A quel punto il prezzo del petrolio era stellare. Per questo riprendemmo, lentamente, a veleggiare

Risale al 24 settembre la notizia del tempestivo varo da parte della DSIC (Dalian Shipbuilding Industry Co.) del primo vascello dimostrativo per un nuovo approccio alla consegna di merci e materie prime attorno al mondo. Una nave cargo sotto molti aspetti al passo coi tempi odierni, tranne che per un singolo, ma appariscente dettaglio: l’incombente presenza di quattro rettangoli dell’altezza di 40 metri, che si stagliano come gigantesche antenne satellitari sopra il ponte di una lunghezza approssimativa poco superiore a quella della torre Eiffel. Ma è nel momento in cui il flusso del vento cambia improvvisamente da ponente, che l’effettivo ruolo dei sottili monumenti diviene improvvisamente chiaro. Quando assolutamente all’unisono, come spinti da una forza misteriosa, si voltano a 45 gradi per sfruttarne il più possibile la propulsione. Esattamente come se costituissero gli alberi e pennoni, totalmente anacronistici, di uno spropositato veliero. Impossibile, o quasi… D’altra parte è un tempo che si calcola ormai in secoli, quello trascorso dall’ultima volta in cui l’energia eolica fu utilizzata estensivamente in campo commerciale dai galeoni, schooner e brigantini di un tempo, al fine di accorciare le distanze tra i remoti lidi che si affacciano presso gli oceani della nostra Terra. Un mondo largamente privo di segreti per lo meno dal punto di vista geografico, esclusi quelli generati progressivamente ed in maniera collaterale dai corsi e ricorsi della storia umana. Vedi quello che immediatamente segue nella nostra trattazione: possibile che un battello da trasporto da almeno un paio di centinaia di migliaia di tonnellate possa essere agevolmente mosso da un lato all’altro del mappamondo, usando UNICAMENTE l’energia prodotta dallo spostamento atmosferico dei gradienti di pressione che ne seguono e precorrono gli spostamenti? Dopo tutto, per le onde ha sempre funzionato. Ma il segreto da prendere in considerazione in questo caso è un altro. E riguarda quello che può essere ottenuto dall’unione di diversi approcci coincidenti alla stessa identica, fondamentale esigenza. Dopo tutto occorre risalire almeno all’ultimo trentennio del XIX secolo, per tornare a vedere navi definibili come dei veri e propri velieri intente a solcare agevolmente i mari, l’ultima generazione di tali battelli, dotati distintivamente di moderni scafi costruiti in metallo, con conseguente aumento della resistenza ed affidabilità in condizioni oceaniche al di fuori della norma. Narrano le cronache, d’altra parte, di come la barque finlandese a quattro alberi Pamir fosse riuscita a doppiare nel 1949 Capo Horn con soli 33 uomini a bordo, costituendo effettivamente l’ultimo bastimento a propulsione eolica ad avere il coraggio e la ragione di riuscire a farlo. Le ragioni principali sono almeno tre di cui la parte maggiore, assai probabilmente, esula dalla presa di coscienza del senso comune. A partire dal modo in cui (punto primo) una nave dotata di alberatura comporta operazioni molto più complesse per il suo carico e scarico, aumentando esponenzialmente i tempi che dovrà trascorrere all’interno dei porti di approdo, durante cui non potrà rendere nessun tipo di guadagno alla sua compagnia di gestione. E poi, punto secondo, va considerata l’inerente difficoltà di addestrare, stipendiare e disciplinare un equipaggio di decine di persone, laddove il comandante dovrà essere seguito da una squadra molto più ridotta quando di far muovere il suo vascello sarà stato incaricato un grosso motore alimentato a petrolio. Che del resto potrà funzionare sempre a regime, indipendentemente dalle condizioni climatiche e l’eventuale sussistenza di un’insidiosa bonaccia…

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Così apre “The Valley”, surreale contributo alla geologia metropolitana d’Olanda

