La discussa prova che gli antichi messicani avrebbero cavalcato i dinosauri

In base alla teoria dell’inversione periodica dei poli magnetici terrestri, elaborata per la prima volta dall’ingegnere elettrico Hugh Auchincloss Brown (1879-1975) l’asse di rotazione del nostro pianeta non sarebbe stato in alcun modo un assioma invariabile del Creato, bensì uno stato dei fatti in grado di cambiare periodicamente, in forza di fattori esterni e totalmente fuori dal nostro controllo. Sebbene soggetti, fortunatamente, a un certo grado di prevedibilità e persino, al giorno d’oggi, prevenzione. Fu proprio costui d’altronde a descrivere l’ipotetica procedura, complessa ma realizzabile, finalizzata a rimuovere “l’accumulo di ghiaccio dai poli” mediante l’utilizzo di bombe atomiche, come possibile risposta ai dati da lui raccolti sul recente aumento di “oscillazione” della normale rotazione cosmica attorno al nostro asse centrale. Ben più che un mero esperimento (per quanto estremo) bensì un passaggio di primaria importanza, quando si considera le monumentali catastrofi verificatosi, ad intervalli di circa 4000-7500 anni al verificarsi di tali eventi, nella storia pregressa della specie umana. Proprio per questo non così eccezionalmente ben documentata come crediamo, e costellata di misteri irrisolti come l’ipotetica benché probabile esistenza pregressa del continente di Mu o la città di Atlantide, e molteplici altri misteri soltanto menzionati nelle cronache pregresse degli antenati. Luoghi e storie come quella dell’antica cultura pre-ispanica della parte occidentale del Messico dei Chupícuaro, presso l’area maggiormente a settentrione della vasta area geografica e culturale denominata mesoamericana. Connotata dal bizzarro e inaspettato ritrovamento risalente all’estate del 1944, che avrebbe finito per diventare indirettamente una delle maggiori prove a supporto dei presupposti elaborati da Mr Brown.
Tutto ebbe inizio dunque, come spesso capita nei poemi, con una cavalcata all’ombra del Cerro Toro, omonimo della celebre montagna in Spagna e famoso per il suo vino, grazie alla tenuta fondata nel 1956 dalla famiglia giapponese di Makoto Kambara. Non troppo distante dal cui terreno, 12 anni prima, il venditore di attrezzi di discendenza tedesca Waldemar Julsrud si trovava a compiere una tranquilla escursione equina nella zona fuori la cittadina di Acámbaro, quando durante una sosta scorse qualcosa d’inaspettato tra l’erba del pendìo: quella che poteva soltanto essere una preziosa statuetta di terracotta, risalente a quella civiltà ancora largamente misteriosa, che secondo i dati fin qui raccolti sarebbe stata in epoca remota sconfitta, o inglobata dal grande impero azteco di Tenochtitlán. L’oggetto rappresentava un qualche tipo di creatura quadrupede, serpentiforme, rettiliana e soprattutto ricoperta di quel tipo di placche ossee che in base ai ritrovamenti paleontologici di cui possiamo disporre, può soltanto corrispondere a un particolare trascorso evolutivo della natura. Quello preistorico delle creature che avrebbero, in base ai dati raccolti, dominato un tempo le vaste vallate della Terra. Dinosauri, cos’altro? In breve tempo, Julsrud mise alle sue dipendenze un’intera squadra di scavatori locali, che avrebbero lavorato per l’intera decade successiva. Mentre quello che sarebbe emerso a seguire, semplicemente non ha precedenti nelle discipline archeologiche dei nostri giorni: oltre 33.000 figurine di terracotta, molte delle quali raffiguranti esseri umani intenti ad interagire in varie maniere con simili creature di epoca Giurassica o successiva, nonché individui vestiti con fattezze aliene o abbigliamento egizio, africano, indiano. Qualcosa di capace, in altri termini, di riscrivere completamente la cronistoria pregressa dei nostri presupposti ufficialmente ormai acquisiti, e non solo…

Sinuosi, conturbanti, qualche volta minacciosi. Occhi grandi e scaglie preminenti, chi potevano essere i misteriosi “visitatori” del popolo dei Chupícuaro? Ai posteri l’ardua sentenza. Non che il mero senso comune debba sempre, necessariamente, essere il contrario opposto della realtà!

