Sul finire di quello che potremmo definire il primo capitolo della serie fantasy de “Il Trono di Spade”, i giovani principi e principesse di una nobile casata ricevono dal padre il permesso di allevare un’intera cucciolata rimasta orfano, di quello che costituisce l’animale raffigurato sul proprio stesso blasone. In una sostanziale perversione dell’ideale narrativo disneyano o fiabesco, tanto rappresentativa della poetica dell’esperto narratore George Martin, l’evento diviene profetico in tutte le maniere peggiori immaginabili, nella carrellata di eventi che costituiranno soltanto l’inizio di un tragico racconto. Oggi, con una copertina riservata sul Times, la facoltosa compagnia texana Colossal che opera nel settore della manipolazione genetica, già famosa per i “topi dal mantello lanoso” del mese scorso, afferma di aver riportato in vita quegli stessi animali, che nell’adattamento italiano venivano chiamati “meta-lupi”. Le conseguenze a breve o medio termine, tutto considerato, potrebbero anche non superare in ottimismo quelle del popolare romanzo.
Ma prima di tutto che cos’è, esattamente, un meta-lupo? Niente di fantastico a dire il vero, se vogliamo far ricorso alla terminologia originariamente utilizzata in lingua inglese, dove l’autore utilizzava il termine dire-wolf, corrispondente nella propria lingua alla specie estinta dell’Aenocyon dirus o più semplicemente, enocione. “Quando ancora i mammuth camminavano sulla Terra…” Si è soliti affermare: “Gli Egizi hanno costruito le piramidi.” Ed allo stesso tempo, nei boschi di montagna nord-americani, e l’arida savana sudamericana, creature simili agli odierni canidi lupini cercavano di sopravvivere nutrendosi in grossi branchi dei mega-erbivori come bradipi giganti, uri preistorici, cammelli, mastodonti. Operazione non propriamente semplicissima dal punto di vista logistico, per cui sappiamo che l’evoluzione li aveva dotati di una stazza minima di 60 Kg ed un cranio sovradimensionato, con dentizione particolarmente formidabile e muscoli possenti capaci di correre per un periodo sufficiente a sfiancare qualsiasi preda. Il che li avrebbe resi senza dubbio dei validi candidati per l’addomesticazione, se non fosse stato per l’intercorsa estinzione prima dell’emergere di civiltà organizzate nel proprio territorio di appartenenza, causa il cambiamento dei fattori ecologici nel corso di migliaia di anni, oltre al sopraggiungere di predatori più adattabili e capaci di fargli concorrenza sleale…
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L’impraticabile leggerezza dello Starship, futuribile fallimento nella storia dell’aviazione
Se i tipici compratori degli aerei privati dovessero preoccuparsi in maggior misura proporzionale del costo iniziale del velivolo, vedremmo probabilmente una maggiore quantità di apparecchi concepiti per stupire o impressionare gli spettatori, in maniera analoga ma in proporzione più costosa delle stravaganti hypercar che lungi dal diminuire di numero, hanno addirittura proliferato nel corso degli ultimi due decenni. Se anche il significativo apporto pecuniario da conferire per carburante, mantenimento e riparazione di una tale classe di status symbol costituisse l’ultimo problema, ancora i più bizzarri esempi ingegneristici troverebbero un proprio segmento di mercato, vista l’esistenza del rinomato ed altrettanto problematico 1%, per cui ogni tipologia di crisi economica o disastro finanziario costituisce ormai soltanto l’occasione di generare ulteriori profitti. Ma un mezzo di trasporto alato è soprattutto la punta dell’iceberg di un sofisticato sistema, fondato sulla produzione pressoché continua di pezzi di ricambio. E non è semplicemente immaginabile che una compagnia del mondo capitalista, di fronte a una manciata di esemplari venduti, possa continuare a supportarli in perpetuo. Fu probabilmente questo, tra gli altri fattori ad affossare irrimediabilmente uno degli aerei più avanzati (in linea di principio) ed avveniristici (se così vogliamo definirlo) dei rutilanti, fiduciosi, eclettici anni ’80.