Largamente costruito nel corso dell’ultima decade sul modello di zone come quella parigina di La Defense, o Canary Wharf a Londra, il distretto finanziario di Amsterdam chiamato Zuidas (letteralmente: Asse Sud) è una di quelle prove tecniche di città del futuro, ricettacolo tangibile di ogni significativa innovazione in campo architettonico e della ricerca estetica compiuta ai margini di un nuovo edificio. Luoghi come la sede della banca ANB AMRO, la torre ITO o il centro commerciale WTC colpiscono senza emozionare in modo particolarmente profondo, per la maniera in cui si presentano come il convenzionale “cubo di vetro” del tutto ordinario in questa categoria di contesti, perfettamente idoneo come luogo di lavoro ma che difficilmente verrebbe entusiasticamente scelto come luogo abitativo per la propria famiglia. Per vedere tuttavia qualcosa di radicalmente nuovo, tutto ciò che occorre è spingersi più avanti sul viale intitolato al grande musicista Beethoven, verso l’aeroporto di Schipol, dove sorge qualcosa di completamente innovativo per forma, funzione e posizionamento logico all’interno di un’ideale gerarchia degli edifici. Di primo acchito simile ad un edificio bombardato da un Creeper all’interno del videogame Minecraft, piuttosto che il costrutto risultante congelato di una partita in corso d’opera nel popolare rompicapo digitale Tetris, l’ultima creazione dello studio di Rotterdam MVRDV rivela dopo pochi attimi tutta la sua insolita ed intollerabile magnificenza. Di tre torri, rispettivamente alte 67, 81 e 100 metri costruite per la compagnia di sviluppo edilizio EDGE, in cui ogni cosa sembra essere stata lasciata al caos, in un tripudio di forme interconnesse e sovrapposte, per lo meno oltre l’involucro esterno di una ragionevole e rassicurante facciata riflettente. Unica concessione quest’ultima, in effetti, a quello che convenzionalmente si ritiene essere un’edificio di simili proporzioni.
Laddove la sua parte interna, discontinua e frastagliata, vorrebbe dichiaratamente ricordare la versione altamente stilizzata e quasi cubista di una formazione rocciosa naturale, complici anche le facciate dall’anonima tonalità color crema, nell’idea dell’architetto principale e portavoce del progetto Winy Maas, famoso sostenitore del moderno concetto di nuove città sostenibili e palazzi capaci di smaltire una quantità pari o superiore dell’anidride carbonica impiegata dai loro impianti d’energia inerenti. Così come appare l’appositamente denominata “The Valley”, nell’idea di partenza un vero e proprio bosco verticale ornato da molteplici giardini e piante, attentamente scelte in base all’esposizione nei confronti della luce solare nell’intricato dedalo di balconi ed elementi architettonici a sbalzo. Un risultato largamente perseguibile grazie al significativo apporto degli strumenti digitali e simulativi impiegati dallo studio in fase progettuale, non meno indispensabili per creare l’inventario dell’elevato numero di componenti realizzati su misura e materiali specifici utilizzati per dare una forma al surreale miraggio urbano. Una chiara dimostrazione di quello che parrebbe essere diventata oggi l’architettura di più alto profilo, sebbene come spesso capiti ai margini di simili creazioni d’avanguardia, le opinioni dei commentatori possano divergere con enfasi particolarmente intensa…

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L’iniziativa di affondare un’autostrada per avvicinare la Scandinavia al centro del continente europeo

Il 30 ottobre del 1990, senza particolari cerimonie, un foro del diametro di appena 50 mm venne completato orizzontalmente attraverso uno spesso strato di marna. Probabilmente uno dei più costosi di tutti i tempi, vista la maniera in cui completava finalmente il collegamento, dopo oltre due anni di lavoro, tra le gallerie scavate con immense trivelle a 55 metri di profondità e 50 Km di lunghezza sotto le fredde acque della Manica, preparando il sottosuolo al transito di due imponenti tragitti ferroviari. Così che l’Eurotunnel, inaugurato infine nel 1994, avrebbe finito per costituire una delle infrastrutture più notevoli della sua epoca, sebbene sussista ragionevolmente un tipo d’interrogativo dalla significativa pertinenza di una domanda: dovendo perseguire oggi lo stesso obiettivo, saremmo inclini a utilizzare macchinari equivalenti? Affrontare la stessa serie di difficoltà, potendo contare sull’esperienza precedentemente acquisita? Oppure fare affidamento a un tipo differente di soluzione, maggiormente calibrata sulle effettive esigenze di chi costruisce arterie di collegamento sotto i profondi strati dell’azzurra umidità terrestre… Come quello dell’immersione, applicato per la prima volta ed una singola corsia statunitense nel 1910 ma che proprio al volgere del millennio avrebbe dato prova della sua applicabilità su larga scala nel tunnel completato nel 1999 di Drogden, pari a 3.500 metri di cemento e acciaio letteralmente prefabbricati che contengono due corsie stradali ed altrettante dedicate al passaggio di convogli elettrici ad hoc, collegando efficacemente la punta meridionale della Svezia con l’importante porto danese di Copenaghen, assieme al ponte consequenziale di Øresund. Il che non prescinde una possibilità per l’ipotetico viaggiatore di dirigersi ulteriormente ad occidente, oltrepassando lo Storebæltsforbindelsen (collegamento fisso del Grande Belt) per giungere in una trasferta ininterrotta fino alla parte continentale della Danimarca, oltre un ponte a trave scatolare tra la Selandia e l’isola di Sprogø. Eppure fin da un lungo periodo e stata percepita, nella cognizione logistica di tali situazioni rispettivamente risalenti al 1998 e ’99, una grande mancanza veicolare a vantaggio di tutti coloro che, per ragioni di qualsivoglia tipo, avessero deciso piuttosto di procedere verso il meridione. Per raggiungere l’isola tedesca di Fehmarn, passando per la Lollandia, terra emersa oltre la quale l’unica maniera per procedere era imbarcarsi su un traghetto perdendo un tempo stimato che si aggira attorno ai 40 minuti. Del tutto accettabile in determinate circostanze, ma non sempre, e d’altra parte inadeguato in un contesto in cui simili attraversamenti richiedono generalmente una mera frazione di quel prolungato periodo di flemmatica navigazione. Per cui fin dall’epoca della seconda guerra mondiale, durante l’occupazione tedesca della Danimarca, l’architetto Heinrich Bartmann aveva elaborato un piano ambizioso per unire le due terre mediante l’impiego di un ponte sospeso, poi passato in secondo piano per le problematiche di tutt’altra natura derivanti dalla conclusione del sanguinoso conflitto. Ciò detto, l’ipotesi continuò ad affascinare la gente di quel paese, fino a concretizzarsi verso l’inizio degli anni ’90 con la proposta molto concreta di quello che sarebbe diventato di gran lunga il ponte sospeso più lungo del mondo, con quattro pilastri ed oltre 20 Km di carreggiata sopra le acque ondose dello stretto. L’effettivo coronamento di parecchi anni di pianificazione, destinato tuttavia a naufragare ancor prima dell’inizio dei lavori, dopo uno studio di fattibilità capace d’evidenziare la maniera in cui i forti venti trasversali, tra le direzioni est ed ovest, avrebbero reso quell’avveniristico sentiero inaccessibile per una parte significativa dell’anno. Dal che, l’idea: perché non invitare gli aspiranti attraversatori, piuttosto, a procedere direttamente sotto il mare…

