiamento ostile di una notevole varietà d’insetti. Da un livello 1 appartenente a talune specie dal veleno particolarmente fiacco come le Halictidae o api “del sudore”, fino al terribile livello 4 della formica proiettile (Paraponera clavata) e la vespa mangiatrice di tarantole (fam. Pompilidae) rispettivamente associate a una fitta breve ed orribilmente intensa, piuttosto che una sofferenza incessante destinata a durare giorni. E chi dovesse tendere a pensare che costui sia stato un termine di paragone dedicato a campi che saranno inesplorati nelle plurime stagioni del domani, dovrebbe fare soltanto un rapido giro su YouTube per scoprire quanti hanno percorso le sue orme, con particolare attenzione riservata al naturalista e documentarista “Coyote” Peterson e in tempi più recenti, la sua nutrita schiera di emuli e seguaci. Tra cui l’amico di vecchia data Mark Lavins, che giusto l’altro giorno parrebbe aver deciso (per sua imprevista iniziativa) di rivisitare un grande cavallo di battaglia del canale, prestando la propria pelle ad un crudele tipo di esperimento. Dedicato questa volta non a un mero artropode, bensì l’anellide strisciante appartenente a una particolare circostanza ambientale: l’interfaccia situata come punto di collegamento tra la terra ed il mare. Avrete certamente visto, a questo punto, la bizzarra creatura rosata che campeggia nell’inquadratura in buona parte del video, declinata in una serie di notevoli esemplari con la caratteristica cresta di parapodi deambulatori sopra il pratico tavolo “da morsicatura”. Di colui che pare fin da subito intenzionato, ad ogni costo, a mettere nel proprio bagaglio esperienziale l’incontro di un ravvicinato tipo con i denti dell’insolita e annodabile presenza. Di cui quel verme della lunghezza approssimativa di 20-34 cm, perché di questo si tratta, ne possiede soltanto quattro, comunque più che sufficienti ad addentare e ghermire il polpastrello di un dito aggressivamente posto di fronte ai suoi sofisticati chemiorecettori di predatore. Una mansione, dalle conseguenze ultime del tutto immaginabili, che non richiede particolari sollecitazioni, vista la pessima reputazione posseduta da questi anellidi policheti della famiglia Glyceridae o bloodworms (vermi sanguigni) in materia di amicizia e convivenza, per un comportamento che l’evoluzione ha reso incline a ghermire, avvelenare e trangugiare pressoché qualsiasi cosa gli capiti a tiro. Mediante l’utilizzo di un sistema che potremmo facilmente definire inquietante: l’effettiva e fulminea eversione di una buona parte della propria faringe. Riuscendo essenzialmente ad aumentare in modo quasi doppio la propria lunghezza, provvedendo nel contempo a snudare la propria limitata ma temibile dentatura, per la maggior parte del tempo, “interna”…

Il ciclo vitale del verme sanguigno assomiglia a quello tipico di molti policheti, con il raggiungimento dell’età riproduttiva attorno al quinto anno di vita, e conseguente trasformazione in un epitoco, forma capace di nuotare fino alla superficie poco prima di provvedere alla liberazione dei propri gameti e le corrispondenti uova delle femmine non ancora fecondate. Evento a cui segue l’immediata morte di entrambi i sessi.

