Era la mattina di un giorno come tutti gli altri, quello in cui la pioggia cadde orizzontalmente, attraverso gli stipiti e gli infissi delle finestre. Poco prima che il nostro intero mondo, per l’intento di una volontà spietata, andasse incontro alla più repentina e umida delle trasformazioni. Un altro luogo, un’altra terra, un altro tempo; Platone, conosceva molto bene questo fato, avendone sottoposto a disanima l’eventualità pregressa nella parabole di un’isola all’interno del Mediterraneo… Ma sposta questa lente geografica verso il remoto settentrione, cosa resta? L’umanità è nei fatti, sempre la stessa, indipendentemente dall’idioma ereditato. Ed altrettanto si può dire, per quanto concerne il flusso inarrestabile della risacca. Almeno finché cessi, per imprescindibili ragioni contingenti, di fare ritorno là, da dove si era palesata fino a quel momento! Continuando a crescere e salire, come lo stomaco eversibile di un grande verme che si avventuri fuori dalla sua tana. Covehithe (non CoveThithe) è un luogo non così distante dal più tipico stereotipo di queste terre: un piccolo agglomerato di case tra la nebbia, disseminate lungo il corso di una strada provinciale geograficamente collocata in Suffolk, che corre parallela a una scogliera. Sotto la scogliera, per la maggior parte del tempo, c’è il mare. In un giorno ancora non fissato sui calendari, l’ordine delle due cose potrebbe anche invertirsi. Portando alla scomparsa di tutto quello che c’è sopra, attorno e dietro ad una simile precisa configurazione. Incluse le abitazioni dei circa 30 abitanti, indiretti depositari di oltre 1.000 anni di tradizione fin dal Mondo Antico. Se è vero che un insediamento continuativo qui ebbe trovato il modo di persistere fin dall’epoca degli Iceni, popolo britannico avverso ai Romani. Ma i Romani non producevano polveri sottili, non riscaldavano con le loro ciminiere l’atmosfera terrestre (ancora) ed in funzione di ciò, non favorivano l’aumento progressivo del livello dei mari. Ecco la ragione per cui nessuno si era mai aspettato, prima dell’epoca mediatica della corrente digitalizzazione, che potessimo arrivare ad un simile punto di rottura.
Per trovare un valido approccio all’argomento, nel nostro secondo paragrafo, non dovremo perciò far altro che accennare al video realizzato ad hoc dal gran divulgatore delle questioni britanniche, lo YouTuber Tom Scott rimastro privo ultimamente della rappresentativa maglietta e/o felpa rossa (e chi poteva RICONOSCERLO, a quel modo?) Che recandosi in prima persona presso il luogo del lentissimo disastro, ne ha elencato le profonde e alquanto tragiche implicazioni. In quanto comunque si decida di guardare alla questione, e indipendentemente dalla terminologia che si scelga d’utilizzare, una cosa è assolutamente certa: Covehithe non ha futuro. Con un’erosione della costa antistante stimata attorno ai 500 metri tra il 1830 ed il 2001, che si ritiene aver accelerato ancora verso l’ultimo ventennio, tale da garantire un’incipiente precipitazione tra le onde dell’intero circondario postale, inclusa la caratteristica chiesa in rovina vecchia di 600 anni. Che prima di quel momento finale, dovrà essere smontata e trasportata altrove, mentre edifici di minore rilevanza storica verranno preventivamente demoliti, al fine d’evitare l’inquinamento marino. Ma la vera condanna di questo insolito insediamento, nei fatti, non è stata sancita tanto dalla progressione naturale degli eventi quanto messa letteralmente nero su bianco, nel corso di una sessione operativa dell’Agenzia Ambientale britannica nel 2011, durante cui è stato formalmente proibito ai proprietari di edifici e terreni direttamente coinvolti di trovare investitori per la costruzione di nuove difese costiere. Perché la spiaggia antistante, formalmente, è proprietà inalienabile dello Stato. E perché in questo, come innumerevoli altri casi pregressi, vale la regola del bene della maggioranza. Costituita nel presente caso dalle circa 1.000 persone del vicino ma più grande villaggio di Southwold situato a 5 miglia più a sud, che le simulazioni hanno dimostrato destinato a vivere immediatamente la stessa situazione di pericolo, non appena il corso naturale della marea e dei sedimenti ad essa collegata dovesse subire un qualsivoglia tipo di alterazione. Così è da allora che viviamo, nell’attesa incombente di un’Apocalisse che in molti potrebbero, ma nessuno sembra veramente avere voglia di evitare…
