L’uomo avanza sulla pista con il suo veicolo dotato di una protrusione evidente. Il suo incedere è piuttosto lento, ma la destinazione chiara. Finché giunto innanzi al placido biplano Bristol F.2B Fighter, estende il palo verticale e poi manovra lentamente fino al mozzo dell’elica fermo dai tempi della prima guerra mondiale. Un guizzo, un bacio, un trasformazione: adesso ciò che marcia e quello che decolla, appaiono come una cosa sola. Con un singolo mulino a vento che agisce come punto di congiunzione. Il quale inizia, ben presto, a girare…
Molte sono le caratteristiche tecnologiche dei mezzi di trasporto, in via teorica inerenti, che derivano effettivamente da lunghi anni o decadi di perfezionamento. Anche quando, nella procedura alternativa che deriva dalla loro assenza, si prospetta un’usabilità di veicoli o dispositivi drasticamente ridotta. Persino inaccessibile, dal punto di vista dei loro utilizzatori moderni. Prendete, per esempio, l’aeroplano: il più avanzato ed ingegneristicamente comprensivo approccio agli spostamenti su media o lunga distanza, in cui ogni aspetto è incorporato con preciso intento, attentamente calibrato e privo di evidenti prospettive d’inefficienza. Ed è proprio nella continuativa applicabilità di tale importante aggettivo, fin dall’inizio del XX un pilastro dell’aviazione, che si può individuare il nocciolo della questione in oggetto. Giacché quando ancora un sistema elettrico volante d’inizio secolo, che avrebbe dovuto essere basato su pesanti batterie chimiche, sembrava profilarsi come superfluo, perché mai includerlo? Ed a quel punto, come sarebbe stato possibile far partire il motore? Giacché radiale o in linea che fosse, indipendentemente dal numero dei cilindri presenti, ciascun meccanismo necessitava di essere ottimizzato per il funzionamento a regime. E non aveva un modo incorporato, per dar l’inizio alla sferragliante festa del movimento. Si supponeva d’altro canto che i piloti fossero dei giovani piuttosto forti ed agili nei movimenti. Per cui nulla o nessuno avrebbe mai potuto scoraggiarli dall’alzare le proprie mani ed impugnare saldamente l’elica. Andando a imporgli il quarto, mezzo o tre quarti di una rotazione completa, necessari affinché i magneti d’avviamento si “scaldassero” abbastanza, generando la scintilla vivificatrice. Ecco dunque, in linea di principio, l’idea. La cui realizzazione pratica appariva già piuttosto complicata in un primo momento. E lo diventò ancor più con il procedere degli anni, man mano che i velivoli diventavano più grossi, alti e potenti. Il che avrebbe richiesto a un certo punto l’introduzione di una seconda idea. Il cui proponente passò alle cronache con il tri-nome di Bentfield Charles Hucks. Era quasi il novembre del 1918, quando la grande guerra stava finalmente per concludersi riportando una sospirata pace tra le Nazioni…
Uomo dall’impostazione molto pratica come molti altri nati nell’ultimo quarto cronologico dell’Ottocento (per essere precisi nel 1884 a Bentfield End, Essex) Hucks restò fin da bambino colpito dai coraggiosi uomini all’interno delle loro macchine volanti, tanto che possiamo già individuare il maggio del 1911 come data in cui ottenne gloriosamente il proprio certificato di volo del Royal Aero Club, una sorta di brevetto ante-litteram del contesto britannico. Un’ottima scelta di vita, in molti immaginabili momenti, ma indiscutibilmente problematica negli anni antecedenti al primo conflitto in cui l’aviazione avrebbe ricevuto un ruolo capace di fare la differenza. Piuttosto che per le sue prodezze contro i commilitoni del Barone Rosso, Hucks si ritrovò tuttavia a servire il suo paese in un ruolo estremamente singolare in quegli anni, lavorando con qualifica di pilota sperimentale per la compagnia Airco di Londra, produttrice tra le altre cose del popolare DH.16 anteguerra e le sue svariate iterazioni successive. Una posizione rivestendo la quale, già nel settembre del 