In questo modo Mark, avendo ricevuto l’utile informazione sulla fattibilità del gesto da un pescatore delle grandi pianure fangose del Maine, ha per questa volta l’intenzione di riuscire ad afferrare al volo la parte estensibile del verme, come se stesse letteralmente maneggiando un qualche tipo di serpente velenoso. Il che non è idealmente poi così lontano dalla verità. Per avvicinarne il lato più pericoloso proprio verso lì, dove soltanto uno sfortunato destino avrebbe potuto portarlo, per provare in modo ancor più intenso la stessa sensazione già sperimentata dal suo amico e collega. Poiché Mr. Coyote al volgere di cinque anni fa, quando incontrò per la prima ed antologica volta questo animale, pur avendo fatto il possibile per farsi mordere come di consueto aveva ottenuto soltanto una piccolissima ferita con inoculazione minima della tossina posseduta dal verme. Lasciando significativi margini di miglioramento. Al concludersi della prima parte del video il nostro Virgilio nel magnifico regno della sofferenza auto-indotta pare quindi ragionevolmente soddisfatto, dalla maniera in cui le zanne del Glyceridae riescono a bucare la viva carne della propria mano, iniziando appena ad iniettare il fluido paralizzante niente meno che letale per le proprie vittime designate, il cui effetto sugli umani viene in genere paragonato a quello di una puntura di vespa. In un ambiente che prevede, tra il cibo accessibile alla mostruosa ed inquietante presenza, prevalentemente altri vermi policheti più piccoli, ma anche piccoli pesci, crostacei, praticamente qualsiasi cosa si muova nella colonna acquatica e si avvicini a portata del suo pericoloso metodo raptatorio. Messo in atto mediante una singolare e rilevante dotazione evolutiva, quella costituita essenzialmente dalle sopracitate quattro zanne, che essendo sviluppate per una singola volta e dovendo durare per tutti e cinque gli anni della vita dell’animale, sono straordinariamente resistenti grazie a un contenuto rilevante di atacamite, un biominerale contenente copiose quantità di rame. La cui effettiva concretizzazione, ed integrazione con simili organismi viventi, deriva direttamente da un processo compreso formalmente soltanto a partire dallo scorso aprile, grazie ad uno studio pubblicato sulla rivista Matter da William R. Wonderly e colleghi dell’Università di Santa Barbara, nel quale si parla estensivamente dell’interazione tra l’aminoacido DOPA (dihydroxyphenylalanine) coadiuvato dalla melanina e le microparticelle di rame trasportate dalle onde dell’oceano, puntualmente segregate e consolidate nella singola forma in cui possono risultare maggiormente utili al nostro amico, quella di una zanna affilatissima ed uncinata. Un altro miracolo della natura, se vogliamo, egualmente capace di creare meraviglie o terribili mostri, veri e propri esseri scaturiti dalle profondità dei nostri incubi più segreti.

In materia di nomenclatura d’uso comune, è importante non confondere il nostro velenoso amico con i più comuni bloodworms da pesca, in realtà larve della mosca chironomide, del tutto prive di aggressività o strumenti capaci di nuocere, anche in maniera del tutto accidentale, all’uomo. 

Difficile negare, a questo punto, il coraggio e spirito di abnegazione posseduto dal protagonista umano del video, quando giudicando di non aver ancora fatto abbastanza, prende la manciata di vermi al centro dell’inquadratura e provvede ad aggiungerli alla pila contenuta nel tupperware facente parte del suo gran finale. Come un fachiro o un qualche tipo di eclettico artista circense, Mark decide quindi di provare quali vette d’intensità possa raggiungere il dolore prodotto dal morso dei vermi sanguigni, immergendo semplicemente le sue due mani in quel brodo brulicante, affinché la natura (ostile) possa fare il suo corso. E tenercele per due minuti esatti, abbastanza perché possano riemergere letteralmente perforate da svariate dozzine di morsi, con il polso che inizia già pochi minuti dopo ad assumere le proporzioni tondeggianti di un riconoscibile strumento a fiato originario del regno di Scozia. E un tempo di guarigione dimostrato pari a tre settimane abbondanti, decisamente superiore alle aspettative e di sicuro alle casistiche cui normalmente potremmo andare incontro, se pure fossimo abbastanza folli da aggirarci in simili recessi senza nessun tipo di calzature. O uno degli innumerevoli altri caratterizzati dalla presenza di una delle molte specie di questa famiglia cosmopolita, presente anche nel nostro Mediterraneo con particolare concentrazione nel Mar Ligure, dove diversi studi scientifici condotti nel corso degli ultimi due secoli sono giunti ad individuarne ben 8 specie differenti.
Ciò detto, lo studio diretto ed indiretto del veleno posseduto dai Glyceridae non dovrebbe essere sottovalutato, per la maniera in cui le sue tossine appaiono per certi versi complesse almeno quanto quelle di più imponenti animali, come serpenti e persino l’ornitorinco australiano, agendo potenzialmente in modo differente a seconda delle condizioni dell’organismo bersaglio. In una maniera già sfruttata in precedenza dalla farmacologia contemporanea, con possibili vantaggi per numerose branche di tale scienza funzionale al benessere della civiltà odierna. Ben venga, dunque, il singolare coraggio di chi ha voglia di sottoporre se stesso ad una prova per il bene di molti. Sebbene resti ragionevole interrogarsi sui meriti di uno studio condotto con siffatta metodologia informale… Che può comunque costituire l’ispirazione di eventuali, più precisi approfondimenti.

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