Tubo, dolce tubo: i vantaggi di vivere in un pezzo di acquedotto cittadino

Ogni architetto degno di questo nome possiede un “tema” ovvero il punto cardine, più o meno esplicito, della sua produzione professionale. Che diviene manifesto non soltanto attraverso le singole scelte creative, ma anche nella specifica natura dei progetti che sceglie personalmente di portare all’attenzione del grande pubblico. E che se è davvero fortunato, anche senza il supporto di un facoltoso committente, può qualche volta riuscire a realizzare. Una visione, questa, che per James Law dello studio Cybertecture, fondato esattamente 20 anni fa nella vasta città di Hong Kong, corrisponde al reimpiego e la trasformazione in qualcosa di utile delle vecchie infrastrutture urbane, appesantite e rese del tutto obsolete dall’aumento esponenziale della popolazione. Immaginate dunque la sua espressione quando nel corso di un giro in macchina gli capitò, qualche anno fa, di scorgere all’interno di un deposito dimesso una gran quantità di sezioni di tubo in cemento rinforzato (CPM) dal diametro di circa tre metri, abbandonati a prendere la pioggia in attesa che un qualche cantiere di manutenzione e ripristino, o perché no ampliamento della rete idrica, manifestasse finalmente la necessità di seppellirli al di sotto del duro ed impenetrabile asfalto metropolitano. Giusto qualche tempo dopo, incidentalmente, il naufragio effettivo del suo progetto AlPod, per la costruzione di una serie di mini-case tecnologiche di lusso contenute all’interno di una scatola di alluminio di appena 40 mq. Perché parliamoci chiaro, se hai l’equivalente di svariate decine di migliaia di dollari da spendere per il tuo appartamento, difficilmente sarai propenso ad investirle in quello che era e resta comunque un cubicolo in grado di ricordare la cella di un ipotetico vasto alveare umano. Ecco la cognizione, dunque, derivata dal fortunato congiungersi degli eventi: abitare all’interno di due sezioni di tubo attaccate assieme, dando luogo ad un’opera che è sia la creazione di uno spazio a misura d’uomo che un gesto sostanzialmente efficace di riciclo, conduttivo a un impiego maggiormente redditizio delle risorse di partenza. Dopo tutto, secondo la logica dell’economia di scala, tubi come questo hanno un costo relativamente irrisorio. E lo stesso può dirsi, a fronte dell’opera di arredo e ri-conversione, della casetta che trae la genesi dall’opera di James Law, denominata, con un’occhio di riguardo nei confronti dell’alfabetica geometria, O-Pod.
Non si tratta naturalmente di un concetto del tutto nuovo (oggi giorno, quasi niente lo è) riprendendo tra le altre cose la corrente di questi tempi piuttosto popolare di chi abita all’interno del tipico container per il trasporto e la consegna di merci via mare, sebbene su una scala ancor più ridotta: qui si parla, in effetti, di appena 30 mq di spazio abitabile per un ulteriore 20% in meno rispetto alle alternative, entrando quasi in un reame comparabile a quello degli ormai leggendari capsule hotel, particolarmente popolari in Estremo Oriente, come angusta base di partenza per brevi trasferte di tipo lavorativo o viaggi avventurosi all’interno di un contesto ignoto. Con un obiettivo, tuttavia, in qualche modo più nobile e risolutivo: offrire un luogo dignitoso per vivere a tutti i suoi concittadini che hanno estratto la proverbiale pagliuzza più corta nel sistema economico globale, finendo per occupare posizioni che richiedono quanto meno un pied-à-terre tra gli alti palazzi di una delle città più costose al mondo, senza tuttavia concedergli uno stipendio tale da potersi permettere neppure il più economico degli affitti. Ecco dunque, la sua idea: posizionarli, questa volta letteralmente, IN MEZZO ai vertiginosi grattacieli, sotto i cavalcavia e…

Esposto per la prima volta pubblicamente a dicembre del 2017, il prototipo della casa O-Pod si è dimostrata in grado di raccogliere un’ottima risposta da parte del pubblico, benché risulti difficile misurare quanti dei suoi sostenitori, effettivamente, sarebbero disposti a viverci dentro per più di un’oretta o due.

