Non è arduo sopravvalutare la lunghezza di un anaconda. A meno che provenga dai territori settentrionali

Divulgazione ed approfondimento scientifico sono due processi che nella maggior parte dei casi procedono in parallelo. Ma poiché diventa progressivamente più difficile spianare il sentiero della conoscenza, tanto più questo s’inoltra in mezzo agli alberi della foresta Nera che ci cresce attorno, non è frequente che il secondo possa trarre beneficio dalla prima. Né che le qualità necessaire a perseguire entrambi possano trovarsi concentrate, per un letterale fulmine in bottiglia, all’interno della stessa figura professionale. Il mondo mediatico dei nostri giorni, d’altronde, è ormai stratificato e vasto al punto da costituire terreno fertile per ogni sorta di proficua e funzionale anomalia. Come quella che ha portato ad uno dei video virali più interessanti dell’ultimo anno: un uomo in pantaloni corti e maniche di camicia, l’orologio digitale al polso. Che sembrerebbe pronto per la giornata casual in un ufficio suburbano, se non fosse per la maschera gialla da sommozzatore ed il compatto respiratore che gli copre il volto. Momentaneamente intento a immergersi nella acque parzialmente lattiginose di un… Fiume? Quando a un tratto in esso si palesa, abnorme e rettiliana, la testa affusolata di un mostruoso serpente! Utile a quantificare la portata dell’evento, dunque, un’effettivo chiarimento sui due personaggi della memorabile circostanza. L’umano è Freek Vonk, professore di biologia dell’Università di Amsterdam famoso per la reiterata partecipazione a programmi televisivi di argomento naturalistico, principalmente sul tema degli animali. Mentre per quanto concerne l’animale, si tratta di un massiccio esempio di anaconda verde, Eunectes murinus – pardon, Eunectes akayima. Questo il termine scientifico, selezionato da un nutrito team d’insigni menti internazionali, per lo studio a corredo dell’evento, mirato ad arricchire di un nuovo ed importante membro il genere tassonomico del serpente più pesante al mondo.
Si tratta del tipico spezzone videografico dato in pasto al popolo di Internet per promuovere una serie di documentari, in questo caso l’interessante show del National Geographic con il famoso attore di Hollywood, “Pole to Pole with Will Smith” in cui l’ex principe di Bel Air si trova a diretto contatto con questa particolare tipologia di rettili, interagendo e toccandoli per il pubblico ludibrio delle telecamere. Trovatesi verso l’inizio del 2024 in Amazzonia dove, in aggiunta alle opportunità documentali preventivate, avrebbero assistito ad un processo in fieri ragionevolmente privo di precedenti. Giacché la squadra scientifica sotto la supervisione di Jesús A. Rivas, il sopra menzionato Vonk ed un’altra dozzina di colleghi stava in quel momento finendo di raccogliere e catalogare una serie di testimonianze offerte dalla popolazione nativa, supportate da una larga quantità di misurazioni e fotografie concentrate su di un singolo tema: il fatto che tendenzialmente, tanto più a settentrione ci si spostava entro i confini della nazione brasiliana, quanto maggiormente i già titanici serpenti sembravano aumentare in maniera proporzionale per quanto concerne lunghezza e spessore. Una strana coincidenza, simile ad un’inversione sostanziale del già noto processo di gigantismo polare condizionato dall’abbassamento mediano delle temperature tanto più ci si allontana dall’Equatore. Ma la scienza, si sa, non dovrebbe mai credere nelle coincidenze…

