Benvenuti nell’unico vero “Luna” Park, scavato con le bombe nel deserto dell’Arizona

Simulazione: il tentativo di scoprire, in condizioni controllate e favorevoli, le più ragionevoli conseguenze di una specifica concatenazione d’eventi. In altri termini, probabilmente, l’arma più importante a disposizione degli scienziati e non solo. Come non considerare, d’altra parte, alla stregua del più folle dei gesti, l’organizzazione del viaggio dal costo di svariati milioni di dollari verso una meta largamente ignota, senza sapere se i membri della nostra squadra saranno in grado di dare il proprio meglio in ciascuna delle fasi critiche inerenti, scongiurando il rischio di questioni inaspettate o altri problematici incidenti! Proprio questo ebbero a pensare a quanto pare gli organizzatori del programma Apollo, verso il termine del 1963, esattamente 6 anni prima che Buzz Adrin e Neil Armstrong, assieme al terzo membro mai citato della spedizione Michael Collins, arrivassero a ridosso del secondo astro più importante nella storia della cultura e delle civiltà umane, toccando con mano quel proverbiale “formaggio” lunare che la maggior parte di noi, per l’intero corso della vita, non potrà far altro che assaggiare con la fantasia. Ed è per questo, prima di partire, che i responsabili del progetto concepirono per loro un particolare esperimento, la cui esistenza pregressa era destinato a lasciare degli evidenti segni nel paesaggio circostante una particolare cittadina nella parte centro-settentrionale dell’Arizona. Flagstaff: probabilmente, non avrete mai sentito parlare. Nonostante la rilevanza geologica dovuta all’edificazione in corrispondenza del corposo cratere vulcanico di Sunset, nominato Monumento Nazionale. E la vasta distesa pianeggiante ricoperta di ceneri di basalto da esso espulse qualche migliaio di anni fa, che ne divide l’eminenza paesaggistica dai circa 65.000 abitanti del paese succitato. Entro la quale tuttavia, in aggiunta alle dozzine di percorsi segnati dalle ruote degli ATV ed altri fuoristrada usati dai turisti nel corso dei frequenti festival regionali, occasioni di aggregazione a discapito della conservazione storico-archeologica che a quanto pare, non fa parte del sentire locale, figurano una serie di depressioni alquanto significative che a un astronomo potrebbero sembrare, di primo acchito, alquanto familiari. E la ragione di questo, dopo un breve periodo d’introspezione meditativa, apparirà immediatamente chiara: poiché come uno specchio ricavato dalle aride terre nordamericane, questo spazio è stato ricreato ad opera della branca Astrogeologica dello U.S. Geological Survey nella forma, e le specifiche misure, di un particolare tratto della regione lunare nota come Mare Tranquillitatis, ovvero quella, in termini specifici, ove atterrò il modulo dei due astronauti succitati.
Sconfiggere la Russia, con il suo notevole complesso industriale e la spettacolare quantità d’ingegneri, scienziati e visionari tecnologici impegnati nella corsa di quegli anni verso l’astro notturno per eccellenza, non fu certo un proposito dall’esito scontato. Costituendo, piuttosto, l’occasione di mettere in campo ogni possibile vantaggio tattico e situazionale, incluso, nel particolare e qui presente caso, il paesaggio. E qualche tonnellata d’esplosivo attentamente calibrato, al fine d’imitare secoli, millenni ed altri secoli d’impatti meteoritici. Per poi portarvi in gita, nel momento più fatidico del loro lungo & difficile addestramento, le due persone al punto cardine di un tale macchinario generazionale…

La creazione del Crater Field richiese 522 Kg di dinamite e 12.000 di nitro-carbo-nitrato, una mistura esplosiva di fertilizzante e petrolio. Furono impiegate 426 cariche in tre distinte fasi, per rispettare le interazioni tra crateri “antichi”, “mediani” e “recenti”.

