Solida interruzione perpendicolare nel deserto, la fortezza si erge silenziosa a una distanza ragionevole da ogni traccia residuale di attuali o precedenti agglomerati umani. Eppure può essere immediatamente perdonato, chiunque ceda all’immediata tentazione di qualificarla come costruzione realizzata sulla base di un piano preciso. Troppo esatte quelle proporzioni, troppo regolari, così costruite con riguardo nei confronti degli spazi necessari a transitare tra un blocco e l’altro, esplorarne a piedi le sommità levigate. Alla ricerca di un qualche possibile significato, rituale, militare o religioso, per quanto è in grado di evocare immagini di schiere armate di piccone, mazza ed altri attrezzi per tagliare il rosso ruvido dell’arenaria. Pietra simbolo ed onnipresente materiale, così disseminato nella vasta terra pianeggiante del Plateau del Colorado, capsula del tempo geologico anticamente sottoposta a quel vertiginoso sollevamento durante l’orogenesi laramide (60-80 mya) per poi cristallizzarsi in un processo irreversibile di litificazione. Non che il concludersi della compenetrazione tra le faglie, pur ponendo una battuta d’arresto all’emersione di catene montuose ed altre svettanti caratteristiche del paesaggio, voglia dire la perenne e sempiterna cessazione di ogni tipo di modifica ulteriore. Così come tende a desumere nel suo discorso esplicativo lo youtuber Noland Fisher del “The Pov Channel” impegnato ancora una volta nel raggiungere qualcosa di notevole che si è trovato a scorgere durante le ore di consultazione critica dei miliardi di foto satellitari componenti il vasto repertorio di Google Earth. Non senza strizzare l’occhio, in maniera quasi doverosa viste le circostanze, nei confronti dei molti teorici e cultori internettiani della pregressa esistenza di civiltà perdute, visitatori extraterrestri ed altre simili amenità para-scientifiche. Prospettive largamente agevolate dal tipo di scorci che compongono questo suo video, in cui sceglie di avventurarsi tra le pietre e in mezzo ad esse, fin dentro i canyon sottili tra quello che avrebbe potuto facilmente costituire un valido esempio di architettura megalitica posta in essere grazie all’opera d’intere schiere di scultori animati da un principio operativo condiviso. Se non che l’intero insieme appare di suo conto allineato, sulla convergenza dei fattori precipui, ad un tipo di fenomeno tutt’altro che inaudito nel suo ambito geografico di appartenenza. In un modo che consegue da particolari e non del tutto ripetibili condizioni della Terra stessa…
strano
Perché mettere una rana dentro il latte costituiva prassi utile prima di avere i frigoriferi a disposizione
Maestro incontrastato del suo tempio candido, signore che galleggia sopra il pelo della vasca sacra, gli occhi lucidi e sporgenti, le zampe aperte come placidi ventagli utili a ottimizzare la sua posizione orizzontale. Senza ieri, oggi o domani, medita sull’Universo, avendo conosciuto il proverbiale mondo fuori dal suo pozzo dove nacque come un singolo e spaurito girino. Ma non si può rimettere un batrace in bottiglia, più di quanto sia possibile farlo con il demonio in persona. Si può soltanto scegliere di metterlo all’interno del tesoro effimero dei popoli stanziali. Ciò che fuoriesce ogni mattino dalla mucca, per gentile concessione della natura. Oh, latte. Oh, latte che già verso il sopraggiungere del vespro, in certi giorni caldi eri propenso a diventare un brodo dal gusto sgradevole. Ed il giorno dopo, potenzialmente letale. Soprattutto in quei villaggi mitteleuropei o dell’area Russa, dove la breve durata dei mesi estivi non aveva dato luogo allo sviluppo di metodi efficaci per riuscire a conservare ciò che era commestibile, al risveglio di api, fiori e cervidi che gridano il proprio auspicio riproduttivo. Fatta eccezione per uno soltanto, che potremmo definire la venerazione dell’anuro, l’incoronazione del granocchio, l’immersione della florida e splendente raganella. Colui e/o colei (i batraci, dopo tutto, sono dioici) preferibilmente appartenente alla comune specie Rana temporaria che colta in mezzo alla foschia dell’ancestrale palude, il contadino trasportava fino alla dispensa ombrosa nella casa simbolo del suo mestiere rurale. Ed ivi con silente ed entusiastico senso d’aspettativa, calava giù ad immergersi dentro l’amata giara, già riempita al compiersi dell’ora della necessaria mungitura bovina. Risultato: nessun risultato. Il che era del tutto desiderabile in quello specifico contesto almeno fino al tardo XIX secolo, ove la trasformazione stessa era il problema di quel fluido in grado di costituire la perfetta coltura batterica per diventare senza un frigorifero, un maleodorante veleno. E questo nonostante gli anticorpi certamente potenziati, rispetto ai nostri domestici organismi frutto di anni di ottimizzazioni e ormai asserviti alla potenza incomparabile degli odierni medicinali. Purché l’operatore non sbagliasse, scambiandola per il superficialmente Bufo Bufo alias Rospo Comune degli umidi dintorni europei.