Ci sono bolidi con ali a freccia, ed altri dotati di configurazione aerodinamica con gli alettoni frontali canard. Alcuni sono dotati delle atipiche eliche spingenti, con il vantaggio di ridurre le vibrazioni nell’abitacolo fino ad un valore paragonabile a quello di uno stabile motore a reazione. Ben pochi, d’altra parte, possiedono una “coda” invertita, finalizzata a contrastare l’eccessiva portanza della parte frontale della fusoliera, che avrebbe altrimenti teso ad allontanarsi costantemente ed incessantemente dalla linea dell’orizzonte. E poi c’è il Beechcraft Starship, che incorpora tutte queste caratteristiche e diversi altri anacronismi, intesi come valide anticipazioni di tecnologie all’epoca sperimentali, alcune delle quali destinate a diventare dei capisaldi futuri dell’aviazione. Ecco un piccolo bimotore a turboelica per fino ad otto passeggeri dunque, che potrebbe definirsi la risultanza di una serie di fattori tangenti, ciascuno destinato a contribuire al suo strabiliante eclettismo in termini di estetica e funzionalità. Costituendo, allo stesso tempo, l’imprescindibile genesi della sua inevitabile condanna. L’idea nacque di suo conto nel 1979, dall’intento pratico e condivisibile di commercializzare un nuovo successo appartenente alla categoria dei riusciti King Air, aerei “da turismo” e trasporto su tratte medio-brevi, che avevano dominato il mercato nel corso delle loro ultime quattro generazioni…
Drone ibrido dimostra potenzialità e capacità di carico di un pipistrello a nove rotori
Il concetto di auto ibrida che unisce il meglio di entrambi i tipi di motore, elettrico ed a combustione interna, risulta essere fondamentalmente limitato dal fatto che in due dimensioni la direzione di marcia possibile è una soltanto, e l’interfaccia tra i due sistemi comporta necessariamente la perdita di una quantità d’energia, prima che essa possa essere trasferita all’albero di trasmissione che fa muovere in avanti le ruote. Ma basta introdurre tale configurazione nello spazio teorico dei mezzi volanti, per vedere i presupposti letteralmente capovolti su loro stessi: un aeroplano è di suo conto sottoposto in un dato momento a due forze fondamentali, quella naturale che contrasta la gravità terrestre, detta la portanza; assieme a ciò che insiste a farlo muovere in avanti. E lo stesso vale per quanto concerne l’elicottero, benché l’origine di quel vettore orizzontale sia la conseguenza meramente geometrica dell’orientamento scelto per il suo rotore. Che dire, d’altra parte, del drone? Questo termine ad ombrello, che oggi sembra incorporare ogni velivolo con sistemi di controllo parzialmente o totalmente automatici, assieme a quelli forniti di capacità per il decollo verticale grazie a configurazioni di rotori plurimi o posizionati in modo tutt’altro che convenzionale. Un ambito nel quale, fino al radicale annuncio del 2020, la compagnia slovena Pipistrel non si era ancora mossa con il chiaro intento di modificare il paradigma del settore. Non aveva combinato la sua competenza trentennale nella costruzione di aeroplani leggeri applicandola in un’interpretazione alternativa dei trasporti volanti rivisitati. E non aveva presentato al pubblico la coppia del Nuuva V20 e V300, con un approccio indubbiamente innovativo in merito a quali possano essere le aspettative per un dispositivo volante al termine del primo quarto del ventunesimo secolo, soprattutto in termini di dimensioni e capacità di carico inerente.
