L’esercito invisibile della città di Graz

“Per ordine del vescovo di Roma, il Capo della Chiesa e vicario di Cristo in Terra, sono qui a portare in questo esercito la voce della ragione. Cessate, Sire, i questo assalto ingiustificato contro il vostro Imperatore.” Le parole latine usate da Bartolomeo Maraschi, vescovo di città di castello e legato papale, riecheggiarono per il campo dell’assedio di Graz. Il dito alzato in un ammonimento, il pastorale come un parafulmine contro gli sguardi ed il potere transitorio dei viventi. Era l’anno del Signore 1482, quando Matthias Corvinus, re dell’Ungheria, fece la sua mossa per riscuotere il debito contratto da Federico III d’Asburgo, l’austriaco che attualmente rivestiva il manto di protettore in terra dell’intera Cristianità. Il lunghi capelli che scendevano fino alle spalle ricadendo sul mantello rosso, la corazza in un solo pezzo di splendente acciaio lavorato e i guanti d’arme, l’uno dei quali ricadeva, quasi per caso, in prossimità del pomolo della sua spada lunga due spanne. L’altro poggiato sul destriero di Brabant, coperto dalla rigida bardatura a piastre. L’elmo incrostato di gemme e con l’immagine della sacra croce dorata dinnanzi alla visiera, ancora da una parte, tenuto in mano con reverenza dal fedele scudiero. Ci fu un attimo di assoluto silenzio, tra i fidati luogotenenti riuniti in consiglio informale prima di condurre l’ultimo assalto. L’arrivo del rappresentante del Vaticano era atteso, ma nonostante questo, sopraggiunse come un fulmine sopra le tombe dei soldati morti durante la sanguinosa campagna. Tirando un lungo sospiro, il re parlò: “L’Austria brucia, Eminenza. Questo è un fatto. Dieci anni fa, ricacciai i turchi dalla Moravia e dalla Wallachia, quindi marciai con il mio esercito fino in Polonia. Fu l’Imperatore stesso, allora, a stipulare con me la pace in cambio di un’indennità di guerra che non mi è stata mai concessa.” Soltanto allora re Corvinus passò le redini al suo servitore, quindi si inchinò profondamene alla figura religiosa: “In verità vi dico, se un governante non è in grado di mantenere la sua parola, che si faccia da parte. Egli non è degno di difendere la cristianità.”
La Styria: terra di confine. Un luogo in cui, attraverso i secoli, nazioni ed armate mercenarie, austriaci ed ottomani, cristiani e musulmani si combatterono strenuamente, finché di ogni città di questo Land non restò altro che un cumulo fumante di macerie. Tutte, tranne una: nella valle del fiume Mur, all’ombra dello Schlossberg, il “monte castello” fortificato originariamente dagli sloveni, Graz si era dimostrata imprendibile persino ai colpi dei più moderni e terribili cannoni. Nessuno, non importa quanto preparato, si era dimostrato in grado di oltrepassare quelle spesse mura. Fino a quel momento! Rialzatosi voltando le spalle al vescovo, il sovrano passò in rassegna i più fidati tra le sue truppe: la temuta Armata Nera d’Ungheria, composta dagli eredi stessi dei guerrieri delle antiche steppe, in una schiera di armature brunite cupe come la notte stessa, punteggiate con l’occasionale vessillo rosso e bianco dalla doppia croce, un simbolo mutuato dai commerci pregressi con il decaduto regno di Bisanzio. Ciascuno armato di una spada, una mazza e una picca, ed uno ogni quattro di ciò che li aveva resi imbattuti in una buona metà dell’Europa d’Oriente: il temutissimo archibugio. In un’epoca in cui ancora tutti si chiedevano cosa ci fosse di tanto utile, in un’arma che imitava malamente l’arco o la balestra senza averne la stessa affidabilità, Corvinus aveva compreso soprattutto il suo potere psicologico, del rombo che diventava come un grido di guerra, gettando lo sconforto dentro il cuore dei suoi nemici. Ormai a cavallo da cinque minuti, la mano destra alzata in un gesto imperioso, il re gridò il segnale prestabilito, che venne fatto riecheggiare per le schiere come l’eco di una riscossa sulle ragioni del Fato. Avanti, miei prodi, andate avanti. Il capo di un popolo cavalca innanzi ai suoi guerrieri, ma non certo durante gli assedi. E a molti altri, tra i nobili, era concesso di pensarla nello stesso modo. Fu una lunga cavalcata… Quando finalmente lo stemma degli Asburgo comparve chiaro sopra la porta della città, saldamente serrata con la doppia anta in legno di quercia, esso lo fece accompagnato da una seconda visione, ben più preoccupante. Centinaia, anzi migliaia di persone tra le merlature, ciascuna delle quali intenta nello scrutare l’orizzonte. Nessuno di loro poteva vantare l’aspetto di un soldato. Erano artigiani, mercanti, contadini. Soltanto alcun indossavano l’armatura. Ma nel momento in cui la schiera degli ungheresi fu finalmente a tiro, accanto al volto di ognuno prese a sollevarsi l’arma con cui si addestravano da lunghe settimane: un fucile della più pregiata forgiatura, oppure una pistola con la lunga miccia scintillante. Sembrava invero che l’intera popolazione della capitale regionale fosse pronta a fare fuoco contro gli assalitori in arme provenienti da Est. Fu proprio allora, se vogliamo continuare in questa fantasia, che Matthias Corvinus ebbe una visione. L’arcangelo Michele in persona, probabilmente richiamato dalle parole del legato papale, comparve in una sfera fiammeggiante sopra la polvere dell’antica strada di fattura romana: “Saggio governante, ricevi la mia profezia: oggi Graz non cadrà. Oggi, non cadrà.” Gli occhi strabuzzati, richiamato lo scudiero al suo fianco, il re chiese di suonare la ritirata. Torante indietro, indietro fino in Ungheria…