La storia, dopo essere stata ignorata prevedibilmente dal mondo accademico come il prodotto della fantasia di un mitomane, iniziò ad attrarre l’attenzione degli scienziati a seguito della pubblicazione, nel 1947, del pamphlet/catalogo di Julsrud, Enigmas del pasado e il conseguente articolo sul Los Angeles Times, capace di attrarre istantaneamente l’attenzione diametralmente opposta dei sostenitori e detrattori della strana storia alternativa almeno in apparenza “provata” dal tedesco-messicano. Tra i primi sarebbero comparse negli anni a seguire, quindi, due figure ragionevolmente rilevanti nella cultura americana: il prof. di vari college Charles Hapgood, nonché futuro sostenitore dell’ipotesi dello scambio dei poli terrestri e assieme a lui niente meno che Erle Stanley Gardner, l’avvocato e scrittore della serie di romanzi che avrebbero dato i natali alla celebre serie televisiva procedurale di Perry Mason. Non prima tuttavia che l’archeologo specializzato in questo specifico contesto geografico Charles C. Di Peso, giunto nel 1953 sulla scena di uno degli scavi, riportasse alcuni aspetti piuttosto dubbi in merito allo svolgimento degli eventi. A partire dalle nuove statuette ritrovate, casualmente, proprio in sua presenza e già del tutto prive di accumulo di terra nelle intercapedini, per non parlare delle loro condizioni per lo più perfettamente integre, laddove l’opera di personale non specializzato tende piuttosto a danneggiare con i propri attrezzi almeno il primo strato di eventuali tesori o accumuli di materiale archeologico al delicato momento della sua riemersione. Per non parlare delle statuette già trovate infrante presumibilmente utili a confermare l’antichità del sito, le cui parti soggette a discontinuità dimostravano piuttosto una mancanza dei segni ed erosione che sarebbero stati causati dal trascorrere dei secoli, o persino millenni ipotizzati in merito all’intera questione. E la stratigrafia geologica tutt’altro che corretta del sottosuolo fatto emergere durante la ricerca, piuttosto conforme a una sepoltura dei reperti non più antica di 25-30 anni. Mentre Hapgood già inseriva una descrizione dei tesori nelle sue trattazioni in merito alla presunta variabilità della polarità terrestre, si aggiunsero per dire la loro i sostenitori del cosiddetto Creazionismo della Terra giovane, ipotesi tipicamente statunitense basata su un’interpretazione letterale della Genesi, secondo cui l’intera storia pregressa del pianeta non risulterebbe più antica di 10.000 anni. Il che avrebbe in effetti richiesto, come apparentemente dimostrato per l’appunto ad Acámbaro, l’effettiva coesistenza di esseri umani e dinosauri, in uno scenario degno della letteratura fantastica ed il genere di fumetti che iniziavano ad acquisire popolarità in quegli anni. Proprio quelli che, nel 1955-56 l’organizzatore di una mostra con le statuette presso il Museo Nacional di Città del Messico, Linton Satterthwaite avrebbe deciso di mettere a confronto nelle sale al fine di illustrare “entrambi i lati della discussione” finendo per trovare alcune corrispondenze alquanto significative tra i tesori sotterranei ed alcune produzioni cartacee statunitensi. Il problema effettivo, evidenziato da Di Peso e gli altri accademici che si affrettarono a schierarsi dalla sua parte, è che l’originale ritrovatore Julsrud era diventato all’epoca famoso per l’abitudine di pagare agli abitanti del posto la cifra di un pesos per ciascuna figurina di terracotta, creando un’incentivo non indifferente a fabbricarne il più possibile da parte di un’ipotetica congrega di cospiratori. Che avrebbero dovuto essere, oggettivamente, in grande numero data la quantità impressionante di esempi, guadagnando in forza di ciò una spinta tutt’altro che indifferente a beneficio dell’economia locale. Lo stesso fatto che genti rurali dell’entroterra Messicano potessero conoscere l’aspetto di alieni, dinosauri e popoli distanti non dovrebbe d’altra parte costituire un’impossibilità situazionale, quando si considera la disponibilità locale di sale cinematografiche, biblioteche, istituzioni d’apprendimento. Così che ogni disquisizione possibile sembrò in effetti ormai conclusa nonostante la costruzione di un apposito edificio per l’esposizione ad Acámbaro, almeno finché nel 1976, l’applicazione di una nuova metodologia scientifica non finì per offrire nuovi spunti d’approfondimento.

Una configurazione molto pratica, persino confortevole. Dopo tutto, chi potrebbe mancare di dare la precedenza all’incedere maestoso di un triceratopo…

I responsabili sarebbero stati Gary W. Carriveau e Mark C. Han, tra i primi sostenitori della rivoluzionaria tecnica di datazione mediante il sistema della termoluminescenza (TL) consistente nel rilievo della quantità di radiazioni contenute all’interno di manufatti di ceramica o minerali cristallini, inerentemente associabili a specifici periodi cronologici del passato. Metodologia applicando la quale, i due giunsero alla conclusione a loro avviso inconfutabile che le statuette messicane dovessero risalire ad almeno 2.500 anni prima dei nostri giorni, sollevando un polverone in apparenza destinato a durare delle decadi. Se non che soltanto due anni dopo, un miglioramento della tecnologia in questione e il nuovo controllo dei reperti, avrebbe dimostrato come essi avessero in realtà erroneamente misurato la chemioluminescenza, un diverso attributo del tutto inutile alla collocazione cronologica di un reperto.
Si può in definitiva, chiaramente e indubbiamente, scartare l’effettiva credibilità delle statuette di Acámbaro? L’unica risposta possibile è che no, questo non è possibile. Ed in effetti non dovrebbe neanche esserlo, poiché l’accumulo di prove pregresse in merito alla non-contemporaneità di uomini e dinosauri dovrebbe mettere completamente a loro carico il bisogno di confutare l’ovvietà in materia. Poiché non sarebbe d’altra parte neanche valido, né in qualsivoglia opportuno, affermare che siamo sicuramente innanzi ad un qualcosa di più antico della Quarta Dinastia del Vecchio Regno d’Egitto. Quando i mammut ancora camminavano nel Nord Europa. E chissà quali altri astrusi pachidermi, nei recessi più remoti e irraggiungibili della bizzarra pietra illuminata dalla stella che ci da la vita.

La maggior parte delle fotografie d’epoca risalenti agli scavi di Julsrud mostrano un contesto largamente informale, tanto più difficile da associare a quello che avrebbe dovuto costituire uno dei ritrovamenti archeologici più importanti della storia.
La somiglianza, per citare l’aggettivo di un altro famoso eroe dei fumetti dal costume rosso e blu, è niente meno che Uncanny!

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