Il micromondo medievale dell’artista che costruisce i suoi castelli con l’argilla di fiume

Al sopraggiungere del centesimo giorno di siccità, eventi insoliti iniziarono a verificarsi verso la periferia del mondo abitato. Pastori con greggi emaciate cominciarono a parlare di alte torri dove l’acqua era solita scorrere tra gli argini, relitti di antiche civiltà dimenticate. Eppure, facevano notare gli studiosi, nessun testo aulico parlava dell’intercorsa sussistenza di costoro, delle loro aspirazioni e cose costruite lungo il corso del più certo ed acclarato corso, quello della Storia. Un’ulteriore cambiamento, quindi, diede un senso logico alla situazione: il più svettante degli insediamenti si stagliò d’un tratto in mezzo agli alberi, ancor più in alto di qualsiasi punto l’acqua avesse mai raggiunto in precedenza. Naturalmente, all’epoca le persone erano più piccole, al punto che la loro altezza veniva misurata in millimetri. Ma questo non colpì nell’immediato tutti coloro che, con telecamere e telefoni alla mano, accorsero a vedere coi propri occhi uno dei più singolari misteri europei. Lillipuziani, ma non della terra di Lilliput. Elfi, eppure non del tipo che faceva la sua parte nei racconti di Tolkien ed un numero imprecisato dei suoi eredi letterari. Bensì creature del tutto invisibili ed emerse, ad un successivo sguardo maggiormente approfondito, dalle dimensioni dominate dall’incontenibile regno dell’immaginazione creativa. Appartenente, in questo caso specifico, a François Monthoux, artista, pittore, scultore. Programmatore di videogiochi, filosofo, eremita, pescatore in extremis di statue che stavano per essere portate vie dalla corrente. Anche questo accadde, al termine di quella favolosa estate del 2022, in cui egli riuscì ad individuare il suo processo più esclusivo e cavalcarlo fino a guadagnarsi il merito di questa epoca in cui tutto viene digitalizzato. Incluso l’esercizio di coloro che, lontano da occhi e orecchi delle moltitudini, tentano il raggiungimento del Nirvana della miniaturizzazione, impiegando soltanto materia di provenienza locale: l’antica terra, niente meno, prelevata direttamente dal letto prossimo a seccarsi di un ruscello montano a Biere, nel cantone svizzero di Vaud. Così una torre alla volta, una scalinata, un muro dopo l’altro, l’insediamento ha preso forma dal lavoro instancabile delle sue mani. Fino a profilarsi nella pletora dei suoi dettagli sostanziali, eterno eppure effimero per propria implicita definizione. Con i suoi molteplici quartieri, le statue, i bassifondi già soggetti a ricorrenti problematiche meteorologiche, il porto di approdo per vascelli provenienti da lontani continenti, le alte torri della zona universitaria, l’agglomerato delle matriarche protettrici delle antiche usanze con un ponte simile ad una colonna vertebrale, destinati ad essere spazzati via al ritorno delle piogge in autunno, senza lasciare tracce durature della propria intercorsa esistenza. Eppur: mai più! Avrebbero gridato le silenti moltitudini. All’interno della mente di colui che unico, tra tutti, avrebbe scelto di prestargli orecchio…

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L’oscuro potere spirituale delle sette bambole sepolte dai Maya