La pistola a ruota fu un’arma molto diffusa durante tutto il corso del XVI secolo. Era una grande arma da fuoco personale, lunga fino a 50 cm, con pomolo concepito per essere impugnato anche indossando degli spessi guanti di metallo.

Abbiamo brevemente descritto fino a questo punto i cittadini di Graz come una sorta di milizia equipaggiata soltanto lo stretto indispensabile, secondo l’usanza dell’epoca degli anni oscuri. E se questo poteva forse essere vero all’epoca del tentativo d’invasione portato avanti dal re d’Ungheria, di certo non lo sarebbe più stato all’incirca un secolo dopo. Nel 1564, quando l’imperatore Ferdinando III morì, lo fece dividendo il Sacro Romano Impero tra i suoi tre figli e l’Arciduca Carlo II Francesco d’Austria ricevette il dominio sulla Styria e tutta l’Austria centrale, luogo di provenienza della stessa dinastia degli Asburgo. Egli scelse, quindi, di stabilirsi proprio a Graz. Non fu certamente un caso: il primo inventario che abbiamo della celebre armeria cittadina, risalente al 1557, includeva 19.400 oggetti tra armi bianche, da fuoco ed armature, una fornitura certamente rara tra le armate che non fossero costrette a marciare al fronte, nel momento in cui il sovrano aderiva a una crociata o decideva di riscuotere i suoi conti presso i colleghi stranieri. Quelli erano certamente anni molto turbolenti, sopratutto in un territorio che da sempre si trovava a fare da frontiera contro le incursioni dei turchi dell’Impero Ottomano. Almeno finché, nel 1544, l’imperatore Carlo V non decise di porre fine alle ostilità, stipulando la pace con Solimano il Magnifico mediante un trattato umiliante che lo definiva solamente “Re di Spagna” lasciando il titolo di vero Cesare al governante di tutti i turchi. Ma nel 1593, i rispettivi eredi di questi due grandi personaggi, il nuovo imperatore cristiano Rodolfo II e il sultano Murad II riaccesero di nuovo le polveri del conflitto, con lo stesso scopo di consolidare il proprio potere vacillante grazie alle vittorie militari. A quel punto, quindi, le fortificazioni furono ulteriormente rafforzate, e la collezione di strumenti bellici a disposizione aumentò fino alla cifra impressionante di 85.000 pezzi. Queste armi erano tenute, all’epoca, tra i diversi edifici della guardia cittadina, i magazzini dei membri del consiglio ed una serie di baraccamenti tutt’altro che definitivi, appoggiati alle poderose mura del Landhaus, il principale edificio amministrativo. Ben presto, tuttavia, la situazione diventò ingestibile, e il parlamento locale decise di comune accordo che si richiedeva l’istituzione di un magazzino appositamente designato. Nel 1618, quando il ribelle ungherese Gabriele Bethlen iniziò la sua operazione di disturbo durante l’interminabile guerra dei trent’anni minacciando l’area della Styria, le fortificazioni di Graz furono ulteriormente rafforzate.