1913, era entrato nella storia grazie al compimento del primo giro della morte inglese a bordo di un biplano di manifattura Blériot. Il che non sarebbe stato d’altronde il suo sentiero principale d’accesso alla fama imperitura, essendo quest’ultimo individuabile nella creazione del marchingegno che porta il suo nome: l’iconico *Hucks Starter, sotto ogni punto di vista rilevante un’automobile. Basata sul telaio dell’allora ubiqua Ford Model T, ma dalla quale era stata rimossa quasi totalmente la carrozzeria. Sostituita da una pratica quanto singolare sovrastruttura, espressione di un bisogno pratico portato fino alle più estreme conseguenze. Come esemplificato dal nome e l’argomento cui ci stiamo approcciando, tutto quello che rappresentava il suddetto veicolo era un mezzo di notevole praticità per imporre l’imprescindibile rotazione all’elica degli aeroplani. Grazie ad un sistema di presa di potenza (PDP o PTO) presente nella parte frontale dell’apparecchio destinato al decollo, cui un assemblaggio telescopico poteva essere accoppiato previa accurata regolazione dell’altezza verticale. Allorché una cinghia di trasmissione inventata dallo stesso Hucks avrebbe veicolato l’energia motrice dell’impianto automobilistico, fino al punto necessario a trasferirla ove opportuno, per poi sganciarsi ed essere sbalzata fuori dal bullone una volta che i magneti davano l’avvio al corrispettivo alato. Nessun pericolo, a questo punto, per coloro che dovevano imparare ad afferrare con le mani la più prossima versione di un frullatore sovradimensionato, capace di arrecare danni alle dita anche semplicemente per il contraccolpo causato dall’ingaggio dei cilindri. Per non parlare dell’eventualità, mai pari allo zero, che un aviere confuso potesse mancare di fare il necessario passo indietro, venendo colpito rovinosamente al cranio dalla stessa pala di ritorno nel suo corso in rapida accelerazione rotativa.
L’invenzione piacque subito alla RAF, che ordinò una quantità oggi non del tutto chiara di tali veicoli, particolarmente apprezzati in tutte quelle situazioni in cui gli aerei più grossi e pesanti non potevano, ormai, essere più avviati da un singolo paio di mani. Possiamo inoltre affermare con certezza che l’approccio si diffuse a macchia d’olio tra le due guerre in altri paesi inclusi non soltanto gli Stati Uniti, ma anche la Russia sovietica ed il Giappone imperiale, da cui possiamo visionare ancora oggi fotografie in cui si osservano dei camioncini simili avviare rispettivamente i motori del temuto aereo d’attacco Ilyushin Il-2 e l’agile caccia Nakajima Ki-44. Ciò benché occorra specificare come, già negli anni ’40, il sistema Hucks era ormai passato in secondo piano assieme ad altri metodi d’avvio “alternativi” come il Coffman funzionante grazie alle cartucce di fucile, mentre l’aumento di potenza rendeva del tutto automatica l’inclusione di un motorino d’avviamento elettrico o d’altra natura all’interno della dotazione degli aeroplani. Un’epoca che lo stesso creatore non avrebbe avuto modo di sperimentare direttamente, essendo purtroppo deceduto a soli 34 anni nel 1918, pochi mesi prima della fine della guerra, a causa di un attacco fulminante di pleurite. Sarebbe ad ogni modo superfluo ed impreciso affermare che la sua eredità possa essere passata in secondo piano. Quando ci si rende conto di come il funzionamento di un moderno sistema elettrico ASU (Air Start Unit) connesso e talvolta di supporto all’APU (Auxiliary Power Unit) presente nei jet di linea, funzioni ancora adesso pompando grandi quantità d’aria nel compressore dei motori a reazione. Che potrà anche non corrispondere direttamente alla procedura rotativa dello Starter di allora. Ma sortisce, da ogni punto di vista rilevante, effetti del tutto comparabili e lo stesso risultato finale: proiettare l’Uomo in aria, senza che egli debba trascinarsi dietro, necessariamente, l’intero comparto ponderoso delle sue Cose.