In un certo tipo di racconti della fantascienza contemporanea, è convenzione che l’invasione aliena non raggiunga le terrestre sponde da molto, molto lontano. Palesandosi piuttosto come insurrezione o rimozione della maschera, di forze sotto copertura che aspettavano soltanto l’occasione o l’ordine dall’alto di far proprie le instabili strutture di governo costruite dai barcollanti umani. Disseppellendo quell’inarrestabile categoria di macchine, imponenti e longilinee, dalle zampe articolate e un lungo collo indagatore. Una guerra tra i mondi in altri termini, ovvero circostanze poco familiari ed esteriormente non troppo dissimili da quella rivelatosi, la scorsa estate così come nel 1999, 2000 e 2001, a tutti coloro che ebbero l’iniziativa di recarsi presso il bacino idrico di Cascade Lake, non lontano dalla capitale dello stato peninsulare americano per eccellenza. La Florida, quale altro? Un luogo che la convenzione vede già come fantastico, ancor prima che sublimi eventi come questo possano affiancare gli avvistamenti di enormi coccodrilli, pitoni e aculeati eserciti d’iguane alla ricerca di un territorio. Cui aggiungere, in maniera indisputabile, lo spettro longilineo dei Taxodium distichum, più comunemente detti cipressi calvi, cipressi di palude o più semplicemente cipressi, in queste terre ove l’imparentato sempreverde dei giardini formali o cimiteri italiani non è certo una visione di tutti i giorni. Presenze vegetali lungamente adattate ad uno stile di vita tutt’altro che comune, consistente nel prosperare con la parte basica del tronco totalmente immersa nelle acque biodiversamente affollate di uno degli ultimi veri ambienti selvaggi dei nostri giorni. L’immagine parecchio usata in campo metaforico, sia politicamente che altrove, in cui l’acqua incontra il suolo asciutto e viceversa, in un complesso susseguirsi di disomogenei contesti. Un pelo totalmente opaco, caso vuole, proprio per l’alto contenuto di tannini degli aghi perduti dalle chiome soprastanti, capaci di annerire e rendere impenetrabile il mistero dei tentacoli che ne collegano il tronco svettante al suolo della palude. Finché l’evento sopra prospettato, per ragioni chiare ma non prevedibili dal punto di vista cronologico, non agevolano l’immane gioco di prestigio rivelatorio. Già, ma quali sono le ragioni del fenomeno, esattamente?
territorio
Lo scavo di Serse che aprì una falsa rotta verso l’immortalità persiana
Se si legge davvero Erodoto, giungendo a interpretare le parole del padre della storiografia attraverso lo strumento della logica, non è impossibile la percezione di una prospettiva molto più pragmatica di quanto gli scienziati tendano ad attribuire a tali scritti. oggettivamente calibrati sulla base di un bisogno di veicolare sottotesti moralisti ed un messaggio per le generazioni future. Così per il conflitto alle Termopili, idealizzato nella narrativa culturale e folkloristica come il prototipo tra scontro di civiltà contrapposte, egli ci forniva un corollario, troppo spesso trascurato nelle rappresentazioni idealizzate dell’impresa di Re Leonida e i suoi Trecento. Proprio perché fastidiosamente utile a nutrire il dubbio che il Nemico, supremo governante del vasto ed assillante Oriente, fosse caratterizzato da uno spirito fattivo ed ingegnoso, lo stesso attribuito in modo stereotipico agli altri produttori di un valore nel Mondo Antico. Sto parlando, chiaramente, di Serse e della battaglia navale di Capo Artemisio (stesso anno di quel passo leggendario: 480 a.C.) e del percorso per cui tramite la flotta degli Achemenidi raggiunse il golfo Termaico, luogo dove avrebbe conosciuto la sua più acerrima ed irrimediabile sconfitta in parallelo alle forze di terra facenti parte dell’invasione. Nonostante una disparità di forze ancora una volta a vantaggio dell’invasore, per 1.207 scafi contro gli appena 271 della lega Pan-Ellenica, per di più costituite da vascelli più piccoli ma proprio in conseguenza di ciò, capaci di navigare molto