L’allestimento moderno dell’armeria di Graz è molto singolare tra i musei, perché tenta di mantenere lo stesso aspetto che questa aveva nell’epoca del suo effettivo utilizzo. Gli allestimenti sette-ottocenteschi, in cui alcuni dei pezzi migliori erano stati falsamente attribuiti ad eroi storici della Styria, sono stati tutti ripristinati allo stato originario.

Si ma cosa conteneva, esattamente? Stando ai dati contenuti nel sito ufficiale di quello che oggi ha assunto il nome di UNIVERSALMUSEUM JOANNEUM, nell’edificio finale costruito dall’architetto tirolese Antonio Solar, durante un periodo di fioritura delle arti presso la città di Graz, sono custodite 13.400 tra pistole e fucili, 704 pezzi d’artiglieria, 2.414 spade di vario tipo, inclusi gli enormi spadoni claymore e appuntiti stocchi da affondo, 5.395 lance, picche ed alabarde e ben 3.844 armature, del tipo più completo usato nel periodo del tardo medioevo. Dopo la stipula del trattato di Karlowitz avvenuta nel 1699, che poneva nuovamente fine ai conflitti con gli ottomani, ci fu infatti una spinta notevole verso il decommissionamento di questo repertorio ormai obsoleto, con in particolare la sovrana illuminata Maria Teresa d’Austria (reg. 1740-1780) che appariva più che mai propensa a liberarsi delle vestigia di un epoca sanguinosa ed ormai più che mai remota. Così furono i ricchi mercanti di Graz e l’amministrazione cittadina, pagando di tasca loro per mantenere un qualcosa che aveva per loro un ricco significato storico e materiale, a chiedere ed ottenere il mantenimento dell’armeria di Styria nello stato originario, trasformandola sostanzialmente in un museo. Nel 1807, l’allestimento fu cambiato e reso più accattivante, con ampie sale che ben poco avevano a vedere con la concezione utilitaristica dell’epoca medievale, ma una mancanza di fondi, unita ad un successivo ritorno in auge della visione più orientata alla ricostruzione storica, avrebbero permesso di riportare l’armeria al suo stato originario. Durante le due guerre mondiali, le armi furono trasportate al sicuro affinché ai politici non venisse in mente di venderli per assistere lo sforzo nazionale, e soltanto nel 1946, con l’aiuto dell’esercito inglese, vennero riportate nella loro sede ancestrale. Da allora, l’armeria di Graz costituisce un’attrattiva turistica di alta caratura nella sua regione, attirando molte migliaia di turisti ogni anno.
Il suo significato più importante, tuttavia, resta di un tipo totalmente differente: essa è la dimostrazione di quello che portò l’introduzione delle armi da fuoco. Una visione della guerra totalmente differente, in cui non era più l’addestramento a fare la differenza, bensì la disponibilità finanziaria e la quantità di uomini a disposizione. Per la prima volta, chiunque poteva uccidere un cavaliere in armatura completa, e gli stessi membri di una popolazione diventavano le armi dei loro governanti, spesso a discapito del loro stesso futuro. All’epoca dell’assalto del re avventuriero Matthias Corvinus alle spropositate mura, tuttavia, ancora non vigeva questa situazione. Nessuno conosceva il concetto della coscrizione da parte di un governo centrale, e l’armata dei cittadini della libera città di Graz dovette apparire come una sorta di miracolo all’incontrario. Quasi come se gli spiriti dei santi, risorti su richiamo del legato papale, fossero risorti per proteggere il potere del Sacro Impero dei Romani.

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