Le alterne vicissitudini del cratere meteoritico meglio conservato al mondo

È sorprendente pensare come, nonostante i letterali milioni di anni prima che l’atmosfera assumesse le caratteristiche necessarie a far vaporizzare la stragrande maggioranza dei corpi estranei provenienti dal vuoto cosmico, fino al 1891 gli scienziati non fossero riusciti ad individuare un singolo impatto meteoritico pregresso sulla superficie dell’intero globo terrestre. Ed il modo in cui, affinché potessero riuscirci, sarebbero servite le circostanze pressoché perfetto di un singolo luogo d’impatto rimasto miracolosamente privo di vegetazione, processi d’erosione o precipitazioni eccessivamente intense. Laddove non sussiste alcuna possibilità, istintivamente, di fraintendere la forma e l’effettiva origine di questo buco largo 1,186 Km nel paesaggio situato ad ovest di Winslow, nel deserto settentrionale dell’Arizona. Il suo bordo preminente, che forma una barriera circolare contro il vento. La presenza di uno strato di terreno e rocce dal colore differente rispetto agli immediati dintorni. E ad un’analisi più approfondita, la sostanziale inversione dei sostrati geologici del sottosuolo, essendo stati rimescolati, per l’appunto, da un cataclisma di derivazione ragionevolmente chiara vecchio di “appena” 50.000 anni. Al punto da giustificare l’adozione del tutto informale, fin dalla sua inevitabile scoperta in era coloniale, del toponimo Meteor Crater. Eppure dopo l’originale parere positivo espresso dallo studioso di mineralogia Albert E. Foote, che aveva analizzato alcuni campioni raccolti in-situ, a novembre di quello stesso anno catartico si sarebbe palesato il contraddittorio di una figura maggiormente rinomata, quel Grove Karl Gilbert, capo del Servizio Geologico Statunitense, che concentrandosi sull’assenza di un campo magnetico dovuto alla presenza di grandi corpi metallici identificò il cratere come la risultanza di un evento vulcanico, analoghi a quelli ritenuti all’epoca come l’origine della particolare conformazione del suolo lunare (Ipotesi che paradossalmente, proprio egli stesso avrebbe in seguito smentito per quanto riguardava il nostro satellite notturno). Detto questo, come avviene in qualsiasi altro tipo di circostanza, non tutti si affrettarono a cambiare i propri preconcetti acquisiti. Uno dei quali, l’agente del Servizio Forestale Samuel Holsinger, si ritrovò a parlare casualmente nel 1903 con l’ingegnere minerario originario di Philadeplhia Daniel Moreau Barringer che aveva fatto la sua fortuna con la miniera di Pearce, nella contea di Cochise. Il quale al sentir parlare di una possibile ingente quantità di metalli utili al di sotto di un luogo isolato e privo di recinzioni pre-esistenti, approdò immediatamente sulle sponde di un’ambiziosa idea: acquisire dal governo i diritti di sfruttamento minerario dell’intera zona del Canyon Diablo incluso il cratere, cominciando a perseguire l’opportunità di riportare in superficie un tesoro. Peccato egli non potesse conoscere, come chiunque altro nella propria epoca, il tipico ed inevitabile destino di qualsiasi meteorite in grado di oltrepassare l’atmosfera terrestre…

Piattaforme d’osservazione, comodamente raggiungibili dal museo, circondano il cratere, permettendo di prendere atto delle sue impressionanti dimensioni. Nel 1964 un aviatore a bordo del suo Cessna 150, tentando di fare lo stesso, finì per subire uno stallo ed impattare contro il bordo del grande foro. Entrambe le persone a bordo, contrariamente alle aspettative, sopravvissero allo schianto.

