Spazi paralleli a cui soltanto pochi eletti possono pensare di guadagnarsi l’accesso. Porte periferiche, situate tra i negozi, che conducono ai viali misteriosi di approvvigionamento e gestione dei servizi a supporto della galleria commerciale: spazi simili tendono a beneficiare da un’impostazione labirintica, che a sua volta riesce a dare il senso e il segno di trovarsi in una specie di città, per così dire, particolare. E ciò è implicato dal concetto stesso di questa tipologia di complesso, da Oriente ad Occidente, tra il Meridione e il Settentrione del mondo. Inclusa la capitale e maggiore città d’Indonesia, Jakarta con i suoi 10 milioni di persone ed oltre, abituate a convivere con condizioni meteorologiche non sempre accoglienti, tifoni e l’occasionale tracimazione dei 27 fiumi che ne attraversano i confini. Non c’è perciò niente di strano, nel desiderio temerario della gente di vivere più in alto, ivi incluso un vialetto di accesso alla propria residenza e spazio di parcheggio per l’auto il più possibile lontano dalle strade talvolta eccessivamente gremite. Beneficiando delle vie d’accesso pedonali nascoste, come implicita e necessaria prerogativa, ai normali visitatori del centro.
L’idea è stata messa in pratica, in primissima battuta, attorno all’anno 2009 o almeno questo è ciò che si riesce a desumere, scoprendo il fenomeno a ritroso dal successo avuto negli scorsi mesi sui profili social di appartenenza locale: un approccio consistente nel costruire 78 accoglienti villette a schiera nel luogo esatto dove, tra tutti, meno ti aspetteresti di trovarle. Ordinate abitazioni messe in condizione di gravare sulla solida struttura del centro commerciale Thamrin City, coi suoi numerosi punti vendita dedicati primariamente a stoffe ed artigianato locale. Una sorta di paradiso per persone facoltose chiamato Cosmo Park, organizzato analogamente a quanto teorizzato nel concetto cyberpunk di spazi urbani a strati sovrapposti o l’esperimento teorico dell’arcologia, un singolo edificio capace di assolvere all’intero novero delle necessità dei propri occupanti. Potendo consentire, dietro il pagamento di un prezzo mediano di circa 4 miliardi di rupie indonesiane (corrispondenti a 235.000 euro) l’esperienza serena e rilassante di vivere in periferia, pur essendo circondati dagli alti grattacieli del distretto finanziario più simili a colonne, o futuristici termitai. Anche un simile contrasto, d’altronde, fa parte della cultura dell’Asia del Pacifico. Poiché salvare le apparenze di un rigido piano regolatore non sarebbe stato, in alcun modo, vantaggioso dal punto di vista pratico né in alcun modo apprezzabile, funzionale…
Ciò che si apprende dunque con un certo grado di sorpresa è che non solo il centro commerciale Thamrin, situato nella parte nord della città, si trova caratterizzato dall’insolita configurazione ma ne esiste in effetti un secondo, più piccolo ma centrale, sopra il tetto del Mall of Indonesia. Un ambiente visitabile del tutto dedicato questa volta a negozi e brand internazionali, con tanto di supermercato Carrefour, le cui abitazione a schiera parrebbero essere state costruite in un epoca più recente, probabilmente attorno all’anno 2015. Seguendo le linee guida estetiche di ville dall’impostazione classicheggiante, così come gli interni del centro sottostante ispirato dichiaratamente alle città occidentali di San Diego e Venezia (una combinazione alquanto… Originale, nevvero?) Con prezzi probabilmente comparabili a quelli delle case di Cosmo Park, il vicinato si trova inoltre ad ospitare una magione particolarmente notevole definita Sultan Villa, con tanto di portico colonnare, cupola ed ampia piscina antistante. Un vero e surreale paradiso, con vista invidiabile sulla tentacolare città sottostante. Può in effetti sorprendere almeno in parte l’entusiasmo mostrato dai residenti, particolarmente quando con al seguito figli piccoli mandati allegramente a passeggio, per l’opportunità di vivere in un ambiente sospeso con un semplice parapetto a separare gli abitanti dal baratro. Ancorché ciò non sia necessariamente tanto diverso dalla vita all’ultimo piano di un condominio.
Tralasciando dunque l’inerente protezione dai frequenti fenomeni di allagamento cittadini, la strategia dei centri Thamrin e MOI mostra un’attenzione inaspettata alla sostenibilità dei centri urbani sovradimensionati e l’efficienza energetica, idrica e gassosa. Ciò grazie al riciclo e riutilizzo degli impianti pre-esistenti, in un approccio definito nell’architettura moderna come quello dell’edificio parassita, molto più benefico per l’ambiente e l’ottimizzazione dei costi di quanto un simile appellativo potrebbe condurre ad immaginare. Permettendo nel contempo agli abitanti, in modo particolarmente utile dal punto di vista comunicativo, di continuare a sentirsi parte di un classe privilegiata, piuttosto che sentirsi in qualche modo in subordine o sacrificati. Il che costituisce un valore aggiunto estremamente importante nel mondo della comunicazione moderna, proprio considerando il successo di marketing ottenuto dai video virali girati con droni ed altri implementi, pubblicati attraverso le scorse settimane online. “Chi avrebbe mai pensato di costruire un quartiere sopra i grandi magazzini?” Titola il post più spesso proiettato verso fama imperitura. Ed è difficile, senz’altro, rispondere a un tale quesito….
E sembra che alla fine ogni singolo vantaggio situazionale occorso riesca, a suo modo, di supportare agevolmente gli altri. È dopo tutto risaputo come il sogno di chiunque viva in grandi agglomerati sia essenzialmente duplice: avere il posto auto garantito, ed i negozi ragionevolmente vicini. Sebbene a tal proposito, un’intervistata abitante del distretto di Cosmo Park abbia scherzosamente dichiarato come l’unica cosa che gli manchi, nella sua nuova dimora, sia l’accesso facile ai carretti con il cibo di strada. Un letterale caposaldo delle tradizioni gastronomiche del Sud dell’Asia, che a quanto s’immagina andrà a scomparire gradualmente a vantaggio dei più pratici ed accoglienti, ma molto meno affascinanti ristoranti dell’attuale sistema globalizzato. Sperando che allo stesso tempo, i particolari vantaggi offerti da un sistema culturale tanto differente possano filtrare in cambio ai nostri progettisti dei quartieri condivisi. Per poter beneficiare, nella massima misura possibile, di spazi abitativi che andrebbero altrimenti sprecati.