Contando e ricontando in modo rituale quanto si trovava all’interno del recipiente di fibre vegetali intrecciate, il Sommo Sacerdote volse ancora una volta lo sguardo ad Oriente. Ancora pochi attimi, lo sapeva molto bene, e la parete opposta si sarebbe illuminata dello sguardo sacro del sommo Spirito capace d’influenzare la vita, religiosa e secolare, della sua intera schiera di prestigiosi seguaci. Il sovrano e la sua famiglia, i funzionari regionali e gli addetti alla pianificazione pubblica in evidente stato di fervore religioso, mentre il popolo moriva di fame. Erano finalmente pronti ad inchinarsi, adesso, al suo segnale! L’altare di venerazione sollevato e messo da una parte, con un compartimento simile ad un tubo aperto in solenne attesa di ricevere quanto dovuto. Ancora una volta, Colui che aveva ricevuto tale incarico toccò in rapida sequenza il principio maschile dall’enorme fallo d’argilla, circondato dalle sue sei consorti scolpite nello stesso materiale, ciascuna caratterizzata da un diverso tipo di deformità fisica, importante segno della divinità. Ancora pochi minuti adesso, è quasi giunto il momento. Di nascondere tali entità agli occhi del mondo, per ora e fino alla fine dei giorni…
È in realtà del tutto essenziale al fine di comprendere la più duratura ed architettonicamente produttiva civiltà centrata nell’area mesoamericana, molti anni prima dell’arrivo di Colombo, citare almeno brevemente l’importanza avuta dalla matematica nella loro sofisticata serie di valori culturali. Scienza assolutamente primaria nel mantenimento di un calendario, nella conduzione dei commerci ed anche nei fondamentali calcoli ingegneristici, utilizzati per edificare alcune delle loro strutture destinate a durare maggiormente a lungo. Dato il semplicissimo sistema di notazione inoltre, in cui i punti indicavano le unità e le linee quantità di cinque, mentre lo zero era raffigurato da una conchiglia, chiunque poteva apprendere in poco tempo il funzionamento di tale meccanismo. Ed forse proprio in funzione di questo, che particolari numeri acquisivano significati molto particolari: il 20, quantità corrispondente al totale delle dita delle mani e dei piedi umani. Il 52, la quantità di anni capace di costituire un “fascio”, concettualmente non dissimile dai cento del secolo secondo il conteggio dei Greci e dei Latini. E per ragioni largamente ignote agli archeologi e filologi dei nostri giorni, quantità considerate sacre il numero 7. Scritta mediante l’uso di una linea sovrastata da due puntini, in una sorta di accenno alla pareidolia antropomorfa, tale cifra ricorre dunque negli schemi costruttivi dei Maya: 7 erano i tumuli di antichi sovrano presso il sito di Uxmal. 7 le torrette del palazzo di Teotihuacan, re di Tikal. 7 i serpenti a sonagli contenuti nel suo totem, 7 le piume che adornavano i ritratti scultorei delle antiche figure politiche o religiose. Con una capacità di ricorrere e risalire addirittura attraverso i secoli, giungendo fino alle città ed insediamenti dell’epoca Classica (250-900 d.C.) incluso quello studiato a partire dallo scorso secolo di Dzibilchaltun. Vera e propria città dell’odierno stato peninsulare dello Yucatàn, collocata il più possibile in prossimità della costa per sfruttare al massimo la preziosa risorsa del sale, in un’area ragionevolmente vivibile ma di certo non tra le più fertili di tale specifica sezione di continente. Il che non gli avrebbe impedito del resto, al suo apice, di ospitare una quantità stimata di circa 20.000 persone, capaci di trarre sostentamento da una fiorente pratica del commercio e alcuni riusciti tentativi di sfruttare al massimo i pochi terreni agricoli a disposizione. Tra cui una precisa conoscenza del ricorrere degli equinozi e dei solstizi, grazie al calcolo dei giorni, e una serie di precisi… Metodi e rituali, concepiti per attrarre l’attenzione volubile degli esseri superni. Tra cui l’entità creatrice del Mais, che sarebbe stata a seconda del periodo maschile, femminile o addirittura composta da due gemelli; Cha’ak o Chaac, l’essere talvolta plurimo incaricato di gestire la pioggia e tutto ciò che ne deriva; ed ovviamente, K’inich Ahau, il “Signore dal Volto di Fuoco” che ancora adesso siamo pronti a ricondurre alla potenza luminosa e termica dell’astro solare. Importante protettore, quest’ultimo, a cui ogni capitale della civiltà Maya era solita dedicare un tempio situato ad est, con caratteristiche speciali tra cui una colorazione bianca delle mura ricoperte di semplice stucco, piuttosto che policrome come avveniva normalmente, e finestre rivolte in direzioni specifiche, al fine di raccogliere la luce in corrispondenza di ricorrenze particolarmente importanti al fine di pianificare la coltura agricola con finalità di sussistenza. Aspetti in cui non fa eccezione Dzibilchaltun, sebbene tale struttura presenti nei cataloghi un appellativo chiaramente riferito a una funzione di tipo diverso, con chiare implicazioni di natura ancor più misteriosa e profonda: Structura.1-sub, alias “Tempio delle (sette) bambole”, una serie di figurine d’argilla custodite ad oggi presso il museo del sito, dall’aspetto particolarmente alieno ed inquietante…