Collegare il Cinder Crater Field all’unica esperienza della prima missione lunare sarebbe del resto alquanto riduttivo. Quando si considera come Armstrong e Aldrin, nei fatti, furono addestrati a muoversi in tuta spaziale e riconoscere le rocce geologicamente più rilevanti muovendosi piuttosto tra il Grand Canyon, il vicino cono vulcanico spento di Sunset ed un’altra voragine ancor più profonda, situata ad “appena” 49 miglia da Flagstaff, nota come Meteor Crater, definito spesso come il segno di un impatto astrale meglio preservato al giorno d’oggi nell’intero pianeta Terra. Profondo abbastanza da contenere un palazzo di 50 piani e largo 1,2 Km, fu proprio questo il luogo presso cui la NASA scoprì che le tute spaziali progettate fino a quel momento erano semplicemente troppo delicate, mostrandosi fin troppo vulnerabili alla perforazione da parte di eventuali rocce appuntite. Il che portò, nell’intervallo di anni prima del fatidico Apollo 11, a una loro pressoché completa riprogettazione. Il momento in cui la notevole creazione paesaggistica dello U.S. Survey avrebbe vissuto il suo maggior momento di gloria sarebbe tuttavia giunta con la missione Apollo 15 del 1971, quarta ad allunare e prima ad poter vantare un focus ulteriore nel campo della ricerca geologica, anche grazie all’inclusione entro il modulo lunare del famoso Rover, un veicolo capace di ampliare in modo significativo lo spazio visitabile da parte di David Scott e Alfred Worden, previo assemblaggio portato a termine al momento dello sbarco nel mezzo dell’area d’origine vulcanica del Mare Tranquillitatis. Occasione, questa, e massimo pretesto, di fare un utilizzo significativo del Cinder Crater Field, ove sgommare generosamente con una fedele ricostruzione del veicolo denominata per l’appunto Grover (ciò in quanto l’originale, mai concepito per funzionare nelle condizioni della gravità terrestre, non avrebbe mai potuto supportare il peso di un astronauta in simil-tuta spaziale). Il veicolo, che vantava un sistema di propulsione elettrico ed un sofisticato meccanismo delle sospensioni creato ad-hoc, oltre al sistema di registrazione di una telecamera a colori con antenna integrata per inviare le immagini verso il centro di controllo, veniva infatti pilotato mediante l’unico sistema possibile per un astronauta completamente bardato di un joystick inclinabile a 360 gradi, capace di controllare sia lo sterzo che l’acceleratore. Ben poco, dunque, di quanto appreso precedentemente dai due (o per meglio dire Scott, colui che avrebbe effettivamente condotto il mezzo) per l’esame della patente avrebbe potuto trovare applicazione una volta giunti lassù, dove qualsiasi errore avrebbe avuto conseguenze del tutto irrecuperabili. Ciononostante e pur potendo fare affidamento sulla preparazione pregressa dei suoi partecipanti, la spedizione dovette infine fare i conti con un malfunzionamento dello sterzo anteriore del Rover durante la sua prima uscita nei campi lunari, che successivamente avrebbe ricominciato a funzionare di concerto con le ruote posteriori, assolvendo finalmente al compito per cui originariamente era stato progettato.

Oggi custodito presso il Museo Astrogeologico di Flagstaff, il Grover ancora del tutto funzionante costituisce uno sguardo privilegiato verso le più elevate vette raggiunte dall’ingegneria automobilistica all’inizio degli anni ’70 dello scorso secolo. E forse un giorno, magari durante un anniversario o evento particolare, potrebbe tornare ad esser guidato lungo gli unici campi cinerei che abbia mai conosciuto.

Utilizzato per condurre le necessarie simulazioni almeno fino al lancio della missione Apollo 17, nel 1972, il Cinder Crater Field sarebbe stato successivamente abbandonato al suo destino dalla NASA, diventando una parte inscindibile del patrimonio turistico di Flagstaff, nonché luogo perfetta per fare pratica nella guida di veicoli ricreativi off-road. La non troppo distante industria cinematografica di Hollywood, nel frattempo, avrebbe scoperto questi desolati pascoli come lo scenario ideale per girare un alto numero di film di fantascienza e pseudo-documentaristici, così come avvenuto per un altro luogo utilizzato come sito d’addestramento durante il programma Apollo, il Black Canyon Field nella Verde Valley, Arizona Centrale. Almeno prima che laggiù, diversamente da quanto fatto a ridosso del Sunset Crater, qualcuno rilasciasse i permessi necessari a edificare abitazioni ed altri edifici, rovinando alquanto l’effetto originariamente ricercato, di ricostruzione cosmico-lunare priva di evidenti difetti. A perenne, silenziosa testimonianza del singolo traguardo letteralmente più lontano mai raggiunti da persone in carne ed ossa, il Cinder Crater Field continua dunque ad interrompere il familiare paesaggio desertificato dell’Arizona centrale. Così realistico, nonostante l’effetto del trascorrere degli anni ed il passaggio di generazioni di veicoli a motore, da far sospettare ai soliti noti che proprio qui, con l’aiuto di famosi registi, la NASA possa aver realizzato le finte scene del presunto allunaggio, trionfando così nell’unica guerra che abbia coinvolto dei poderosi razzi, senza per questo aver compromesso la vita, o l’incolumità di alcuno. E che presto potrebbe trovare un nuovo capitolo, con ulteriori campi sperimentali ricavati altrove, per la corsa al Pianeta Rosso che non avrò neanche bisogno di nominare.
Ma se i dubbi avessero una base effettiva, ritorno a chiedervi, come potremmo oggi possedere l’istinto del topo? Che una volta provato il gusto di quel cibo dall’aroma ultraterreno, farebbe di tutto, pur di tornare lassù ed assaggiarlo di nuovo. Indipendentemente dal numero di prove tecniche che dovessero rendersi necessarie, ai margini di quel frigo nel mezzo della cosmica cucina, pericoloso (magnifico, stupendo!) e delicatamente al di fuori della sfera delle nostre innate possibilità naturali.

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