Un detto recitava in terra di Germania Der Frosch hilft, die Kröte verdirbt ovvero “La Rana aiuta, [così come] il Rospo rovina.” E in Francia Grenouille au lait, crapaud au diable. ” La Rana nel latte, il Rospo al Diavolo. Ma chi può dire quale oncia di sapienza empirica, quanta percentuale di saggezza popolare, risiedesse alla radice di una tale pratica, soltanto IN APPARENZA frutto di un folklore senza basi degne di essere considerate dall’angolazione del metodo scientifico nato nei secoli ulteriori…
Hundun senza occhi, bocca o un volto, principio alato dell’inconoscibile realtà immanente
La consultazione degli antichi testi letterari cinesi è un’attività capace di restituire grandi presupposti di conoscenza e cognizioni, anche quando, nell’assenza delle necessarie competenze linguistiche, si scelga di ricorrere a una traduzione verso un diverso idioma. Esiste tuttavia il caso di un testo specifico, le cui ricche illustrazioni tradizionali permettono un elevato grado di fruizione anche senza la conoscenza di un singolo ideogramma. Esso è lo Shanhai Jing (山海经) “Il Libro dei Monti e dei Mari” una sorta di enciclopedia compilata probabilmente per la prima volta attorno al IV secolo a.C, costituita da un catalogo degli animali, mostri e fenomeni naturali che caratterizzavano la Terra di Mezzo, ivi incluse le forme terrene di diverse divinità. Tra cui la più celebre resta probabilmente Nüwa o Nügua, donna creatrice con il corpo di serpente, lungamente venerata dall’antico popolo dei Miao. È tuttavia possibile, continuando a sfogliare quelle pagine, imbattersi in qualcosa capace di suscitare un immediato senso di perplessità e smarrimento, giungendo al cospetto di un’essere probabilmente tra le più bizzarre creature mitologiche di qualsiasi cultura, la cui stessa esistenza fu in effetti concepita come allegoria dell’inconoscibile principio dell’Esistenza. La creatura, identificata con il doppio nome di Hundun (混沌 – Caos) o Dijiang (帝江 – Sovrano del Flusso) era in effetti il nume tutelare di talune scuole ancestrali della filosofia Taoista, posizionandosi all’incontro tra elucubrazioni filosofiche sulla natura dell’esistenza ed il modo in cui taluni princìpi generativi, che oggi saremmo inclini a definire “evoluzione”, possono rendere manifeste le ideali verità inumane. Danzante, volante essere chimerico, dotato al tempo stesso di un corpo peloso dalla forma discoidale e sei zampe come un insetto, nonché quattro ali che battevano in maniera discontinua e imprevedibile, dando l’origine a dei movimenti irregolari capaci di assomigliare ad una mistica danza tra le nubi del Palazzo Celeste. La cui caratteristica fondamentale restava l’assenza di alcun tipo di organo necessario all’acquisizione della conoscenza, nonché una testa propriamente detta, così da rendere difficile la distinzione tra il dietro e il davanti. Con dimensioni imponenti probabilmente paragonabili a quelle di un drago, benché ciò non venisse esplicitamente specificato, il misterioso Hundun fluttuava dunque nello spazio interstiziale tra fenomenologia e significato, volendo alludere in maniera trascendente ad una delle primordiali consapevolezze identitarie della collettività terrena. Una sua analisi più approfondita, grazie alla comparsa in una serie di parabole sia letterarie che folkloristiche, avrebbe per certi versi occupato gli oltre due millenni a seguire…
La trasformazione robo-iconica di un androide nell’incubo notturno della donna ragno