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Stampanti 3D come vespe giganti, per una casa ecologica priva di compromessi

Compare all’improvviso quando e dove non te l’aspetti: l’agglomerato marrone di terra e saliva d’imenottero alato, simile ad un piccolo vasetto d’argilla. Ogni primavera e lungo i mesi caldi d’estate, in cucina, dietro i quadri, tra le travi, in mezzo alle tende. È questo il segno della tipica vespa vasaia, operosa volatrice di un ampia varietà di territori, tra cui quello italiano. L’immagine evocata dalla nuova costruzione in corso d’opera in quel di Massa Lombarda (Ravenna) è di una tipo ed una scala radicalmente diverse. Poiché per la legge dell’inverso del quadrato (la grandezza fisica è in modulo inversamente proporzionale alla distanza) e la specifica struttura biologica degli insetti, nulla che abbia antenne e strisce in elegante alternanza gialla e nera potrebbe vantare una dimensione tale da poter costruire un habitat di fango alto 6 metri e dal doppio diametro di 10, a meno di metterci qualche dozzina d’anni, l’equivalente per lei di svariate generazioni. E ciò senza contare come Tecla, questo il nome dell’insolita struttura preso in prestito dal romanzo sperimentale di Calvino su “Le città invisibili” (1972) sia in sostanza la creazione quasi momentanea di un’impresa tecnologica, dalle tempistiche paragonabili a quelle dei leggendari ponti, muri o costruzioni cosiddetti “del Diavolo”, per l’intervento di una forza sovrannaturale nella loro architettonica implementazione finale. Questo perché non è stata una comune Sceliphron spirifex a creare tutto questo bensì una WASP, acronimo anglofono che mira a riassumere la locuzione vagamente idealista World’s Advanced Saving Project (Il Progetto di Salvataggio Avanzato del Mondo!) un termine mirato ad identificare la stupefacente startup italiana di Massimo Moretti, e per antonomasia la sua speciale concezione di stampanti 3D di grandi dimensioni, costruite per assolvere ad uno dei bisogni più antichi e irrinunciabili dell’umanità: uno spazio, valido, conveniente ed ecologico, che possa essere chiamato casa.
Ecco dunque, perché il nome scelto per il piccolo edificio totalmente in materiali naturali creato assieme alla ditta d’architetti Mario Cucinella MCA è stata prelevato dall’eterno cantiere di questo ipotetico luogo letterario, in realtà non particolarmente dissimile da certi ambienti urbani contemporanei, in cui l’intera popolazione è continuamente impegnata in un cantiere senza limiti procedurali o di contesto, senza nessun tipo di progetto o intento finale tranne allontanare continuamente la marcia inesorabile dell’entropia. Una visione non dissimile da quella della vespa programmata dall’evoluzione e che potrebbe essere, di contro, molto più proficua ed utile qualora l’unico a vìverne gli aspetti maggiormente faticosi fosse un singolo ed omni-comprensivo robot. Così nasce, e indubitabilmente cresce, il grosso vaso simile a un’igloo fatto di strati sovrapposti, ciascuno progressivamente deposto dalla rotazione dell’apposita testina montata sul lungo braccio. E a pochi metri di distanza, ne opera un secondo, per la prima opera in ensemble di due stampanti WASP, programmate per lavorare in accordo alla stessa interessante creazione: una villa, una magione, il perfetto castello dei nostri tempi che sia totalmente riciclabile, eppure nondimeno isolato dal freddo, il caldo e soddisfacente in ogni minimo dettaglio. La dimostrazione che l’uomo preistorico, e i suoi più attenti eredi, sapevano perfettamente cosa stavano facendo. Ancor prima d’iniziare a utilizzare la calce, il cemento e i mattoni…

