Uno dei più versatili e diffusi metodi per mantenere in posizione una carreggiata in corrispondenza di crepacci, fiumi, o vie trasversali sottostanti è l’utilizzo del ponte sospeso: approccio ingegneristico nel quale i piloni diventano dei punti di tiraggio per massiccio cordame del più solido materiale adattabile a quel tipo di finalità, ovvero acciaio estruso ed intrecciato in centinaia, se non migliaia di cavi paralleli ed uniti tra loro. Che non è solido (ma inflessibile) quanto il titanio, né malleabile (ma fragile) quanto il rame ma soprattutto può essere soggetto ai gravi crismi del degrado da ossidazione, capace di trasformare il suo reticolo cristallino in mera ruggine ben presto destinata alla disgregazione. Destino assai poco desiderabile, soprattutto quando si sta parlando di elementi strutturali interfacciati nel contesto di un sistema complesso, collegato alla sicurezza delle moltitudini nella viabilità del quotidiano urbano e non solo. Ragion per cui fin dall’epoca del ponte di Brooklyn, la grande opera di John A. Roebling che venne famosamente supervisionata fino al completamento da sua moglie dopo il suo improvvido decesso nel 1869, prese il nome dello storico ingegnere quel particolare approccio costruttivo consistente in uno strato esterno a quel fascio solido, protetto da una pasta impermeabile ricoperta, a sua volta, da una stretta spirale di filo ferrato non portante, facilmente rimpiazzabile in funzione dell’usura futura. Pur prendendo tale metodo il nome prototipico di “sistema Roebling” esso sarebbe diventato nel corso del secolo successivo ed oltre un caposaldo dell’ingegneria civile di ogni parte del mondo. Il che non significa, d’altronde, che margini di semplificazione procedurale risultino essere al di fuori della portata dei moderni.
Osservate, a tal proposito, questo video dimostrativo cinese relativo alla costruzione del ponte dello Zhangke, da un nome arcaico del primo tratto del fiume Beipan. Il che collegherebbe tale struttura, completata nel corso degli scorsi mesi, lungo il tratto dell’autostrada tra Nayong e Qinlong, nella provincia meridionale di Guizhou. Con un condizionale che risulta pressoché obbligato, vista l’esistenza di almeno altri due ponti moderni, e chissà quanti tradizionali, identificati esattamente con la stessa quantità e tipologia d’ideogrammi. Ancorché al momento della scena ciò che riesce a colpire maggiormente lo spettatore risulta essere proprio la maniera in cui i fondamentali cavi di ancoraggio, che non sembrano sfruttare unicamente le due torri di sostegno ma finiscono all’interno di altrettanti saldi blocchi di cemento imperniato nella nuda roccia della montagna, vengono messi al sicuro dal personale abbarbicato alla struttura precariamente incompleta del mega-progetto prossimo all’inaugurazione: attraverso un meccanismo rotativo avvolgente, capace di spostarsi lungo l’asse dell’oggetto di tanta attenzione, mentre con metodologia procedurale compie l’effettiva opera per cui è stato assemblato e trasportato in posizione. Come una sorta di ragno meccanico, laboriosamente impegnato nella costruzione di una scintillante e inamovibile ragnatela…
acciaio
Il bruco di veicoli che ascende l’arco catenario del parco nazionale a St. Louis
Periodicamente capace di svettare sugli spazi latenti della consapevolezza collettiva, il Gateway Arch di Saint Louis torna di tanto in tanto al centro delle cronache statunitensi, quasi sempre per la stessa identica ragione. Capitò per la prima volta nel 1970, quindi nel 2007, 2008, 2011 e di nuovo all’inizio della scorsa settimana di agosto del 2024, benché non ne sia stata ancora accertata la ragione: un gruppo di turisti sale con la massima tranquillità nel gruppo di capsule integrate, che potremmo definire la versione terrestre dell’astronave russa Soyuz. Quindi dopo una manciata di sferraglianti minuti, mentre tutti assieme risalivano il grande tubo metallico triangolare, avvertono una vibrazione, un contraccolpo, l’assoluta e imprescindibile immobilità. Panico? Terrore? Dipende dal carattere delle persone. Ciò che è certo è che una volta fermi a mezza altezza tra gli zero e 192 metri del remoto culmine, di una struttura larga esattamente 192 metri, tutto ciò che si può ben sperare è che il problema sia rapidamente risolvibile o i soccorsi giungano presto sul posto. Armati di corde, imbracature ed altri utili implementi, affinché le fino a 40 persone, possibilmente chiuse in una delle zampe del metallico mastodonte (80 in entrambe) possano essere laboriosamente trasferite all’adiacente scala di emergenza. Per tornare, con sonori versi di sollievo, a toccare la beneamata terra del Missouri con la suola delle proprie scarpe.