agevolmente tra le forti correnti del Mar Egeo. Al punto che sarebbe stato lecito chiedersi come Serse fosse riuscito, esattamente, là dove suo padre Dario aveva fallito, nel doppiare uno dei tratti marini più pericolosi dell’intera regione balcanica, il primo dei tre capi costituenti il “tridente” della penisola Calcidica, sotto l’ombra del monte sacro di Athos. Un luogo costato, 12 anni prima, una buona parte delle 300 navi e 20.000 uomini al comando del generale persiano Mardonios, quando una raffica di vento improvviso li aveva portati ad impattare contro la scogliera, permettendo nelle parole di Erodoto stesso, alle bestie feroci “di portare via i viventi” volendo alludere molto probabilmente all’opera di grandi squali bianchi. Come convincere di nuovo la leadership militare sottoposta all’autorità del Re dei Re che la sola strada per la Grecia fosse nel contempo la migliore immaginabile, nell’interesse della maggior fama delle proprie genti e il fato manifesto che ne guidava le imprese? Così prosegue lo storico di Alicarnasso: scavando un canale capace di aggirare il problema.
Due chilometri di lunghezza per 30 metri di ampiezza, realizzati in un periodo di tre anni circa, facendone effettivamente una delle opere d’ingegneria militare più significative della propria Era. Al pari guarda caso del ponte di barche per attraversare l’Ellesponto per una lunghezza di 1.300 metri circa, anch’esso fatto edificare da Serse ed estensivamente descritto nelle Storie a qualche capitolo di distanza. Ma senza lo stesso problema fondamentale di credibilità immanente. Poiché se un grande canale attraversò per qualche tempo la Calcide, per quale assurda ragione non ve n’è la minima traccia residua? Indagini, in epoca moderna, avrebbero seguìto agli spunti d’analisi risultanti…
La lunga genesi del parco eolico sul tetto del mondo
Il fatto stesso che siamo diventati tanto efficienti e rapidi nell’edificazione di una completa installazione energetica offshore, con potenziali dozzine d’imponenti mulini a vento che spuntano surreali tra le acque come in un quadro di Salvador Dalì, è la prova evidente della sostenibilità economica di un tale approccio alla generazione di energia, anche senza considerare l’importanza di un simile approccio per il futuro dell’ambiente e la conservazione di una valida parvenza d’integrità ecologica per il nostro già provato pianeta. Il che non può porre in subordine, d’altronde, l’elevata quantità di risorse necessarie al completamento di un simile progetto, l’impegno spesso pluriennale ed una dose imprescindibilmente elevata di know-how necessario, affinché si possa mettere in funzione l’operante prospettiva dell’appalto generalmente concesso in via diretta dal governo di una delle maggiori potenze economiche esistenti. Come per l’appunto la Cina, attuale leader mondiale per quantità e resa energetica delle proprie installazioni eoliche onshore in luoghi spesso remoti, un merito oggettivo indipendente dalle divergenze o spregiudicate mosse compiute sul sentiero per affermarsi nel proprio ruolo di superpotenza fermamente intenzionata a espandere i propri confini sulla base di un diritto politico autonomamente fabbricato. Giustapposizione guarda caso estremamente rilevante per quanto concerne il parco delle pale nel distretto di Seni, finalmente connesso alla rete in questo inizio del 2024 poco sopra la città di Nagqu alla quota impressionante di 4.650 metri, superiore a quella di qualsiasi altro complesso simile attualmente esistente. Giusto in quella che gli atlanti nazionali chiamano ostinatamente Regione Autonoma di Xizang, con i nome subentrato a quello storico, la bandiera e l’identità creata dal popolo tibetano stesso. Benché alcuna pregressa imposizione di un sistema di governo straniero, anche se fondata su azioni improprie e l’uso delle armi moderne, non possa né dovrebbe idealmente sovrascrivere i meriti di un avanzamento tecnologico o infrastrutturale atto a risolvere un palese bisogno. Con un intento