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La costante accelerazione lineare dei treni nell’evoluzione delle ferrovie francesi

C’è un fascino difficile da sopravvalutare, nelle immagini in cui viene documentato un qualche pregresso record di velocità, particolarmente se del tipo rimasto imbattuto per un periodo attualmente pari ad esattamente 15 anni. La maniera in cui il veicolo, ripreso alternativamente con prospettive interne ed esterne, le seconde offerte almeno in parte dalla telecamera montata su di un jet a reazione Aérospatiale Corvette, coi motori a regime nell’impegnativa mansione di mantenere la corretta distanza dal sottostante serpente di vetro, plastica e metallo. Perché pur sempre di questo si tratta, nonostante le modifiche e soprattutto la rimozione di una larga parte dei suoi vagoni, al fine di raggiungere un rapporto di peso-potenza sensibilmente più vantaggioso. E benché i rettili striscianti non possano essere, in natura, creature particolarmente rapide, va da se che tale limite decada in situazioni tecnologiche, grazie al valore concesso dall’utile invenzione umana delle ruote. Interfacce ferroviarie, in senso più specifico, del treno modello TGV POS (Paris-Ostfrankreich-Süddeutschland) attivamente adibito alla ricerca del più prestigioso dei risultati nel mondo dei trasporti: la dimostrazione pratica di poter fare prima, in un’ideale confronto tra i sistemi semoventi, nel raggiungimento della meta finale. Così l’appassionante sequenza risalente al 2007, che mostra la sua duratura e impressionante fase di accelerazione, viene accompagnata dall’indicazione di un riquadro alfanumerico in alto a sinistra, indicante l’effettivo regime raggiunto a fronte di misurazioni tachimetriche innegabilmente precise. Dagli zero ai 100, e poi 250, 380, 495 e così via a seguire… Quando i pantografi del mezzo ad alimentazione elettrica vengono ritratti al fine di ridurre l’attrito, permettendogli di accelerare ancora per inerzia, ed il numero si ferma infine al ritmo demoniaco di 574,5 Km/h: abbastanza da spostarsi tra Los Angeles e San Francisco in poco meno di un’ora. Se soltanto negli Stati Uniti esistessero infrastrutture altrettanto solide e mezzi ferroviari di una comparabile potenza situazionale.
Così la storia ci ha abituato, nella ricerca delle eccellenze veicolari, di guardare unicamente ai trascorsi di determinati paesi come quello, cui si aggiungono in tempi recenti Giappone, Cina… Quando l’evidenza ci dimostra come, ancora oggi, esistano dei campi in cui è sovrana la cara vecchia Europa. Vedi quello, largamente ineccepibile, del trasporto ferroviario ad altissima velocità. O per dare il giusto a Cesare, francesizzando l’espressione, il Train à Grande Vitesse/alias TGV, lungamente associato a una reiterata serie di traguardi, a partire dall’ormai remoto 1981, mediante i quali la corona è ritornata più e più volte all’ombra dell’iconica Tour. Che poi sarebbe un eufemismo per chiarire come, tra tutti i metodi utilizzato per perfezionare il trasferimento di cose o persone oltre il tragitto di una prototipica strada ferrata, nessuno meriti gli stessi riconoscimenti di questo, perseguito attraverso le ultime quattro decadi eliminando fino all’ultimo margine d’errore inerente. Verso l’acquisizione dell’assoluto e incontrastato primato mondiale, per lo meno all’interno di una serie di linee guida, sinonimo di ragionevolezza procedurale…

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