Fin dall’originale descrizione e classificazione di questi carismatici, imponenti ma inerentemente furtivi predatori delle vaste foreste sudamericane, frutto di un articolato processo capace di estendersi attraverso oltre due secoli a partire dall’opera del 1684 di Andreas Cleyer e fino al 1816 con gli scritti di Lorenz Oken, ha costituito un punto critico riuscire a quantificare numericamente le loro dimensioni massime, causa un’ampia serie di fattori contingenti. A partire dai territori di appartenenza tendenzialmente remoti, irraggiungibili, fino all’inaffidabilità ben nota delle testimonianze aneddotiche, che portavano gli avvistatori a esagerare le proporzioni dei dragoni spesso impossibili da misurare approfonditamente. Senza tralasciare la natura problematica delle pelli di molti serpenti, anaconda incluso, a distendersi e allungarsi in maniera significativa dopo il decesso dell’animale, facilitando grandemente la sovrastima delle proporzioni originariamente possedute da ciascun esemplare. Eventualità relativamente semplici da superare grazie alla diffusione capillare degli odierni e sofisticati sistemi di cattura video, particolarmente quando del tipo professionale in dotazione alla troupe di un documentario. Ecco dunque l’origine della breve, catartica sequenza di apertura, in cui ciò che aveva costituito uno strisciante sospetto assumeva le acclarate proporzioni (in più di un senso) di una verità tangibile e del tutto apparente: 6,3 metri per 500 Kg, contro i 7,5 dell’esemplare più grande di cui il gruppo di studiosi abbia ricevuto notizie ragionevolmente affidabili. Nient’altro che due casi tra i molti confermati, tali da evocare la distinta possibilità al centro dello studio scientifico successivamente pubblicato sulla rivista Diversity, che una variazione media di proporzioni superiore al 5% rispetto agli esemplari meridionali giustificasse la creazione di una specie del tutto nuova, possibilmente separatosi dal comune anaconda verde nel corso dell’epoca del Miocene medio-superiore. Ipotesi poi confermata da campioni genetici raccolti, all’origine della proposta creazione del nome scientifico E. akayima, dall’appellativo riferito a questo tipo di animali nelle lingue indigene di matrice Tupi-Guarani.
Tesi quasi immediatamente contestata dallo status quo accademico, causa la carenza di dati biologici capaci di esulare dal mero DNA mitocondriale, normalmente giudicato insufficiente ad elaborare conclusioni certe sulla storia evolutiva di una creatura. Eppur si muove, come aveva già detto qualcuno riferendosi all’eterna danza dei corpi celesti: se l’evidenza sembra allo stato dei fatti provare in modo pratico qualcosa, appare veramente ragionevole voltare il capo e transitare innanzi nella più indifferenza dei fattori coerenti?

Dopo tutto l’anaconda verde in questione non differisce in modo sostanziale dai suoi (presunti?) cugini meridionali, per quanto concerne dieta, abitudini comportamentali e strategia riproduttiva. Conducendo gli stessi agguati, occasionalmente rischiosi, a capibara, caimani, tartarughe, agouti, tapiri… Per non parlare dell’occasionale maschio della specie successivamente all’accoppiamento, da parte di vedove straordinariamente affamate. In quell’evento strabiliante che vede dozzine di serpenti formare un groviglio attorno all’auspicata consorte, che diventa in quel frangente degna di decidere chi potrà vivere o morire.
Lo stesso potere che allo stato dei fatti attuali, l’umanità possiede in merito alla continuata situazione esistenziale di un’ampia quantità di creature terrestri. Particolarmente quelle situate ai vertici della catena alimentare, e che in funzione di ciò dipendono dall’intera struttura di un ecosistema complesso. A beneficio dei quali, la creazione di categorie distinte, ognuna degna di attenzione e specifiche opportunità di tutela, non potrebbe arrecare altro che vantaggi situazionali. Ben venga, dunque, l’opera di studiosi come Freek Vonk, Jesús A. Rivas e colleghi. Ma anche la partecipazione di figure universalmente celebri al pari dello stesso Smith. Possibili aiutanti momentanei, alla presa di coscienza delle nostre pregne circostanze correnti. E dei molti punti di svolta utili, allo stato dei fatti attuali, nel valutare il nostro posto meramente transitorio nel sistema naturale dell’Universo.

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