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Lo spettacolare banchetto di terra dei pappagalli ara macao

Fondamentale tratto dominante nel carattere degli appartenenti alla tribù Arini, parte della famiglia tassonomica che include la maggior parte delle specie tropicali di “veri” pappagalli, risulta essere un profondo senso dei pericoli e delle ricompense. Per uccelli tanto imponenti e maestosi, il cui complicato ecosistema natìo, le foreste dell’America Meridionale, comporta comunque significativi attacchi da parte dei potenziali predatori, dalla picchiata fatale di un rapace all’agile balzo del giaguaro, sino all’assalto occasionale di scimmie particolarmente affamate o dispettose. Il che ha fatto, di tali volatili caratterizzati da fantasiose armonie rosse, gialle, verdi e blu, la perfetta personificazione piumata della prudenza, rendendo favolosamente rara l’occasione di vederli posati per lunghi periodi durante il giorno, lontano dai propri nidi o fori protettivi nel tronco degli alberi secolari. Fatta eccezione per una singolare, reiterata casistica, talmente diffusa da aver dato i natali negli ultimi anni a una particolare forma di bird watching estremo, capace di portare lo sguardo di tutti coloro che vantano un qualche tipo d’interesse in materia al cospetto di letterali dozzine, se non addirittura centinaia di questi esseri, temporaneamente assembrati a stretto contatto in un singolo luogo dall’evidente quanto palese vulnerabilità: l’affioramento di argilla su un lieve declivio chiamato in lingua spagnola collpa, o un’equivalente assolata radura totalmente priva di nascondigli.
E tutto questo per compiere uno specifico, quanto essenziale gesto: prelevare con le zampe dei piccoli grumi di fango minerale, da trasportare fino ai rami più alti degli alberi vicini. Prima di aprire il becco ricurvo e iniziare, pensierosamente, a trangugiarne quantità significative. Si tratta di geofagia: l’abitudine, in effetti tutt’altro che rara nel mondo animale, consistente nell’assumere come parte della propria dieta del materiale del tutto inerte, con il più vasto ventaglio di possibili finalità. Vedi il caso, nell’universo volatile e anche nel caso di plurimi pappagalli, della costituzione del ventriglio o mulino gastrico, ovvero uno spazio all’interno dell’apparato digerente in cui il bolo alimentare possa essere letteralmente sminuzzato, dall’alta quantità di sassolini e ghiaia derivanti da un così ancestrale istinto. Ciò detto pappagalli come gli Ara possiedono un becco particolarmente affilato ed efficiente, quasi a livello di una vera e propria dentatura, nel preparare al processo digestivo la frutta, i fiori, il nettare e il resto dei materiali vegetali del resto particolarmente teneri, che sono soliti assumere come parte della propria dieta nell’habitat naturale di provenienza (fatta eccezione per alcune tipologie di semi legnosi, che del resto schiantano fragorosamente grazie a una così raffinata arma evolutiva). Il che ha portato, per lungo tempo, gli scienziati ad interrogarsi su quale, in tutta sincerità, potesse essere l’obiettivo perseguito nel corso di questi celebri pranzi a base di terra rossiccia. Tanto che prima di entrare nel merito della questione, possiamo dare spazio all’usuale quanto drammatica premessa. Secondo cui, ancora oggi e nonostante i notevoli progressi compiuti dai metodi d’approfondimento accademico, persiste innegabilmente qualche significativo grado di mistero…

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