ambiente
Nell’umida estate australiana del 2021, riemerge l’orda periodica dei roditori
Molti furono, attraverso il trascorrere dei secoli, i peccati originali commessi dalla genìa umana. Ma nessuno significativo ed importante quanto quello di aver creduto, anche soltanto per un attimo, che la nostra esistenza potesse perpetuarsi in modo indipendente dall’ecosistema immanente. Così l’inizio di una storia, come quella della colonizzazione di un Nuovo (-issimo) Mondo, può essere inficiata dal verificarsi di un fondamentale fraintendimento. Che il mare, per quanto è vasto, possa bastare a separarci da un particolare e squittente male. L’immagine speculare dei nostri sogni, aspettative ed aspirazioni, traslato all’interno di un piccolo corpo dotato di muso, baffi e la più lunga delle code. Le notizie hanno iniziato a sovrapporsi verso l’inizio dello scorso settembre 2020; quando all’inasprirsi della calura estiva, dopo una primavera più uggiosa del solito, gli agricoltori delle zone rurali ad est del continente australiano hanno iniziato a intravedere strane moltitudini verso il sopraggiungere del vespro: letterali migliaia, se non milioni di saettanti forme pelose, non più inclini a limitare le proprie esplorazioni nell’oscurità profonda della notte; ma piuttosto prepotenti, quanto basta, per delimitare pubblicamente i nuovi confini del proprio territorio ancestrale. Mus musculus, il topo domestico comune: colui che emerge, ancora questa volta, dalle sue profonde e silenziose tane. Con l’intento chiaramente esplicito di conquistare un continente.
Il termine anglofono utilizzato per identificare un simile disastro ecologico, paragonabile alla stagionale venuta delle orde di cavallette, è mouse plague, per analogia linguistica con gli anni horribiles della peste nera, sebbene quest’ultima malattia fosse stata diffusa, ai tempi del Medioevo, principalmente dalla specie ben diversa del Rattus rattus, alias ratto nero. Ed ancorché si tratti, a differenza della casistica del più temuto insetto saltatore al mondo, di una sorta di tempesta perfetta capace di verificarsi, oltre che in Australia, in una sola altra nazione del nostro pianeta: la Cina (dove comunque, risulta essere assai più raro). Secondo il coincidere di una serie di fattori che avevano permesso, in determinati ambienti, di prevedere il probabile verificarsi dell’evento attualmente in corso: una serie di anni di magra, la cui aridità aveva portato alla progressiva riduzione del numero complessivo dei topi, causa fallimento del loro frenetico processo riproduttivo. Subito seguìti, per uno scherzo infausto del destino, dalla primavera del 2020/21 (già sopravvenuta presso simili territori meridionali) da una serie di significative tempeste cariche di rovesci significativi. Capaci di lavare via il metaforico tappo, costituito dalle circostanze ecologiche, che aveva contribuito ad impedire il ritorno del popolo brulicante dalle invisibili regioni del sottosuolo. Eventualità che parrebbe solita verificarsi, in media, ogni periodo di circa quattro anni, e che nell’accezione di stavolta sembrerebbe essere, secondo le testimonianze aneddotiche raccolte dai notiziari locali, una delle peggiori a memoria d’uomo. Naturalmente: chi aveva mai davvero pensato, che con l’arrivo ed il passaggio di un singolo Capodanno bisestile, le cose avrebbero davvero cominciato a migliorare?