Al che sorgono spontaneamente due domande. La prima relativa a come, ancora oggi, possa succedere qualcosa di simile. Mentre la seconda, avendo come origine l’umano senso di sorpresa di persone meno consapevoli, può essere riassunta nella locuzione: “Ah, davvero! Non sapevo che corressero dei treni, all’interno del corpo cavo dell’altissimo arco della città di St. Louis…” Quell’elevato e indubbiamente iconico, svettante monumento, progettato inizialmente nel 1947 dall’architetto finlandese-americano Eero Saarinen, come proposta per il gran concorso destinato a scegliere un potente memoriale cittadino, dedicato al Popolo Americano, la colonizzazione della Costa Occidentale, Thomas Jefferson e i diritti degli afro-americani, più volte tutelati nel Vecchio Tribunale sito sulla stessa riva del fiume Mississippi. Un’iniziativa progettata inizialmente da Luther Ely Smith, avvocato e grande promotore d’iniziative cittadine nel primo terzo di secolo, benché fino a decadi dopo non fosse ancora chiara l’effettiva forma di una simile struttura, destinata a rivitalizzare l’intera immagine dell’antico porto fluviale, in quello che era già stato qualificato nel 1935 e per ragioni di budget come il più piccolo, innegabilmente atipico tra tutti i parchi nazionali statunitensi. Ma neppure lui avrebbe potuto immaginare la maniera in cui letterali migliaia di persone ogni giorno avrebbero potuto osservarlo, in tutta comodità, dai remoti confini dell’azzurra volta celeste…
Dispiega le sue ali l’astronave che traghetta nel 2024 la cultura di Zhuhai
Venne così fatto presente all’inizio del 2017, con estrema sorpresa dei rappresentanti del partito, le autorità cittadine e il gotha degli addetti ai lavori, che nell’intera area del delta del fiume delle Perle, situata a sud-ovest di Canton, mancava un significativo esempio di teatro internazionale. Inteso come centro di arti performative ad alta capienza, con l’acustica, caratteristiche e prerogative di un’installazione moderna sotto tutti i punti di vista che potessero dirsi effettivamente rilevanti. Un problema di sicuro non semplice da risolvere, per la maggior parte dei paesi sviluppati del primo mondo inclusa la Cina, benché quest’ultima potesse beneficiare oltre alle risorse finanziarie di un importante vantaggio in tutto ciò che riguarda l’architettura: la maniera in cui il governo a partire dagli anni ’70, con l’apertura del paese dall’invalicabile recinto dei bureau con partecipazioni statali, letterali dinosauri dell’epoca maoista, aveva coltivato un rapporto privilegiato con un ampio novero d’importanti nomi dalla larga fama all’interno di questo complesso, nonché dinamico ambito creativo. Tra cui l’ormai scomparsa Zaha Hadid, architetta irachena naturalizzata britannica, famosa per la sua disanima della corrente post-moderna trasformata in un risvolto del decostruttivismo futuribile, inteso come sovrapposizione delle forme pure, tralasciando il rispetto di qualsiasi canone direttamente o indirettamente ereditato. Sarebbe perciò interessante conoscere la sua opinione, in merito all’ultimo lavoro dello studio che aveva fondato nel 1980, e che tutt’ora mantiene intatta la sua splendida reputazione grazie all’opera dell’originale Senior Designer, Patrik Schumacher. Nome degno di supervisionare cose come… Questa. Sotto ogni punto di vista tranne quello biologico, un Leviatano d’acciaio supportato da colonne di cemento, 22 per la precisione, dislocate in uno spazio di 170 per 270 metri in mezzo ad un affascinante lago artificiale. Struttura parametrica creata con abbondante utilizzo del calcolo digitalizzato, verso l’adozione ed efficientamento di una serie di prerogative estetiche del tutto prive di precedenti. Perché il Zhuhai Jinwan Civic Art Centre, che prende il nome dalla città da 1,23 milioni di abitanti e l’area che la circonda, risulta essere dichiaratamente ed apprezzabilmente ispirato al volo in formazione a losanga degli uccelli migratori del sud della Cina, qui trasformati in quattro edifici romboidali, strettamente posti in relazione tra di loro grazie ad un cortile centrale, ma anche ponti sospesi, passerelle, solarium e passaggi nascosti. Recentemente inaugurati, guarda caso, nel recente 13 di dicembre alla presenza d’importanti dignitari e con una rappresentazione del celebre musical del 1959 The Sound of Music da cui fu tratta anni dopo la pellicola di Robert Wise, Tutti insieme appassionatamente.
