La fuga fluidifica delle formiche in fiamme

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Foto di Steve Jurvetson – Via

Il più grande equivoco del mondo è la clessidra, perché osservarla ispira un senso macroscopico di calma. Come per l’acqua della pasta che non bolle o l’autobus che tarda se si guarda la lancetta, la percezione del tempo non migliora grazie all’attenzione; sarebbe a dire che diventa più precisa, troppo dettagliata. E si dilata oltre ogni limite della pazienza. Ogni particella nella risibile strettoia vetrosa, ciascun singolo granello del minuto, parrà discendere per la flemmatica storia geologica della creazione. Macigni, poi pietre e quindi polvere, per sempre destinata a scivolare, nello spazio di una doppia pera trasparente, eternamente rigirata. Eppure: implacabile è la gravità. Nel moto eruttivo della sabbia c’è una terribile determinazione, ovvero l’implacabile bisogno di cadere. Con costante accelerazione data da una mente minerale, fuoriesce. Sempre più vuota, sempre più veloce, possibilmente tutta assieme. Soltanto una volta riformatisi immutata, la pletora di granuli si acquieta soddisfatta. La mente umana non funziona a questo modo. Ciascun individuo, sospinto dai bisogni e desideri di quel mondo percepito, la macchina teatrale del sovrano mesencefalo, si muove in una direzioni differente. Alcuni cercano il potere, altri la realizzazione autogestita. C’è chi persegue trionfali meriti sportivi, mentre altrettante persone, dal canto loro, bramano i piaceri ineffabili dell’intelletto. Questo non è un vero problema, nella maggior parte delle situazioni ed anzi… La ripartizione delle competenze è tra i maggiori meriti della moderna civiltà. Specializzazione, che beltà, qualcuno mi dirà: medici studiano, per tutta la la vita, un organo appena, magari due. Astronomi ricercano, per generazioni, l’aura tiepida di un solo astro, stranamente mai segnato sulle carte. Ma entrambe le categorie periscono allo stesso modo, in determinate situazioni. Sarebbe a dire, incendi! Inondazioni! Terremoti! Questo perché persino loro sono fondamentalmente come le lucertole, oppure le formiche.
1990: il fisico e neuroscienziato americano Paul D. MacLean pubblica il suo studio più celebre, The Triune Brain in Evolution, prima esposizione del concetto del cervello trino. Padre, figlio e coccodrillo: ovvero neocorteccia, sistema limbico e complesso del rettile, che da solo li sostiene tutti quanti. Questa teoria, oggi largamente accettata negli ambienti rilevanti, individuava nelle formazioni anatomiche del cogitatore umano tre sezioni, ben distinte in villi e cavilli, tra materia grigia e sàpida mielina, ciascuna derivante da un diverso stadio dell’evoluzione. Utile, questa suprema distinzione. Soprattutto per comprendere una cosa. Che una volta eliminati i già citati vezzi personali, le rispettive preferenze, ridotta la condotta degli uomini ai suoi minimi termini, diventiamo tutti uguali. Nei campi isoprassico, specifico, sessuale, territoriale, gerarchico, temporale, sequenziale, spaziale e semiotico, siamo sospinti da una logica rigida e invariabile. Il bisogno di procedere, andare “a meta” a tutti i costi. Se dovessero spegnersi gli altri sistemi correttivi, ritorneremmo come bestie, quello che una volta siamo stati. Cosa che a volte si verifica, per un largo ventaglio di motivi. La causa più frequente è il timorpanico, l’irrefrenabile paura.

