In un memorabile sketch, fin troppo vicino alla credibilità, del vecchio telegiornale satirico The Onion, gli abitanti di una città si riuniscono presso una diga prossima alla tracimazione. Il sindaco con luttuoso contegno, pronuncia il discorso in memoria delle vittime dovute all’allagamento, che nel giro di alcuni giorni spazzerà via un intero quartiere abitato dai suoi elettori meno abbienti. “Faremo tutto il possibile, ma con supremo rammarico ci renderemo conto che ormai sarà troppo tardi per l’evacuazione.” Se soltanto fosse stato possibile intervenire in qualche modo per alterare il corso degli eventi! Aggiunge il reporter, mentre gli addetti tolgono il telo che copriva il monumento commemorativo, dedicato alle decine di vittime destinate a morire prima della fine della settimana. Questa stessa inquietante immagine risulta perfettamente applicabile alla situazione corrente del mutamento climatico terrestre. Una “teoria” secondo alcuni, capaci di convincere le masse fondamentalmente disinteressate, grazie alla preponderante idea che se pure i segni esistono, possono essere variabilmente interpretati. Che se malauguratamente ci fosse qualcosa di vero, forse i nipoti dei nostri nipoti (che ci importa?) Potranno iniziare a percepire, con estremo senso di pregiudizio, un “lieve” aumento delle temperature nei mesi più caldi dell’anno. Certo, se davvero le cose fossero così semplici… Nel frattempo a partire almeno dal 2018, gli addetti al servizio forestale, i ricercatori ed altri utilizzatori abituali di mezzi volanti nel vasto territorio alaskano degli Stati Uniti d’America, hanno notato qualcosa di precedentemente inusitato. Una perdita di sfumature nella vastissima rete idrologica di tale stato, che ha visto il naturale cromatismo azzurrino delle acque incontaminate verso l’aspetto riconoscibile di una zuppa di piselli condita col pomodoro. Punto nodale di un fenomeno di causa ed effetto, le cui conseguenze non subito evidenti, prima di essere approfondite nel corso dell’ultimo mezzo decennio, colpivano già per la loro assoluta mancanza di precedenti. Perché di certo nessuno, prima di allora, aveva mai visto e neppure sentito parlare di un evento simile con portata così straordinariamente ampia: il Salmon River e i suoi affluenti, così come 75 corsi e torrenti nell’area fluviale del Brooks Range, con un’area complessiva ragionevolmente incontaminata dotata dell’estensione geografica del Texas intero, trasformati nel disegno fatto con l’evidenziatore su un’ideale mappa satellitare delle vagheggianti distese nordamericane. Ora è del tutto naturale pensare che se un cambiamento tanto esteso avviene in maniera così repentina, debba necessariamente costituire un effetto diretto o indiretto della mano dell’uomo. Il che lasciò inizialmente perplessi gli scienziati poiché come possiamo ampiamente testimoniare, l’Alaska è uno degli ultimi luoghi privi di fabbriche o industrie di sfruttamento al di là di specifiche zone importanti per l’industria mineraria o del petrolio. Quasi mai effettivamente adiacenti, sul territorio, alle zone coinvolte da una simile deviazione spontanea verso lo spettro vermiglio dell’arcobaleno. Lasciando così lo spazio a numerose teorie empiriche, finalmente confermate soltanto verso la metà di quest’anno con un paio di studi indipendenti pubblicati su riviste scientifiche, che il nodo del problema corrisponde effettivamente alla sua stessa fonte. Gettando l’ombra di notevoli e significative preoccupazioni future, che potrebbero anticipare di molto lo spettro incombente della conseguenza inesorabile dei nostri gesti…
scioglimento
Lo spontaneo consolidamento del ghiacciaio più pericoloso e veloce al mondo
Sermeq Kujalleq: sarebbe ingenuo immaginare una colonna sonora come quella del film animato Frozen, per accompagnare le operazioni della più importante fabbrica di castelli ghiacciati al mondo. Che non si trova, del resto, entro i confini del regno fatato di Arendelle, bensì presso la regione sud-ovest della grande isola di Groenlandia, tra il Mare del Labrador e la baia di Baffin, dove la costa presenta una frastagliata insenatura detta nella lingua dei locali “Disko Bugt”. La cui componente auditiva principale risulta viene rappresentata da un rombo continuo e lo stridente strofinamento, simile al grido di un preistorico gabbiano, che deriva dal continuo distaccarsi, e conseguente deriva marittima, di fino al 10% di tutti gli iceberg prodotti dalla Groenlandia. Strutture torreggianti alte fino a 70-90 metri, con torri acuminate, archi arditi, rostri impressionanti e il semplice ponderoso senso di minaccia, derivante dal fatto di essere vere e proprie isole alla deriva. E non a caso viene ritenuto oggi, altamente probabile se non addirittura certo, che proprio da un simile recesso possa aver ricevuto i natali la montagna candida che distrusse il Titanic, transatlantico più sfortunato della storia.
