Ricerca dimostra l’insospettata perizia canora delle foche

Nelle viscere del centro di ricerca, entro la vasca piena delle acque lasciate entrare dall’Oceano appena fuori queste mura, qualcosa sembra muoversi in maniera erratico. Quando a un tratto, la testa sbuca in riva alla piscina: è una lontra! No, deve trattarsi del famoso… Cane d’acqua! Con le pinne al posto delle zampe anteriori, e una grande coda da sirena. Il grigio essere anche detto “maiale di mare dal naso uncinato” (letteralmente in latino: Halichoerus grypus) che con agile sussulto, sale su all’asciutto, prima di mettersi a fissare qualcuno oppure… Qualcosa? Con suono penetrante, d’un tratto, qualche altoparlante inizia a emettere la melodia riconoscibile della famosa ninnananna inglese “Twinkle Twinkle Little Star”. La foca sembra pensarci solamente per un attimo. Quindi in modo soltanto lievemente stonato, inizia attentamente ad abbaiarne le salienti note…
Nostro quasi-gemello dalla fronte aerodinamica, le sopracciglia sporgenti e il naso sovradimensionato, l’uomo di Neanderthal trovò modo di esprimere tutta la propria intelligenza e capacità tecnica durante il periodo Paleolitico Medio. Finché un giorno, senza neppure l’accenno di un preavviso, cessò di esistere improvvisamente, lasciando il mito di un’alternativa razza umana che poteva ancora esistere in parallelo, se soltanto l’intera faccenda si fosse risolta in modo differente. Questo poiché niente è più importante, nella formazione di una civiltà capace di oltrepassare le generazioni, dell’apprendimento di un sistema realmente efficace per comunicare i propri bisogni, sentimenti e direttive ai propri simili, verso la definizione di un qualche tipo d’obiettivo comune. E questo è vero per gli ominidi, almeno quanto gli animali, dove il grado di sofisticazione del comparto di vocalizzazione costituisce un importante tratto distintivo nella valutazione dei rispettivi percorsi evolutivi pregressi. Vedi per esempio il caso delle scimmie più simili a noi, scimpanzé, gorilla ed altri primati, che pur possedendo pollice opponibile, massa cerebrale, strutture familiari complesse, non sono capaci d’elaborare neanche l’accenno di un suono articolato, laddove un semplice pappagallo, per non parlare del fantasmagorico uccello lira (Menuridae/Menura) possono agevolmente rivaleggiare l’ampia gamma di suoni prodotti da un umano del mondo moderno.
Eppure, quante e quali cognizioni possiamo realmente trarre sull’origine del linguaggio a partire da un qualsivoglia tipo d’uccello, creatura molto più simile ai dinosauri che hanno anticipato la nostra esistenza su questa Terra, piuttosto che a noialtri pur sempre bipedi, benché privi di piume, becco e coda per tenersi in equilibrio sopra i rami? Ben poche comparativamente parlando, potrebbero rispondere a pieno titolo Amanda L. Stansbury e Vincent M. Janik, ricercatori dell’Università di St. Andrews in Scozia, al termine di un lungo anno trascorso ad approfondire le capacità vocali del loro animale preferito, dimostrando qualcosa che già in molti sospettavamo: il fatto che i mammiferi marini, fatta eccezione per gli adattamenti dovuti al loro specifico ambiente d’appartenenza, sono tra le creature più simili a noi su questo pianeta. E che tra tutti loro, particolarmente i pinnipedi (foche, leoni marini, trichechi…) sono quelli dotati di una laringe dalle proporzioni familiari, labbra, lingua e addirittura la coppia di plichi vibranti nelle profondità della gola che noi siamo soliti chiamare “corde vocali”, particolarmente utili a produrre effetti sonori abbastanza simili e riconoscibili, sia fuori che dentro le profondità marine. Grazie alle particolari forme controllabili dell’onda sonora, definite in gergo tecnico “formanti”. Che permettono di creare suoni adatti, letteralmente, a una vasta serie d’occasioni…

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Parli come un cane della prateria

