Il primo ed ultimo terrore che risucchia il rospo giovane della brughiera

Striscia liscia, l’infame ed affamata biscia. Finché silenziosamente si avvicina, per ghermire la sua vittima supina. L’orribile creatura di colore nero, il mastino che ti addenta le caviglie e poi non molla, per diverse ore fino all’ultimo raggiungimento della sazietà… Riuscite a immaginare, forse, qualcosa di più disgustoso del verme semi-subacqueo, che il comune nozionismo è ancora solito identificare con il termine etimologicamente poco chiaro di mignatta? Poiché quello alternativo di “sanguisuga”, nel procedere dei giorni, si era trasformato nel sinonimo di parassita della società o un singolo individuo, vedendosi attribuita per associazione tutta l’impietosa e dolorosa avidità di questo piccolo, sgradevole ospite dell’epidermide umana. Eppure non c’è valida ragione, qualora si pensi nel caso specifico alla Hirudo medicinalis, ausilio vivente della medicina per migliaia di anni, per portar rancore a colei/colui (dopotutto, si sta qui parlando di una stirpe ermafrodita) che fluidificava il sangue, rimuovendo quello in eccesso, combattendo le infezioni per salvare i nobili o cittadini abbienti fin dai tempi di Ramsete II. Mentre se volete alimentare l’odio per qualcosa di strisciante ed esteticamente (oggettivamente) disgustoso, non troverete di meglio che l’ultimo documentario inglese mandato in onda con la voce del grande Attenborough, capace di gettar luce su una contingenza che pur ripetendosi da innumerevoli generazioni, tende a svolgersi lontano dagli occhi e la cognizione dei pur vicini esseri umani. Qui negli umidi recessi, della zona nota come Dartmoor, altopiano paludoso che sovrasta il batolito della Cornovaglia. Un luogo di racconti folkloristici inquietanti, misteri dei romanzi gialli o vittoriani e una selvaggia, implacabile legge di natura. Persino oggi, persino nelle condizioni attuali delle Isole, dove lo sfruttamento implacabile dell’uomo ha condannato ormai da tempo la stragrande maggioranza delle più notevoli o imponenti specie animali. Ma non loro: le Haemopis s. o sanguisughe cavalline, così chiamate per la somiglianza fisica verso una specie tipica dell’Africa settentrionale, nota per l’inquietante inclinazione a risalire su, nelle narici delle nostre povere cavalcature equine. Abitudine che d’altra parte sembrerebbe non appartenere alle “graziose” controparti britanniche, della lunghezza media di una quindicina di centimetri ma la capacità di estendersi fino a una volta e mezza tale cifra, mentre si contorcono spostandosi da un lato all’altro del bagnasciuga. Rientrando a pieno titolo nella sotto-categoria delle sanguisughe predatrici, ovvero poco inclini a suggere il prezioso sangue che si muove sotto la permeabile membrana protettiva dei viventi. Preferendo, piuttosto, trangugiare l’intero possessore del sistema linfatico, il cuore dai costanti battiti e il suo corredo di organi utili a mantenerlo in attività. Con quel tipo di suono inquietante e così stranamente descrittivo simile a un risucchio, che tende ad impegnare molto a lungo prima di essere creato dal tecnico foley della BBC…

Le sanguisughe cavalline prendono preferibilmente di mira gli esemplari giovani di rospi non soltanto in forza delle loro dimensioni minori, ma anche per l’assenza di difese chimiche repellenti, come quelle possedute dai B. bufo adulti.