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La beccaccia balla senza cubo

American Woodcock

Non vola tanto spesso, questo uccello, ma quando finalmente si decide… L’american woodcock, o scolopax minor, è un abitante dei boschi dal peso di 230 g al massimo, con il becco a punta e gli occhi tondi e neri, stranamente arretrati sulla testa. Cresce presto. Mangia vermi. Si mimetizza. E quando arriva la tardiva primavera, negli stati nevosi in cui è solito abitare, la saluta per il tramite di uno speciale rituale. La danza e il canto di un amore senza fine, espresso in quel linguaggio universale che si può tradurre in gesti, suoni e sentimenti. Memorabile è il suo modus, degno di entertainer consumati, con le penne ben rodate da milioni d’anni di evoluzione. Verso sera e verso sud, dondolandosi tra i bassi cespugli dove ha costruito la sua casa, l’uccello raggiunge i margini della vegetazione. Emerge dagli alberi natii, da quel tiepido rigoglio, stando bene attento che non sia presente un predatore. Quindi, trovata una radura, un pascolo, uno spiazzo qualunque, subito si mette a gorgheggiare. Con il caratteristico piglio onomatopeico della lingua inglese, esiste un verbo apposito che definisce pienamente il verso di questa beccaccia: (to) peent. Peent, peent, peent (ripetere ad oltranza) Poetando in tale modo il suo entusiasmo, il maschio inizia a passeggiare in circolo, guardando bene intorno, nella speranza di scorgere la sua compagna. Lo fa per una, due, tre serate. Finché, d’un tratto eccola lì. La gallina (hen) splendida della foresta, decisamente più imponente del suo principe marrone. Lui incrocia il suo sguardo per un attimo, stringe il becco e dispiega le potenti, tozze ali. Tempo di far festa.
Lo scolopax può tenersi in aria ad una velocità di soli 8 Km/h, un record all’incontrario, tra i suoi simili pennuti. Fa tutto parte dello show. Il culmine operativo dello spettacolo aereo, ad ogni modo, ricorda un po’ l’attacco dello Stuka, il bombardiere tedesco che fischiava in picchiata per gettare nel panico il nemico. Come quest’ultimo, l’uccello vola in modo erratico e scomposto, benché non abbia il fine di dissuadere la contraerea. Si alza a 100 metri di altitudine, continuando il suo *peentare* finché a tale suono non si aggiunge un nuovo accordo; è un sibilo, il fischio del finale. Lo produce sempre lui, con le penne esterne delle ali.
In una folle discesa, valido contrappunto del suo vagheggiare precedente, si arresta in una parabola elegante, tra l’erba lievemente mossa dal vento. Nel silenzio ritornato della sera, lui ritrova la sua lei.

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Rivincita degli animali contro il golf

Animals PGA Tour

“Attenzione! Invasione di campo!” Aha, mazzuto giocatore con visiera bianca e nera, calzini a quadri, sobria magliettina tinta unita. Cercatore di aquile e uccellini (Eagle & Birdes). Tu che hai premuto sul pedale della buggy a quattro tempi, neanche fosse il mezzo trasportato dall’Apollo 15, poi piantando l’empia bandierina dell’esploratore di satelliti e pianeti. Questa Terra non è solo tua, ergo, vade retro Tiger Woods! O chi per te…Dove l’hai scavata, quella tua buchetta 9, Par 4 (con curva lieve a destra)? Non in mezzo al grigio Mare Tranquillitatis, residuo lavico di ecosistemi disgregati, inutile memento mineralizzato; bensì tra valli verdi, alberi vividi e vivaci! E dove c’erano profondi formicai, cattedrali Chtonie quanto silenziose, ormai scorrono rigagnoli senza ragione, ostacoli per sassi tondi e bucchicchiati. Ovvero palle pallide, insapori. Quindi hai posto le profonde buche colme di un sabbioso nulla, completamente inutili per mucche, lepri e grilli saltatori. Tutto questo con un solo fine: scoprire se riuscivi ad evitarle. Troppi crateri e troppi pochi meteoriti! Ah, la Luna mi sia testimone, terribile sarà la mia vendetta. Terribilmente fastidiosa.
Lo sport de “La quasi-piacevole passeggiata” si basa su accurate decisioni strategiche multi-livello, che richiedono degli anni di preparazione, scacchistica nei metodi e le prassi cognitive. È difficile appassionarsi a ciò che trascende dalla propria comprensione. Questo pure senza calcolare i tempi che richiede una tipica partita, lunghi e contemplativi quanto quelli dello Yoga. C’è persino l’occasione di annusare i fiori, insetti permettendo. La tensione di un swing risolutivo, quel singolo gesto che decide le carriere, non è facile da cogliere allo sguardo degli spettatori occasionali. Eppure noi moderni, affetti dalla sindrome dell’insostenibile attenzione, possiamo sempre apprezzare queste liste costruite per il web. Frenetiche, incalzanti! Le 10 buche in uno! I 10 tiri più lunghi! 10 volte che, ohibò, qualcosa è andato storto! Non a caso la Top Ten ufficiale del PGA Tour, principale organizzazione golfistica degli Stati Uniti, è una vera istituzione di YouTube. Ma un simile particolare esempio è veramente fuori dagli schemi. Si tratta di una classifica degli animali che hanno INTERROTTO le PARTITE. Ce n’é per tutti i gusti: rapaci, anatre, scoiattoli, martin pescatori. E soprattutto, rettili. Ché il tuo Lacostiano coccodrillo, borsaluto picchiatore di chiodini sottopalla, trovi la compagna meritata, tra le acque paludose della Florida o accogliente California. La placida lucertolona d’epoche preistoriche, sfrattata a colpi di rastrello dagli addetti al Country Club. 