Lo scenario, a quanto pare, è davvero terrificante e riprende a pieno titolo quello verificatosi negli stessi stati del Nuovo Galles del Sud e il Queensland durante l’anno 1994, durante cui i danni arrecati all’agricoltura ammontarono a una quantità stimata attorno ai 96 milioni di dollari. Ma l’economia, in un simile frangente, non è l’unica a soffrire, mentre i racconti della gente e le testimonianze videoregistrate su YouTube parlano d’esperienze più che infernali, con spropositate quantità dei piccoli esseri che ricoprono totalmente il terreno attorno alle case, s’insinuano in ogni pertugio, costruiscono i propri nidi nei luoghi meno opportuni. Emma Henderson, residente di Merriwa, racconta del forno di casa che aveva iniziato a surriscaldarsi, finché non scoprì l’intera colonia di roditori rifugiata dietro l’involucro dell’elettrodomestico, in un comodo nido realizzato con il materiale isolante prelevato direttamente dal dispositivo (“Oh, l’odore, non potete immaginare l’odore!”) Altri membri della formidabile specie, nel frattempo, non si sono dimostrati altrettanto fortunati: come quelli che hanno tentato di penetrare all’interno del surgelatore nel drugstore di Naav Singh, a Gulargambone, soltanto per venire fatti a pezzi dalle pale dei ventilatori integrati, in un sanguinoso episodio capace di ripetersi anche 400 o 500 volte nel corso di una singola sera. E che dire della poltrona di Lisa Gore, a Toowomba, che ha raccontato al Guardian di aver iniziato a sentire uno strano odore, finché togliendo la fodera esterna non ha scoperto con orrore un’intera allegra famigliola, che si era costruita casa tra l’imbottitura e i cuscini dell’elemento d’arredo. Esperienze personali che, per quanto orribili, non fanno che iniziare a grattare la superficie, di quella che costituisce una vera e propria manifestazione dell’inferno in Terra…
Lo strano richiamo dell’oropendola, uccello imperatore degli Aztechi
A mezz’altezza nella giungle rumorose del Centro America, un grosso frutto pende da imponenti alberi di almeno 30 metri. Basterà uno sguardo di sfuggita, tuttavia, per confermare come tali arbusti appartengano a specie molto differenti tra di loro, nonostante l’aspetto conforme dell’oggetto sferoidale al centro della nostra annotazione. E poter così testimoniare l’attenzione, estremamente concentrata ed alquanto sospetta, da parte di una particolare tipologia d’uccelli, color nocciola focata con la coda gialla, le guance bianche e la punta del becco di un colore rosso intenso. Questo perché il globo intrecciato di quei rami non costituisce, a conti fatti, alcun tipo di prodotto vegetale se si esclude l’incidentale fornitura postuma di materiali; quanto piuttosto la specifica creazione del volatile, per custodire le sue uova dall’intento predatorio di scimmie, serpenti e tucani affamati. Architettura: l’elaborazione di elementi artistici e strutturali finalizzata a garantire uno spazio abitabile per l’uomo. Togli l’uomo, e cosa resta? Caso vuole che basti guardare in alto, per comprendere lo spettro di una tale verità. Là, dove lo Psarocolius montezuma mette in pratica, da tempo immemore, il suo notevole stile di sopravvivenza. Che include quel distintivo approccio comunicativo e canoro, quasi robotico, in aggiunta alla creazione del nido in grado di appesantire sensibilmente l’ampia varietà di arbusti locali.
Questo uccello di fino a 50 cm nel caso del maschio ed “appena” 38 nella femmina, contrariamente a quanto si potrebbe pensare viste tali dimensioni, è un rappresentante nel Nuovo Mondo dell’ordine dei Passeriformi, appartenente alla grande famiglia degli itteridi, caratterizzati da una certa quantità di giallo contenuta quasi sempre all’interno della loro livrea. Dotato di un areale molto ampio, che si estende dal Messico fino al Panama centrale, l’altrimenti detta “oropendola” con fino a 5 milioni di esemplari possibili secondo le stime dello IUCN risulta tuttavia stranamente poco conosciuta nel resto del mondo, nonostante si tratti di una creatura certamente rilevante dal punto di vista tassonomico, al punto di essersi vista attribuire come parte del suo nome scientifico l’appellativo del più potente sovrano della civiltà azteca, che nel XV secolo permise a tale impero di raggiungere la sua massima estensione. Tratto distintivo apprezzabile quindi, in aggiunta allo stile abitativo, è il riconoscibile verso emesso da tali abitanti delle distanti chiome in occasione delle loro attività amorose: un trillo arzigogolato e discorsivo, che al culmine della sua evoluzione lascia il posto ad un grido basso e potente, accompagnato da una specifica danza consistente nell’inchinarsi alla possibile partner in attesa. Per un aspetto aurale a tal punto importante, ai fini riproduttivi, da essere considerato la ragione di un tale dimorfismo sessuale delle dimensioni tra maschio e femmina, affinché il primo possa trarre beneficio da una maggiore cassa di risonanza. Continuamente intenti a confrontare la propria potenza musicale a vicenda, soprattutto tra i mesi di gennaio e maggio, le oropendole saranno quindi inclini a individuare un maschio alfa tra i partecipanti alla comunità urlante. Il quale, lui soltanto, potrà accoppiarsi con le femmine, mentre gli altri avranno il solo incarico di proteggere i suoi molti nidi; un’approccio alla questione, quest’ultimo, che possiamo ritrovare frequentemente in molte specie di mammiferi, mentre risulta estremamente raro, per non dire unico, tra gli uccelli. Le uova deposte sono in genere due, bianche o marroni, incubate esclusivamente dalla femmina per un periodo di due settimane. Ed ulteriori 30 giorni affinché i piccoli possano spiccare agilmente il volo, dimostrandosi notevolmente precoci nel loro contesto biologico d’appartenenza. Il che, tutto considerato, accresce in modo significativo l’ineccepibile efficienza evolutiva di questi formidabili sovrani della foresta.
