C’è quel momento, la particolare sfida, l’ostacolo che sembra delinearsi innanzi a un ipotetico passaggio di carriera: quel momento in cui “Tutto sembrava andare bene” (tempo imperfetto). E invece? Per chi guida il camion sembrerebbe sopraggiungere, con pesantezza evidente, non appena si raggiunge per le prime volte la destinazione prefissata. Quando tutto quello che si è appreso alla scuola di guida si trasforma in una fine nebbiolina, mentre restano reali, e assai tangibili, soltanto le tue ruote, il rimorchio, il volante, lo spazio designato. Puro terrore. Eppure chi ha mai visto un cliente, alla ricezione della propria merce, che se la prende con colui che effettua le consegne, se non riesce a parcheggiare nell’angusto dock entro un paio di minuti… Pensate pure che ci sono guidatori di ogni livello di esperienza e abilità, tanto che costui, probabilmente, ne avrà già viste di tutti i colori. No, non tanto lì. Se desiderate conoscere il vero senso di disperazione contestuale, pensate invece allo scenario prototipico dell’area di sosta/rifocillamento autostradale, dotata di uno spazio designato per la sosta dei veicoli pesanti. L’autogrill nostrano, o il truck stop, come dicono gli americani. Ora, le giornate lavorative tendono ad avere una durata equivalente nei settori più diversi. E strano a dirsi, questo vale pure per i camion, professionisti solitari per eccellenza. Ciò in quanto, affinché la rapida motrice possa trasformarsi nella casa via da casa, occorrerà recarsi in uno di quei luoghi, che non sono così tanti da riuscire a segmentare totalmente l’effetto “ora di punta” nei loro vastissimi parcheggi. Ma il tutto sovradimensionato ad oltre 13 metri di lunghezza unitaria, e 9-15 tonnellate di peso! Mentre dozzine di colleghi impazienti tentano di fare lo stesso, o ancora peggio, sono già riusciti nell’impresa, andando ad occupare del prezioso spazio di manovra. Non è poi così frequente che il camionista abbia bisogno di bloccare il traffico durante le sue variegate peripezie stradali. Ma nel truck stop, in caso di abilità parzialmente inadeguata, potrebbe succedere ogni singola volta.
Come fare, dunque, per raggiungere la meta? Si dice che il metodo più certo per apprendere qualcosa di nuovo sia osservare un maestro all’opera, ma ciò funziona solamente in parte, quando la più alta percentuale del livello di sfida, nonché il principale ostacolo da superare, consiste proprio nell’imparare a visualizzare quello che si trova fuori dall’angolo dei propri grandi finestrini. L’americano Bo Shifter (to shift=cambiare marcia; che dite, sarà uno pseudonimo?) consiglia dunque un approccio tecnologico piuttosto innovativo. Lanciare in aria un drone ad alte prestazioni e stabilità, per riprendere l’azione dalla posizione di vantaggio più intrigante: il cielo. Ciò che ci si ritrova quindi ad osservare è la precisione geometrica degna di un compasso e goniometro, del parcheggiatore consumato alle prese con la propria dinamica impresa pressoché quotidiana. È sinceramente intrigante, come scena, nonostante a un camionista possa forse apparire mondana, per l’apparente nonchalance con cui il lungo rimorchio viene controllato, al fine di congiungersi con uno spazio di parcheggio largo forse appena mezzo metro più di lui. E questo senza la necessità di effettuare, neppure una singola volta, la manovra chiamata in gergo G.O.A.L. (Get out and look) consistente nell’aprire lo sportello, scendere e prendere le misure esatte dello spazio disponibile per portare a termine l’impresa. Un qualcosa che t’insegnano a scuola di guida con l’esplicita finalità d’inculcarti la presenza di spirito necessaria a fermarsi prima di causare l’irreparabile, e se necessario, lasciare stare quel parcheggio e cercarne altrove. Un qualcosa che può pur sempre succedere, per almeno i primi 50-100 exploit nel nuovo ambito operativo, prima che si acquisisca un corpus di esperienze valido a stemperare gli istintivi eccessi. Un 70-80% di competenza una volta acquisito il quale, resterà un ultimo miglio da percorrere, il quale potrebbe anche richiedere il corso della propria intera vita. Nessuno parcheggia perfettamente, in tutte le situazoni, e questo è altrettanto vero nel caso dei camionisti, che ogni giorno devono combattere con l’enormità dei propri mezzi trasportatori.
Nel caso dello scenario qui mostrato, che coinvolge quella configurazione onnipresente dell’autoarticolato a 10 ruote (tre coppie alla motrice, due riposizionabili sotto il rimorchio) il tutto gira, in più di un senso, attorno al meccanismo di snodo della ralla, talvolta detto sistema della quinta ruota, il punto in cui i due elementi che costituiscono il veicolo s’incontrano, senza mai scegliere di diventare un tutt’uno (nel qual caso, si sarebbe parlato invece di un autocarro). Il che significa, tradotto in termini di uso comune, che ogni qual volta si necessita di fare marcia indietro, non soltanto si dovrà tenere conto del moto non-intuitivo del proprio cabinato principale, ma anche a quello letteralmente “inverso dell’inverso” che coinvolgerà ben presto il carico, costringendo letteralmente ad inserire una forma quadrata in un buco triangolare. Ci avete mai provato? Quando spingi e spingi, ma la sfida per calcolo il Q.I. infantile non riesce a raggiungere il suo culmine, e mentre il nervosismo aumenta si finisce per urtare con le proprie manovre un mezzo parcheggiato, un lampione, magari addirittura il povero collega di passaggio a piedi. “Povero” se non aveva già fatto la sua scelta di unirsi alla folla che protesta contro la lentezza delle reclute, mentre voi sudate copiosamente alla ricerca di un aiuto che non sempre, è chiaro, vi riuscirà di avere a disposizione.