Prairie Dogs

Il primo giorno neanche mi avvicino. Osservo da oltre la dolce collina, il mio cavallo saldamente assicurato a un cactus della tiepida Arizona, la grande tribù dei Gunnison che s’industria nei suoi riti quotidiani. È chiaro che se davvero voglio stabilire un punto di contatto con il mondo sotterraneo di cui parlava Nonna Papera nelle sue storie, occorre procedere per gradi. Avere la pazienza di essere accettati mano a mano. Sono bestie queste, in fondo, alquanto differenti da noi altri viaggiatori della prateria. È presto chiaro che l’individualismo per loro non esiste. Sempre assieme, si agitano, discutono sui territori di ciascuno e qualche volta litigano, tendono a rincorrersi. Da un piccolo monte di terra con un buco in mezzo, come l’emicupola di un carro armato, sporge l’anziano del villaggio. È tanto grosso che ci passa appena, eppure tutti lo rispettano. Egli si guarda attorno attento, le zampette anteriori saldamente assicurate al bordo della sua fortezza, il manto marroncino che si agita nella leggera brezza del mattino. Basta un cenno di quel fiero condottiero per dirimere le liti, silenziare le proteste dei suoi giovani più scapestrati. Gli altri cani capi delle rispettive famiglie, di tanto in tanto, si recano sotto l’ombra della sua imponenza e parlano, gesticolano, assumono posizioni significative per lunghi e pesantissimi minuti. Quindi, apparentemente soddisfatti, spariscono di nuovo nelle buche. Verso la metà del pomeriggio, con i raggi del Sole che già ghermiscono le cime delle Gila Mountains, consumo la carne del coniglio ucciso ieri. Temporaneamente soddisfatto, leggo un libro ed entro nel mio sacco a pelo.
Mi sveglia il grido di un condor di passaggio, anzi no; ciò che gli fa seguito nella colonia contrapposta, giù dentro la valle delle pietre. Per la prima memorabile volta, già da oltre 100 metri di distanza, riesco a udire il suono della loro voce. È subito chiaro perché li abbiano chiamati come il tipico animale delle case: i roditori, contrariamente all’apparenza, stanno DAVVERO abbaiando. Ma paragonare un tale verso alle semplici lamentazioni di chihuahua, mi pare, sarebbe una grossolana inesattezza. Il loro verso collettivo pare una sirena che si agita sulle frequenze del sensibile, poi scende di tono, sale ancora e ancora e ancòra. Finché alla fine, spunta fuori il grande Toro Seduto alto 42 cm, gli occhi neri strabuzzati, le zampe rivolte verso il cielo. Getta il suo capo all’indietro e lancia un grido sconvolgente mentre YIIIP-YIIIP, riecheggiano i suoi simili dalle diverse buche. L’allarme è stato diffuso, il messaggio è chiaro. Il rapace, senza neanche voltare l’affilato becco verso la cacofonia sul suolo, vola via per la sua strada.
Le grandi scimmie. Le balene, chiaramente. Qualche delfino tra i più splendidi e educati: l’antica concezione, per cui il linguaggio sarebbe la maggiore invenzione, la più inimitabile medaglia appuntata sull’uniforme dell’umanità, è da tempo stata superata. Gli animali comunicano tra di loro, e non soltanto grazie ai gesti, alle movenze, ai feromoni. C’è una naturale tendenza a sopravvivere, comune ad ogni forma di vita, che conduce verso la ricerca continua di rimedi e scappatoie. Non sempre, la semplice selezione del più forte è ciò che guida il passo dell’evoluzione. Perché il più debole, piuttosto spesso, può vantare alternative qualità. Una caratteristica della prateria temperata, oltre al clima secco e la conseguente rarità di piogge, è la quasi totale assenza di piante ad alto fusto. Il che dona, ai suoi abitanti anche più piccolini, una visione molto estesa dell’ambiente circostante, dei suoi pericoli, dei predatori. E un cane, soprattutto se stanziale, per sopravvivere non può pensare solamente alla sua pelle. Deve osservare le regole dell’opportuna solidarietà.

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