All’incirca 7 milioni di anni fa, nella fascia di territorio africana nota come piana del Sahel, alcuni esemplari di ominide iniziarono a mettere in pratica una strana metodologia di deambulazione. Eretti sulle gambe posteriori, alti e instabili, essi guadagnarono immediatamente alcuni importanti vantaggi, tra cui la predisposizione ad osservare in lontananza, scorgendo in anticipo il pericolo di tigri dai denti a sciabola ed immensi orsi primitivi. Per non parlare della liberazione degli arti anteriori dal bisogno di sostenere costantemente il peso della testa, dedicandoli primariamente alla sistematica manipolazione di oggetti e strumenti. Approccio modale non costante, almeno all’inizio, la postura eretta implicò profonde modificazioni muscolo-scheletriche, diventando totalmente obbligatorio entro una manciata di generazioni. Ciò cambiò essenzialmente, cosa volesse dire essere dei proto-umani comportando nel contempo una significativa perdita di velocità, agilità e versatilità nell’arrampicarsi attraverso un certo tipo di territori. Tanto oggi ora la più funzionale via creativa in grado di condurre alla riproduzione di quell’asse dell’evoluzione, il campo della robotica, sembra soprattutto incline a imporre ai propri figli di metallo & cavi la stessa serie di punti forti accompagnati dalle debolezze intrinseche, sebbene tali esseri del mondo attuale non abbiano il bisogno di scrutare innanzi la savana, né alcun bisogno di essere simmetrici nella disposizione di una quantità e tipologia di arti che risulta più che mai arbitraria. Eppure con l’imposizione pressoché automatica delle logiche dell’economia di scala, i primi automi veramente indipendenti che hanno popolato l’interscambio del mercato globale sembrerebbero effettivamente appartenere a due categorie: un quadrupede chiamato convenzionalmente “cane” ed il cosiddetto androide, a noi simile in qualsiasi aspetto tranne volto, pelle, ossa, muscoli ed organi assembrati attorno al vivente marchingegno del sistema nervoso centrale. L’ultima e forse maggiormente iterazione del quale, può essere individuata nel prodotto largamente programmabile della compagnia cinese di Wang Xingxing, la Unitree Robotics, dal costo unitario di 13.000 dollari ed il nome commerciale alquanto descrittivo di G1 – Humanoid Agent Avatar. Un cui esemplare oggi sappiamo essere stato acquistato, nella primavera del 2025, dall’appassionato del settore nonché possessore di un curriculum pregresso nel campo della programmazione Logan Olson, proprietario di un profilo su X dove appaiono periodicamente i risultati dei suoi esperimenti non del tutto privi di una chiara ed evidente verve creativa. Tra cui l’ultimo e di gran lunga più apprezzato dal pubblico di Internet, che aveva preso come pretesto la ricorrenza di Halloween per fare un qualcosa che nessuno aveva mai tentato fino ad ora: insegnare al suo fedele servitore cibernetico una particolare mossa egualmente familiare ai cinefili e gli amanti dei videogames. Quella consistente, in parole povere, nel chinarsi in modo innaturale a terra, per incedere mediante l’uso di gambe e braccia piegate ad angolo, in un modo che ricorda sottilmente alcune categorie d’insetti o aracnidi, passando per la bambina posseduta ne “L’Esorcista” o il perverso combattente Voldo nella serie di picchiaduro Soul Calibur. O ancora e in modo più calzante, le guardie artificiali diventate ostili all’umanità nella stratificata arcologia decaduta dell’opera di animazione dal manga di Tsutomu Nihei, Blame…