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In abito elegante, tra leoni e calciatori

Kevin Richardson Van Gils

Ci si veste in base all’occasione. Facendomi ombra con la mano sopra gli occhi, scruto l’orizzonte del marrone sottobosco del Sudafrica. Siamo in pieno highveld, la prateria montana che si estende fino alle propaggini della savana. Gli alberi disseminati tra le colline ed i declivi nascondono, almeno così spero, la famiglia che mi aspetta per l’incontro più formale della nostra vita. Sono nobili di stirpe antica, con corone fulgide e fluenti. L’unica nota discordante nella mia figura: porto ai piedi un paio di scarpe sportivedella Nike. Però per questo, devo dirlo, c’è un perché. Si tratta del regalo che consegnerò, a sorpresa, sulla fine del ricevimento. Giocheremo tutti assieme una partita di pallone! Dopo tutto, già incombe quel momento, di una coppa e della gloria dei mondiali del Brasile. Il polsino bianco è luminoso come il sole che rimbalza contro il fine intreccio provenuto dall’Olanda, mentre il rosso di un distinto fazzoletto a righe, attentamente concordato con la morbida cravatta, presagisce il pasto sanguinoso di bistecche poco cotte; spero di trovarli già satolli, questi miei anfitrioni. Diventano nervosi, se affamati.
O almeno così dicono: non sono certo io, Kevin Richardson, l’uomo che convive coi leoni da una buona parte della sua vita, il fisioterapista che si è fatto guardaparco e poi… Rappresentante. Di giacche, telecamere, tutto quello che riesce a conquistare. Sempre con un ottimo obiettivo: dargli da mangiare (e quanto!) Per poi rappresentante, soprattutto, dei suoi parenti uomini, tra le cosiddette belve. Colui che qui vediamo, in abito di tutto punto, intento a fare quello che gli riesce meglio; ciò che soltanto lui, fra tutti, osa concepire.
Sarebbe, questa, una pubblicità di moda maschile. Fa parte della nuova campagna della Van Gils, la compagnia olandese il cui recente slogan recita “No stitch, no story” (Senza cuciture, niente storia) e che dagli anni ’40 produce dai suoi stabilimenti di Breda numerosi capi, accessori e calzature. Proviene, come creazione mediatica, da quel nuovo modo di concepire l’immagine aziendale sulla base di ciò che universalmente bello, senza mettere il prodotto al centro della scena, ad ogni costo. Però va detto che in questo particolare caso, vista la natura del progetto, si è riusciti a fare pure questo: bastava, dopo tutto, vestire bene l’incredibile protagonista. Guardarlo che cammina con riprese a campo lungo, in mezzo all’apparente nulla, con lo stesso prestigio visuale di un banchiere, già restituisce un certo effetto.

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