indubbiamente duplice atto a giustificare il mantenimento del nuovo stato delle cose, ma anche l’inerente concessione di un miglioramento della qualità della vita. In questo caso derivante dalla possibilità di mantenere acceso il riscaldamento domestico più a lungo per una porzione degli oltre 230.000 abitanti condizionati dal lungo ed impietoso inverno tra le montagne più alte del mondo. In un ambiente che per il resto apparirebbe conforme a quello di una confortevole e moderna realtà urbana ma che non può semplicemente ricorrere a fonti di energia capaci di squilibrare il prezioso e fragile ecosistema locale. Obiettivo non particolarmente facile da raggiungere, quando si considera la distanza di un tale sito dalle coste dell’oceano comunemente usate al fine di trasformare il vento in potenza. Lasciando soltanto sentieri alternativi, formalmente opposti ma egualmente funzionali alla generazione di un flusso d’aria veramente efficace…
Un atteso riconoscimento al lago che occupava l’intera metà orientale d’Europa
L’estrema antichità della Terra era fondamentalmente un’epoca di assoluto dualismo. Quando le placche continentali risultavano ancora unite in una singola entità e qualsiasi mappa fosse stata tracciata della superficie di questo pianeta avrebbe mostrato l’evidente contrapposizione tra il singolo altopiano e l’antistante pianura; l’entroterra, una lunga e frastagliata linea costiera; la foresta popolata di creature, la steppa desolata prossima alla desertificazione. E soprattutto, UN oceano, UN lago. Soluzione molto pratica all’incombente giustapposizione topografica, di cosa contrapporre ad una massa d’acqua che avvolgeva totalmente i globo destinato ad ospitare un giorno le multiformi civilizzazioni umane: questo era il vasto Tethys e il suo “minuscolo” gemello, Parathetys (o Paratetide, o Sarmatico) non molto meno salmastro e popolato di creature ad oggi oggetto di molteplici ipotesi contrastanti. Così definito per la prima volta nel 1924 dal geografo Vladimir Laskarev, che ne aveva teorizzato l’esistenza dall’osservazione di taluni strati di sedimenti risalenti all’epoca del Neogene (23,03 – 2,58 milioni di anni fa) in grado di sfidare la percezione per lo più unitaria degli ambienti appartenenti ad un talmente vasto trascorso della massa eurasiatica presa in esame. Il che non significava, d’altra parte, che qualcuno si sarebbe affrettato ad aggiornare le mappe pubblicate sui libri scientifici e di scuola, per almeno un altro mezzo secolo a venire. Poiché la presa di coscienza che un lago ci fosse non sottintendeva informazioni specifiche sulla sua forma e dimensioni, tanto che teorie molto diverse ebbero a succedersi per tutto il corso del secolo successivo. E fino al 2021 quando, finalmente, una ricerca approfondita avrebbe posto un significativo sugello a questa interminabile diatriba. Per l’iniziativa e i metodi impiegati da Dan Valentin Palcu, del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Utrecht, che per primo ebbe l’idea di applicare la moderna disciplina della magnetostratigrafia allo studio degli strati geologici rintracciati nella zona della penisola russa di Taman, che si avvicina nella parte settentrionale del Mar Nero alla propaggine orientale della Crimea. Così da rintracciare, attraverso una datazione conseguente dalla periodica inversione della polarità terrestre, l’intera storia pregressa del vasto territorio che incorporava, o per meglio dire conteneva, l’attuale bacino idrico di un tale asset strategico al centro d’innumerevoli conflitti fino all’era contemporanea. Unendola in quei tempi remoti con il Mar Caspio in quella che era una singola distesa in grado di estendersi fino alle Alpi da una parte, ed il mare di Aral dell’Asia Centrale dall’altra. Non è perciò alquanto stupefacente, ed al tempo stesso innegabilmente ingiusto, che il mega-lago Paratetide non sia mai effettivamente comparso, fino all’edizione attuale, negli augusti e celebrati elenchi del Guinness dei Primati?