Un parcheggio ben riuscito del camion a marcia indietro è sempre la risultanza di una serie di passaggi attentamente calibrati e perfezionati nel tempo. In primo luogo, occorre trovare una posizione di partenza idonea, Secondo la convenzione, si inizia la manovra dal punto corrispondente al terzo camion dallo spazio vuoto selezionato. La convenzione vuole che il numero magico sia tre parafanghi, ma naturalmente esso potrà variare in base alla lunghezza del proprio rimorchio. A quel punto, si inizia a girare verso il lato ESTERNO all’obiettivo, tentando di prendere la mira prima di iniziare a fare perno. È questa la prima delle fasi in cui il pilota dovrà iniziare a procedere a passo d’uomo, per avere il tempo d’intervenire sui comandi nel caso d’improvvide manovre conduttive all’incidente. Ma il “bello” inizia nel momento della marcia identificata con la lettera “R”, quando i punti ciechi diventano ben tre: il lato destro in basso della cabina, invisibile dalla posizione di guida, il lato destro del rimorchio, totalmente invisibile, ed il punto più estremo sul retro dello stesso, anche a sinistra, dove gli specchietti non riusciranno a mostrare l’intera verità. Soltanto i migliori quindi, anche nel caso di manovre più difficili, potranno fare affidamento sulla propria percezione tridimensionale dello spazio disponibile, senza la necessità di affidarsi a una vedetta d’occasione o come richiederebbe la procedura, scendere e guardare, possibilmente più volte e in mezzo all’impazienza dei presenti. Poiché, come viene insegnato da molti istruttori del settore, in quel momento non si sta più guidando una motrice con il rimorchio attaccato, bensì l’esatto inverso, però a partire da una postazione che non sarebbe affatto quella più indicata. Un motto del settore recita “segui le tue ruote, non potrai sbagliare” il che nel caso della manovra di parcheggio a marcia indietro, riferendosi agli assi in tandem posizionati sotto il carico, diventa un’indicazione tutt’altro che metaforica, bensì una vera e propria strada per la sopravvivenza. Considerate anche che nel caso in cui si stia trasportando qualcosa di molto pesante, non è poi così semplice rendersi conto di aver impattato un ostacolo di qualche tipo. Portando il guidatore imprudente a continuare ad accelerare, causando danni ulteriori.
In tutta sincerità ad ogni modo, ai camionisti in erba non consiglierei affatto d’intraprendere simili azzardate manovre. Così come lo standard operativo del settore, che vorrebbe di preferenza veder prediligere l’impiego di parcheggi cosiddetti pull-through, ovvero che consentono, una volta completato il proprio periodo di riposo, di proseguire dritti verso la via d’uscita. Eliminando, nei fatti, l’intero gravoso affare di chi si ritrova a dover fare a marcia indietro. Non che tale fisima sia facilmente superabile, giacché nel corso delle proprie peregrinazioni, è matematicamente certo che prima o poi, se ne presenti la necessità. Ed è proprio questo il principale problema: l’infrequenza occasionale di simili sfide, che possono far tendere gli imprudenti a prenderle sottogamba. Dimenticando le difficoltà dei primi tempi, per trovarsi a causare un piccolo incidente dal costo alquanto significativo (i camion sono CARI) ed anche, cosa ben peggiore, una macchia sul proprio curriculum operativo, che potrebbe in seguito impedire l’accettazione di facili, quanto remunerative missioni.
Immaginare, tentare di comprendere i più astuti trucchi del mestiere…. Oggi sperimentare da casa simili emozioni non è più impossibile, come testimoniato dal successo stratosferico (e secondo molti, immotivato) della serie di videogiochi Euro/American Truck Simulator della compagnia praghese SCS Software, per cui è stata recentemente annunciata la prossima uscita di uno scenario incentrato interamente lungo la penisola italiana, ad oggi privo di una data d’uscita confermata. Simulatori che, se affrontati con il giusto spirito, arrivano vicini al senso d’ansia che può generarsi dal tentare d’imitare il movimento del gambero con un titano stradale, senza poter vantare le sue stesse caratteristiche innate.
Ogni rosa ha le sue spine così come ogni mestiere, le sfide che fanno parte della sfida quotidiana con l’entropia della pendente disoccupazione finale. Che cosa dovremmo fare, dunque? Partire dal presupposto “Io questo non so farlo” rinunciando non soltanto a un singolo parcheggio, ma la stessa scala che conduce a vivere a pieno la vita…. O gridare piuttosto con tutto il proprio organico carburatore: “Tu, mondo, sei la mia ostrica, l’uovo di gallina, il pezzo di giada che contiene la sapienza intramontabile dei miei antenati del motore.” Chi impugnava sempre quel volante a due mani, perché la terza doveva manovrare la radio di bordo, mentre la quarta teneva in mano la sigaretta o perché no, la pipa. Camionisti, gente semplice. Dalla filosofia sofisticata. Poiché non puoi navigare il labirinto che sottintende all’inusitata concezione stradale della conoscenza, senza almeno una distante traccia della scintilla sofistica dell’indomani. In cui forse, riuscire guadagnarsi da vivere guidando per le strade piene di droni sarà ancor più raro che assaggiare la carne dei leggendari polli a due teste del Madagascar.