Mentre giusto di questi ultimi mesi è la scoperta, resa manifesta e pubblicata lo scorzo marzo grazie allo studio di osservazione satellitare ed aeronautico condotto dalla NASA che vanta il nome di OMG (non l’acronimo internettiano multiuso, bensì l’abbreviazione di “Oceans Melting Greenland”) che qualcosa, da queste parti, sta cambiando. Nel cuore sommerso dello stesso impressionante conglomerato di ghiaccio che un tempo si estendeva fino alle acque della baia antistante, con una sinuoseggiante estrusione chiamata “lingua” ed ormai scomparsa del tutto a partire dal 2013, un tetro anticipo di quello che sarebbe venuto dopo: l’arretramento ulteriore di 45 metri al giorno per svariati anni a venire, con conseguente sollevamento delle acque oceaniche terrestri (si calcolano circa 30 Km complessivi tra il 1850 e il 1964). Laddove oggi, non soltanto le accurate misurazioni raccolte ed analizzate dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena dimostrano con assoluta chiarezza un rallentamento di questo processo tra il 2016 e il 2018, bensì addirittura la sua stessa inversione, con una lenta ricrescita di quanto, un poco alla volta, il riscaldamento terrestre sembrava fermamente intenzionato a sottrarci per le infinite generazioni a venire. Che cosa sta succedendo, dunque? Il mondo è salvo, le temperature scendono, presto sperimenteremo l’inizio di una nuova Era Glaciale? Forse dovremmo pensare addirittura (gasp) che in ultima analisi, avesse ragione Donald Trump? Non proprio e per quanto sarebbe bello poter dare, per una volta, la buona novella, l’analisi approfondita della casistica in corso lascia intravedere un aspetto collaterale che in realtà dovrebbe, a conti fatti, persino accrescere il nostro stato di preoccupazione. Ne parla il glaciologo Ala Khazendar assieme al suo team, autore dello studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience con uno stile insolitamente divulgativo, allo scopo probabile di aprire gli occhi del grande pubblico dinnanzi alla potenziale deriva ecologica del nostro unico, insostituibile pianeta…
L’aereo che ha trovato un iceberg rettangolare nei pressi del Polo Sud
Per chi ne ha osservato le dinamiche sufficientemente a lungo, apparirà evidente che le opinioni del pubblico di Internet funzionano in maniera simile a quella del tendone di un circo: qualcuno pianta un palo più alto al centro, e tutti gli altri tendono verso di esso, avendo cura di restare saldamente puntellati nel proprio specifico angolo di terreno. All’ombra della nuova struttura che risulta da un tale sforzo, quindi, si esibiscono gli artisti. Creativi dell’informazione “social”, nel nostro caso, che fanno il possibile per sottolineare quanto sia raro, e prezioso, l’insignificante scampolo d’informazioni che stanno veicolando attraverso il proprio profilo, nome utente o (Ymir ce ne scampi) pagina di un blog. È successo l’ultima volta, ed è successo in maniera evidente, all’inizio di questa settimana, quando la NASA ha postato su Twitter un singolare ritrovamento della sua lunga missione aerea IceBridge, in corso dal marzo 2009, finalizzata al monitoraggio e l’osservazione dello stato della calotta glaciale antartica terrestre, affinché tutti possano convincersi finalmente che si, si trova attualmente in corso di scioglimento. Mentre il messaggio estratto per questa volta dalla fotografia in questione sembrerebbe essere l’inevitabilmente assai popolare “Una cosa simile non può avere origine NATURALE!” Un palo del tendone verso cui tendono i sempre fondamentali tiranti di: “opera del governo” e “qui c’entrano gli alieni” per non tralasciare mai l’essenziale “non vogliono dirci la verità”. E di certo, bisogna ammettere che l’iceberg in questione, lungo un miglio e recentemente staccatosi dalla piattaforma Larsen C facente parte della Penisola Antartica, ha un aspetto quanto meno singolare, con la sua superficie apparentemente piatta e gli angoli retti che segnano i suoi confini a rilievo sul mare, facendolo sembrare un perfetto rettangolo tracciato su un compito in classe di geometria.
Ma è proprio questo concetto che esistano forme naturali e altre prodotte dagli umani, fin troppo spesso dato per scontato nelle aule di scuola, quando non addirittura incoraggiato, che avrebbe bisogno di essere profondamente rivalutato. Laddove, come avevano scoperto già i primi filosofi naturali del mondo classico, la regolarità è osservabile in natura spesso quanto lo è il suo contrario… Se solo si sa dove guardare. E questa forma chiaramente definibile non fa certamente eccezione; considerate, tanto per cominciare, la scienza sperimentale della cristallografia, finalizzata a visualizzare mediante l’impiego di raggi X il reticolo atomico di un certo tipo di solidi. Esistenze appartenenti al mondo minerale, come il quarzo, per cui la forma minima si è rivelata essere per l’appunto, il tetraedro. E il ghiaccio. Ora io non sto certamente affermando che un iceberg rettangolare sia un caso frequente; ciò vorrebbe dire, semplicemente, spostarsi in direzione opposta alle regole dell’evidenza. Semplicemente la sua formazione è possibile, per non dire probabile, al verificarsi di particolari condizioni di partenza.
Prima di descriverle, tuttavia, non sarebbe più interessante gettare uno sguardo nei confronti del velivolo che si trovava lì, in quel momento, ad effettuare la prima fotografia pubblicata sui giornali di una delle più lunghe e importanti ricerche scientifiche degli ultimi 30 anni? Perché soltanto un stolto, mentre gli viene indicato il trapezio, sceglie di guardare il dito piuttosto che l’acrobata in volo. O nel nostro caso, un aereo di linea Douglas DC-8 equipaggiato con alcuni dei sensori e obiettivi fotografici più avanzati della corrente generazione tecnologica digitale…