L’idea, nonostante i precedenti acclarati, era ragionevolmente valida in linea di principio: se una roccia colossale, per ragioni incerte, si separa dalla cintura asteroidale del nostro sistema stellare, disegnando una traiettoria che la conduce ad intersecare il punto di passaggio del globo terracqueo, nessuno sarebbe rimasto ragionevolmente sorpreso nel trovarla ragionevolmente integra presso il punto del suo impatto, magari coperta da una quantità ingente di terra e detriti. Da qui l’approccio scelto per cercare di raggiungere la presunta vena metallica, che il geologo autodidatta Barringer riteneva essere nascosta in corrispondenza del bordo settentrionale del cratere, in base ai calcoli da lui stesso effettuati sulla traiettoria del punto d’impatto. Nonché il presunto peso del bolide, che egli stimava prossimo al milione di tonnellate. Nel giro di tre anni dalla fatidica conversazione, dunque, grazie alle ottime connessioni politiche di cui disponeva, l’imprenditore minerario era riuscito ad ottenere il permesso del presidente Roosevelt per l’apertura di un ufficio postale nelle immediate vicinanze, definito per l’appunto Meteor, mentre i suoi uomini continuavano enfaticamente a scavare. Finché attorno al 1920, quando l’iniziativa aveva ormai raggiunto la profondità di 419 e i circa 200.000 dollari d’investimenti esterni, la certezza del suo committente venne per la prima volta portata a un’improvvisa battuta d’arresto. Ciò per via della consulenza esterna fornita dall’astronomo Forest Ray Moulton, in base alla quale il meteorite del Meteor Crater non poteva avere un peso superiore alle 300.000 tonnellate, sostanzialmente pari al mero 3% della cifra inizialmente stimata dal proprietario del terreno. Dieci giorni dopo la pubblicazione della perizia, avendo speso gran parte della sua fortuna e quella dei suoi soci in affari, Daniel M. Barringer morì di un improvviso infarto. Gli scavi cessarono pressoché immediatamente.
Ma le diatribe in merito a cosa davvero rappresentasse, e quale dovesse essere il futuro del cratere non erano ancora finite. Principalmente a causa l’intervento dello studioso di meteoriti ed educatore, anch’egli autodidatta, Harvey Harlow Nininger, che negli anni ’30 iniziò una sua personale crociata per far abolire la togliere privata del Diablo Canyon alla famiglia Barringer, argomentando che un sito di tale importanza storica e geologica dovesse venire iscritto nel territorio di un parco nazionale. Fino alla pubblicazione nel 1948 di uno studio accolto con entusiasmo e ratificato dalla Società Astronomica Statunitense, che avrebbe suscitato le ire degli eredi al punto da togliere i permessi per ulteriori studi sul campo da parte di Niniger del punto d’impatto, mentre si cercava una via per legittimarne il possesso nelle generazioni a venire. Il che avrebbe infine portato, nel 1953, al cambio di nome della Standard Iron Company in Barringer Crater Comp, mentre un museo privato veniva istituito sul terreno oggetto del contenzioso. Nel 1960, infine, l’idea all’origine di tutto ricevette la sua tardiva conferma, grazie all’opera del geologo Eugene M. Shoemaker, capace di confermare attraverso la presenza di forme raro di silicio e quarzo nel sottosuolo del cratere l’avvenuto impatto meteoritico, oltre a pressioni e temperature sufficientemente elevate da portare alla vaporizzazione pressoché totale del suo sospirato contenuto di metallo.

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Fu l’inizio di un lungo e sincero impegno di divulgazione scientifica, mentre quello che era diventato nel frattempo un sito turistico di un certo successo si era trasformato anche in una fonte non indifferente di guadagni inaspettati. Negli anni successivi, il cratere divenne famoso anche come sito d’addestramento utilizzato più volte dalla Nasa nel contesto del programma spaziale, al fine di preparare i propri astronauti alle condizioni e conformazione dei tipici crateri lunari. Ragion per cui, ancora oggi, poco fuori il museo è custodita una fedele riproduzione della capsula dell’Apollo 11, effettivamente utilizzata come ausilio tecnico da coloro che avrebbero compiuto l’impresa.
Finché il “piccolo passo” di Neil Armstrong non sarebbe stato portato a termine, contribuendo in modo significativo alle nostre percezioni presenti e future. Su cosa l’uomo fosse in grado di realizzare, con i giusti stimoli e presupposti, ogni qual volta sussisteva l’intenzione di vincere una gara o dare prova tangibile dei risultati giudicati degni al volgere delle generazioni. Senza particolari aspettative di recuperare il proprio investimento, subito o dopodomani. E guerre permettendo, come ancora oggi siamo tristemente inclini a ricordare. Il vero ricorrente evento in grado di distruggere ogni cosa, ancor più dell’impatto di un qualsivoglia meteorite spaziale.

1 commento su “Le alterne vicissitudini del cratere meteoritico meglio conservato al mondo”

  1. è sorprendente quanto la natura possa essere devastante e a volte anche incomprensibile a noi esseri umani, possiamo immaginare quanto danno possa fare un asteroide di quelle dimensioni, ma non avremo mai un idea precisa e concreta della distruzione che provoca, è una cosa che davvero mi fa uscire di testa, bel articolo, molto interessante

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