La più massiccia delle due proposte in effetti, sottoposta al primo breve test di volo all’inizio di questa settimana, è un impressionante apparecchio della lunghezza di 11,3 e un’apertura alare di 13,2 metri, dimensioni grosso modo comparabili a quelle di un drone militare Predator dell’Aviazione statunitense. Essendo rispetto ad esso dotato della capacità, niente affatto trascurabile, di decollare ed atterrare senza l’uso di una pista realizzata ad hoc, con un carico a bordo capace di raggiungere il volume di tre pallet europei (80 cm x 1,3 metri ciascuno) e un peso di missione massimo pari 460 Kg. Molto più del necessario, dunque, per portare i rifornimenti in un insediamento remoto, giustificare un viaggio di soccorso in un’area colpita da un disastro naturale, consegnare materiali a una piattaforma petrolifera nel mezzo dell’oceano agitato…
Il drone giallo che consegna pollo fritto sui bastioni della Grande Muraglia cinese
Per oltre ventidue secoli, è stata lì: la cognizione che per poter individuare le caratteristiche di un grande Impero, il principale canone di riferimento fosse la qualità dei suoi sistemi di collegamento. E la portata del potere pubblico capace di costringere multiple generazioni, mediante un’uso in alternanza del bastone (di giada) e la carota (dell’immortalità) a dare il proprio contributo nella costruzione d’imponenti ed utili costrutti pubblici. Massicci contributi, largamente meritati, al nome sempiterno di colui o coloro che le avevano sapute concepire. Non c’è dunque al mondo un più efficace esempio, di una simile concentrazione di fattori, che il principale contributo al paesaggio del supremo governante Qín Shǐ Huáng, primo ed unico possente unificatore del concetto sovranazionale di “Cina”. Altresì detta “Il paese che sorge a meridione della Grande Muraglia” il che risulta formalmente parte di un proverbio folkloristico, accompagnato dalla tesi di supporto “Nessuno può essere un grande uomo, se non è salito almeno una volta sulla G.M.C.” Un credo le cui inerenti implicazioni si dimostrano più problematiche, di quanto si potrebbe tendere a pensare; giacché nella percezione asiatica del concetto di turismo, tutti, inclusi bambini, anziani, persone con disabilità motorie, dovrebbero poter accedere a un luogo relativamente remoto come l’estensione meridionale di Badaling, un tratto dell’antica fortificazione noto per le sue spettacolari torre di guardia e la relativa integrità dell’imponente fortificazione contro le scorribande dei temuti Xiongnu del Nord. Il che prevede significativi accorgimenti in termini di viabilità e modalità di accesso, ma anche concessioni alle utili praticità e convenienze del mondo contemporaneo. Il che vuol dire, cibo. Prodotto localmente e in vendita presso i banchi della zona di accoglienza, trasportato fin sul posto da ambulanti dei villaggi vicini o addirittura trasferito tramite l’antica e nobile professione del takeaway, partendo da popolari catene di fast food e ristoranti dei distretti urbani, affinché non si possa affermare che in un’ipotetica oriunda campagna di difesa dalla discesa dei barbari predatori, i coraggiosi soldati in armatura mancherebbero di hamburger, pizza o l’essenziale piatto a base dell’uccello amico dell’umanità per eccellenza, il crestato Gallus gallus che Charles Darwin prima di chiunque altro, seppe far risalire fino agli albori dell’addomesticazione nei remoti territori del subcontinente indiano.
Pollo amato dalle compagnie come la KFC statunitense, associata in questa Cina dei tempi moderni allo specialista tecnologico Meituan di Pechino, un colosso contemporaneo da oltre 100.000 dipendenti che ha fatto della logistica il proprio principale modello di business. Fondato sull’impiego di mezzi elettrici, talvolta autonomi, dotati con eguale probabilità di ruote o… Eliche rotanti per attraversare l’azzurro cielo. È l’economia “del volo a bassa quota” come la chiamano i moderni piani di fattibilità, ultima frontiera delle consegne rapide a partire da un punto d’interesse gastronomico, ad uno di riferimento culturale. Non importa quanto esteso in senso longitudinale, o se possa effettivamente risultare visibile dalle finestre panoramiche dell’ultra-rapida Stazione Spaziale Internazionale!