Impossibile non andare nel frattempo, con la mente, alle astute e imprevedibili allusioni architettoniche a creature o trasformazioni in oggetti di uso quotidiano di un autore come Frank Gehry, benché ad un analisi e un momento d’introspezione successivo, il vero significato del volatile cinese paia portare tali aspetti analitici ad ulteriori conseguenze, grazie all’utilizzo di un diverso paio di ali…
L’incomparabile coltello di Husa, lama etnica dei monti dello Yunnan
Armi antiche e moderne, strumenti di battaglia, metodi affilati per provare le proprie ragioni o deviare l’impassibile progresso degli eventi. Recidere il pesante velo che talvolta, nonostante l’incessante impegno, può coprire l’effettiva verità delle cose. Quale metodo migliore da impiegare, a tal fine, che una spada? Il naturale prolungamento del braccio umano, impugnato fin da tempo immemore per segnare l’ascesa e la caduta degli Imperi. Tra cui uno dei maggiormente duraturi e vasti, soprattutto nel contesto dell’Asia Orientale, sarebbe diventato per tre secoli a partire dal XIV quello solido dei Ming, discendenti dell’etnia “cinese” per eccellenza, fondata sul rispetto di determinate cariche e valori, tra cui il rispetto dei propri antenati e tutto quello che si erano prefissati di riuscire ad ottenere in merito all’estensione del Celeste Impero. Ma non è mai stato possibile perseguire obiettivi di un simile tipo territoriale, nel corso serpeggiante della Storia, senza incrociare sul proprio cammino gruppi sociali o alterne fazioni, a loro volta dotate di aneliti diametralmente opposti, ovvero in diretta contrapposizione col sacro volere del Figlio dei Cieli. Così a partire dal 1441 il potente generale Mu Ying ricevette l’incarico e le risorse, egualmente necessari, al fine di condurre l’ambiziosa tripla spedizione di Luchuan, al fine di consolidare il turbolento confine tra la Cina e il regno di Birmania, attuale Repubblica del Myanmar. Ritrovandosi a dover fare i conti con la problematica assenza logistica di materiali per poter rimpiazzare le armi perdute o consumate, almeno fino alla creazione di una solida alleanza con il popolo locale degli Achang, genti in grado di sopravvivere quasi esclusivamente tramite la pastorizia ed il commercio dei metalli estratti dalle proprie antiche miniere sui rilievi limitrofi dell’entroterra continentale. La storia cinese risulta essere, in effetti, piena di situazioni simili: gruppi sociali o etnici considerati “distinti” poiché paralleli storicamente dalla discendenza dei grandi Han, disposti di volta in volta ad allearsi con il potere costituito in cambio di uno status migliorato o i diritti commerciali lungamente rifiutati ai propri antenati. Questo particolare caso nella contea di Longchuan, tuttavia, avrebbe assunto tinte atipiche quando i fabbri al seguito dell’armata imperiale scoprirono, tra le genti locali, un talento pluri-secolare nella costruzione d’implementi metallici, sebbene tradizionalmente appartenenti alle sole categorie normalmente prosaiche di rozzi attrezzi per l’agricoltura ed altre pacifiche attività umane. Non per molto ancora: così narrano le cronache, redatte da ambo le parti, che i tecnici discesi dall’allora capitale di Nanchino avrebbero insegnato tutto quello che sapevano ai fabbri degli eremi elevati, ottenendo da loro un ritorno considerevole per l’investimento di tempo e competenze, consistente in un tipo di lama tra i più formidabili che il Regno di Mezzo avesse mai conosciuto prima di allora: “Capace di tagliare il ferro come fosse fango, e arrotolarsi attorno alle dita.” Un’iperbole, quest’ultima, allusiva all’alto contenuto carbonifero e conseguente flessibilità del metallo impiegato, fin dai tempi immemori, dagli Achang per costruire implementi che potessero essere nascosti all’interno della cinta dei pantaloni. Eppure ciò che avrebbe avuto modo di scaturire dalle loro forge a partire da quel momento, in più di un singolo modo, sarebbe stato in grado di cambiare il corso stesso della Storia…