Lo sguardo del demonio che appartiene ai gufi della foresta pluviale
“O diablo, te digo. Porque você não acredita em mim?” Il tono di voce dell’uomo era stridulo, il suo sguardo atterrito. Francisco aveva preso in esame l’interlocutore che si era precipitato all’interno del centro di protezione degli uccelli della città di San Isidro, a 23 chilometri da Buenos Aires, visibilmente ubriaco già verso la metà di un caloroso pomeriggio d’estate. “Non è che non ti credo. Vorrei capire perché sei venuto da me!” Aveva risposto, rivolgendosi al testimone della strana presenza fuori contesto, il quale immediatamente assunse un’espressione offesa ed indecifrabile. Quindi, spalancando gli occhi, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un qualcosa di piccolo, peloso ed a giudicare dal sangue, transitato recentemente a miglior vita. Francisco lo guardò bene: era un topo morto. Al topo morto mancava la testa.
Puntando la sua telecamera lontano dalla luce dei lampioni e verso la piccola isola di giungla completamente circondata dai palazzi della periferia urbana, l’uomo degli uccelli con specializzazione nei rapaci pensò nuovamente alla sua prima impressione: “Ho davanti a me un fole visionario, per di più inebriato” ma poi aveva iniziato ad interrogarsi in merito alle specifiche circostanze del caso. Creature cornute, demoni dell’inferno, misteriosi uccisori di tutto ciò che corre rumorosamente nel sottobosco: il folklore dei secoli ne aveva nominati molti. Ed ogni volta che si provava a scavare a fondo, la verità dei fatti finiva sempre per puntare nella stessa indiscutibile direzione. Quella dei gufi, allocchi e civette che si stagliano contro la luce della Luna notturna. Passarono altri 40 minuti di appostamento, mentre Francisco ripercorreva nella sua mente tutte le specie che avrebbero potuto palesarsi innanzi a lui da un momento all’altro. E fu allora che un suono sommesso, al culmine dell’attesa, attirò la sua attenzione verso il confine tra la zona illuminata e l’abisso inscrutabile degli alti arbusti. Puntò la torcia elettrica, e fu allora che le vide: due sfere rosse sospese nell’aere, come gli occhi dello stregatto di Alice, con sotto una serie di righe di color bianco e nero. Francisco trattenne un’esclamazione udibile di trionfo “Louvado seja, zebra” Gufo dei miei sogni proibiti. Agente alato di colui che può decidere, nel regno degli uomini che mai furono in grado di annichilirne l’esistenza.
Persecuzioni, superstizione, odio immotivato hanno per lungo tempo contribuito a ridurre la diffusione dei gufi nell’interno territorio sudamericano, qualificando l’uomo come principale nemico di questi esseri che avrebbero dovuto costituire, idealmente, dei superpredatori all’interno del proprio ambiente. Caratteristica tale da giustificare un’indole marcatamente solitaria, rendendo gli occasionali avvistamenti tanto più rari e con il proseguire dei secoli, significativi. Ragion per cui tutto quello che sappiamo su alcune particolari specie, caratterizzate da un areale vasto ma che tende a interrompersi ogni qualvolta ci si avvicina a territori più densamente abitati, deriva dagli occasionali avvistamenti ed alcune sporadiche osservazioni, d’esemplari finiti per lo più fuori dal proprio habitat naturale, per scontarsi ancora una volta con le credenze pregresse del malaugurio ed il sacro terrore folkloristico/religioso. Un’ideale condizione in cui possiamo facilmente collocare, nel nostro filo d’analisi, la vicenda in epoca moderna e contemporanea del magnifico uccello chiamato in territorio locale Coruja-preta (gufo nero) o più correttamente, gufo dalle strisce bianche e nere o ancora, allocco zebrato. E che in ambito scientifico, sembrerebbe conservare un certo livello d’incertezza in merito alla sua posizione nell’alto e complesso albero della vita…