La scena è andata in onda effettivamente all’inizio di aprile come parte della serie Wild Isles, ambientata per l’appunto entro il territorio britannico e finalizzata a dimostrare come ci sia ancora molto da salvare, essendo degno di essere preservato, in un ambiente erroneamente decretato come ormai del tutto privo di creature naturali immanenti. Così come narrato attraverso le dettagliate immagini offerte anche al pubblico di Internet e l’articolo a corredo dell’e autrice e naturalista “sul campo” Lily Moffatt che non esita a descrivere la scena come un vero e proprio film dell’orrore, privo di un apprezzabile lieto fine per molti dei suoi involontari partecipanti. Membri come dicevamo della comune specie del Bufo bufo o rospo europeo, che erano stati recentemente messi al mondo dopo l’amplesso della coppia genitoriale e conseguente trasporto del maschio sulla schiena della femmina in giro per le terre senza tempo né alcun tipo d’ingombro creato dall’uomo. Non stiamo d’altronde parlando di una storia di piccoli girini aspirati dal verme crudele (benché anche ciò sia del tutto possibile e documentato) bensì quel periodo ogni anno, attorno a giugno-luglio, quando la metamorfosi si è ormai compiuta e i giovani rospetti iniziano a vagare in cerca di cibo nei dintorni della propria legittima pozza di appartenenza. Nella quale già ritornano, imprescindibili e fameliche, le sanguisughe cavalline.
Segue la silente frenesia delle Haemopis, che avvicinandosi di soppiatto e mettendosi di traverso sui sentieri battuti dai giovani saltatori, attendono pazientemente in agguato, aprendo e chiudendo le cinque paia d’occhi attenti al passaggio della preda. Prima di spalancare il succhiatore anteriore, col suo corredo di circa cento denti seghettati, disposti nella forma tripartita che ricorda una lettera “Y”, progettati dalla natura per intrappolare il bersaglio, piuttosto che farlo a brandelli nella maniera impiegata da predatori più grandi. Questo perché in rapida sequenza, decine e quindi centinaia d’incolpevoli abitanti verranno gradualmente inglobati, come nel vecchio film dell’orrore “Il Blob” dall’apparato digerente dei mostri privi di arti o di una forma chiaramente definita. Verso l’inseguimento di un’irraggiungibile, impossibile stato di sazietà. Finché al termine della stagione di caccia, come ogni altra volta nella pregressa storia dello stagno, le sanguisughe maschio/femmina cominceranno a ricercarsi l’un l’altra, strofinandosi i rispettivi rigonfiamenti noti biologicamente come clitellium, affinché la partoriente di turno possa sviluppare il bozzolo ricolmo di fino a 5 decine di pulsanti uova. L’origine del reiterato e programmatico delitto, che tornerà a ripetersi al compiersi di un intero ciclo di stagioni terrestri. Senza che nessun sapiente investigatore appartenente al mondo della letteratura, pipa e lente d’ingrandimento alla mano, possa sostanzialmente farci alcunché di risolutivo.

La predazione dei girini da parte delle agili sanguisughe, capaci di nuotare alla pari di qualsiasi verme polichete degli abissi oceanici, è un’attività quasi ipnotica nella sua cruda efficienza. Resta legittimo chiedersi, d’altra parte, se sia possibile che vada troppo oltre.

Ed è tutto assolutamente previsto ed in qualche modo incorporato nel grande sistema ecologico, o per lo meno così doveva essere in linea di principio. Con le nuove generazioni dei piccoli rospi che venivano al mondo in quantità e con rapidità tale, da non compromettere in alcun modo le proprie ragionevoli prospettive di sopravvivenza futura, in qualità di specie tutt’altro che compromessa dai vigenti fattori esterni. Laddove si ha notizia, basandosi sul relativo studio del 2010 (Stead et Pope) di almeno un caso in cui l’eccessiva proliferazione di sanguisughe sia giunta a minacciare la biodiversità di alcuni particolari siti in California, trangugiando un’eccessiva quantità dei già compromessi rospi endemici del Nuovo Mondo. Questo perché la natura è un sistema complesso inerentemente delicato e vulnerabile, di fronte al quale si è giammai del tutto privi di effettive responsabilità o eventuali modalità di riscossa. Così come dolorosamente (e forse, cupamente) scoperto dai primi coloni giunti fino a quelle coste distanti ormai secoli a questa parte, recando al proprio seguito ingenti quantità di microbi capaci di annientare interi vasti imperi e confederazioni costruite dall’uomo. E figuriamoci i batraci gracidanti, privi d’altra strategia utile a difendersi che una secrezione lievemente acida sul proprio vulnerabile corpo bitorzoluto.

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