Si fa un gran parlare della presunta praticità abitativa del tipico container, sfruttato come una sorta di versatile coltellino svizzero ogni qual volta si necessità di uno spazio standardizzato nell’architettura post-moderna, senza notare come esso non possa affatto costituire, in maniera inerente, uno spazio poi così adatto a trascorrere la quasi interezza delle proprie notti e giornate non-lavorative. Costruito integralmente in metallo e dunque poco isolato dal punto di vista termico e relativamente poco resistente una volta modificato con porte e finestre, impedendone la sovrapposizione senza strutture di sostegno oltre il secondo o terzo piano, il che comporta quindi una serie di costi addizionali tutt’altro che indifferenti. Mettete a confronto, dunque, simili limitazioni con la natura di un “ambiente” (perché in ciò è stato deciso di trasformarlo) come il tubo CPM, costruito per tollerare le molte tonnellate del manto stradale soprastante, già dotato di due pratiche aperture alle estremità e per di più, grazie alle pareti naturalmente curve, in grado di ospitare ai lati dell’area più propriamente percorribile una vasta gamma di arredi costruiti su misura. La personalizzazione, difficile negarlo, è in fondo l’anima di uno spazio abitativo che possa dirsi realmente gradevole, benché la proposta standardizzata di James Law risulti tutt’altro che deludente, con un singolo divano capace di trasformarsi in letto, mensole sovrapposte fin quasi all’area bagno, il più piccolo forno a microonde immaginabile (“Che cosa dovranno mai cucinare i giovani?” aggiunge lui scherzando, durante la visita dimostrativa) e una lampada con braccio a molla capace di agire come fonte di luce sia per la zona letto che la minuscola cucina. Il tutto protetto e insonorizzato dalla natura impenetrabile dei molti centimetri di cemento, materiale dalle caratteristiche architettoniche rinomate, sigillato da un lato grazie a quella che idealmente potrebbe essere una serratura controllata via Internet stile Airbnb per affitti a breve termine, un mercato in cui le O-Pod potrebbero trovare uno dei loro impieghi dal maggior ritorno d’investimento. Ma non è tutto, in un ipotetico futuro in cui gli abitanti di Hong Kong in attesa che si liberi una casa popolare potrebbero usufruire dei mini-appartamenti anche per un periodo di svariati anni, magari occupandone più d’uno a seconda della quantità di membri che compongono la propria famiglia. Una visione piuttosto encomiabile, e rara di questi tempi, di un rinomato creativo del mondo dell’architettura che opera a vantaggio della gente comune, rispondendo alle più basilari necessità dell’esistenza.

Nella O-Pod, ogni spazio possiede non soltanto una funzione ma due o tre, consentendo almeno in via ipotetica anche la convivenza di un’affiatata coppia di marito e moglie. Purché vadano, possiamo soltanto augurarglielo, perfettamente d’accordo anche nelle più piccole ed insignificanti cose.

Il tutto per un prezzo di costruzione unitario stimato di appena 15.000 dollari cadauna, tramite accordi particolari con i produttori di tubi e previo ammortizzamento delle spese per gli spazi occupati, suddiviso tra i numerosi futuri utilizzatori (più o meno transitori) di ciascun assembramento sovrapposto di sezioni di tubo. Il paragone con alcune specie di imenotteri, particolarmente le vespe cosiddette muratrici della sottofamiglia Eumeninae, che costruiscono angusti nidi dalla forma allungata col foro in mezzo, ritorna di nuovo preponderante al centro dell’intera questione. Né possiamo affermare d’altra parte che si tratti di un’ispirazione del tutto priva di meriti e un valido significato, quando si considera come la società moderna ci abbia condotto verso una progressiva specializzazione e perdita del rispettivo senso d’individualità. Ben venga dunque chi, in funzione di tutto questo, possiede un metodo valido a ridurre conseguentemente il costo di accesso a uno stile di vita che possa dirsi effettivamente dignitoso.
Uno studio condotto dal National Geographic nell’estate del 2017 parlava di una Hong Kong in cui oltre 200.000 persone, tra cui 40.000 bambini, vivevano correntemente all’interno di case al di sotto dei 30 mq, spesso ricavate all’interno di vecchi condomini dalle condizioni abitative e di sicurezza molto di sotto della soglia d’allarme. Persone per le quali poter disporre di spazi del tutto nuovi ad un prezzo equivalente potrebbe costituire un notevole miglioramento! Se soltanto i consueti ostacoli amministrativi e burocratici potessero finalmente venire condotti altrove, come le acque di scarico nella sezione cilindrica del più pregiato, nonché risolutivo, tra gli acquedotti metaforici dei nostri tempi.

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