La cavalcata robotica dei ragni rotolanti

In associazione al concetto stesso di un ragno che debba vivere nel vero deserto, non può semplicemente trovare posto una ragnatela. Poiché dove potrebbe mai assicurare i suoi fili, il piccolo cacciatore, in assenza di alberi, strutture o pietre di alcun tipo… In luoghi come gli erg marocchini, dove le dune raggiungono i 150 metri di altezza, e si estendono ininterrotte per oltre 50 Km, di calore battente, pioggia pressoché nulla e nonostante questo, popolati da una pluralità di piccole forme di vita. Primariamente rettili ed insetti, qualche mammifero, nonché naturalmente, l’aracnide occasionale. Non mancano mai! Che per quanto sopra delineato, non può che appartenere a una specifica famiglia: gli Sparassidae, o ragni cacciatori. Che come loro prerogativa, giammai costruiscono casa sopra il livello del suolo, ma piuttosto scavano in profondità, fino a 50 cm nella terra friabile che costituisce il terreno bruciante, per rifugiarsi dal sole infuocato e i loro molteplici nemici naturali. Un valido approccio, per sfuggire a cose volanti, striscianti o dotate di zampe artigliate, ma non al più temibile di tutti i nemici, ovvero la vespa pompilide, che una volta fiutata la presenza della sua vittima ad otto zampe, inizia a scavare, la sorprende nel buco e la punge, per deporvi all’interno le uova. Una morte terribile, quindi, aspetterà il ragno, che qualche settimana dopo sarà divorato da tali fameliche larve, in una ragionevole approssimazione della più celebre scena del film Alien. Ma l’evoluzione può mancare svariati bersagli, tranne quello fondamentale dell’imparzialità: e così mentre dotava il ronzante assassino delle sue armi, faceva dono a determinate specie di una valida speranza di salvezza: la capacità di balzare fuori e trasformarsi in una valanga.
Quando Ingo Rechenberg bio-robotista di Berlino nato nel 1934, si recò nel 2006 per l’annuale viaggio in Nord Africa, con l’obiettivo di testare le sue ultime invenzioni sulla sabbia friabile di tali luoghi, grande ostacolo di qualsiasi metodo di locomozione artificiale, non si aspettava certo di trovare la sua ispirazione durante una passeggiata notturna nell’Erg Chebbi, quando la sua potente torcia si ritrovò ad illuminare qualcosa sul bordo della duna. Un piccolo ragno che raccolse con le sue stesse mani e trasportò fino al campo base, dove ebbe modo di identificarlo in un primo momento come appartenente alla specie già nota del Cebrennus villosus. Se non che la mattina, mentre faceva colazione, l’aracnide riuscì ad eludere il recipiente in cui era stato intrappolato, appoggiò le sue zampe anteriori sul terreno e sollevò il deretano. Per poi completare la prima capriola, ed iniziare a prendere velocità. La vista era semplicemente incredibile, al punto che il New York Times riporta l’aneddoto secondo cui il professore si sarebbe commosso fino alle lacrime nel prendere atto dell’ingegno della natura, mentre gli ingranaggi della sua mente iniziavano a roteare a ritmo con l’ospite ormai lanciato a 2 metri al secondo verso le distanti radici dell’alba. Passano mesi, tra le insuperabili pareti della civiltà mondana, mentre l’inesauribile inventiva di quest’uomo non trova nuove improbabili applicazioni. Tra cui il robot Tabbot, vagamente simile all’essere mitologico del triskelion, una testa centrale con tre gambe disposte attorno alla sua circonferenza, secondo quanto raffigurato convenzionalmente, tra gli altri luoghi, sulla bandiera della Sicilia. Che in questa versione, d’altra parte, mostrava l’elemento dominante di una doppia ruota in plexiglass, con all’interno l’elettronica e i motori necessari a far roteare i tre arti pieghevoli, in grado di garantirgli un’ottima mobilità sul suolo dell’erg. Una creazione molto evidentemente ispirata dall’aspetto ed il modus del ragno. A cosa potrebbe servire, dunque? Rechenberg cita l’impiego in agricoltura, idraulica ma soprattutto, la futura esplorazione di pianeti lontani, dove un movimento affidabile su terreni accidentati potrebbe determinare la buona riuscita della missione. Ciò che costui non si aspettava, tuttavia, e probabilmente neppure noi, era che il suo nome sarebbe stato immortalato non tanto per l’opera continuativa di una vita intera, nella costruzione di ammirevoli dispositivi autonomi, quanto la scoperta accidentale di una singola sera. Così nel 2008, dopo molto cercare, lo scienziato veterano riuscì ad accaparrarsi un secondo ragno salterino e decise di trasportarlo, questa volta mediante l’impiego di un vaso ermetico, fino allo studio dell’aracnologo Peter Jäger, presso l’Istituto di Ricerca e il Museo di Storia Naturale di Senckenberg. Dove un’osservazione più approfondita della creatura, ed in particolare la conformazione dei suoi genitali, permisero di classificarla come l’olotipo di una specie del tutto nuova, che venne proprio in onore del suo scopritore ricevette l’appellativo scientifico di Cebrennus rechenbergi. E quello pensato per l’uso comune di “ragno flic-flac” per rendere onore al suo singolare, ed occasionale metodo di locomozione, tanto simile a quello dei ginnasti olimpionici durante le loro esibizioni. Che per la cronaca, non fu mai brevettato…

I rari casi in cui stanno fermi, i ragni cacciatori assomigliano vagamente a una tarantola. Non a caso, tale nome comune era originariamente associato al ragno lupo della Puglia (Lycosa tarentula) essere in realtà ben diverso dai grandi aracnidi del Sud-America facenti oggi parte di tale informale categoria.

La stessa marcia continua verso l’adattamento delle forme di vita, questa modificazione delle loro caratteristiche attraverso il susseguirsi delle generazioni, è la dimostrazione che esistono dei valori universali di maggiore efficienza, i quali potrebbero corrispondere, in via niente affatto accidentale, al concetto umano della bellezza. Non c’è dunque niente da meravigliarsi, se questo approccio del rotolamento si trova attestato almeno un’altra specie di ragno, che vive oltre 10.000 Km più a sud nel continente africano, presso il deserto costiero del Namib. Il Carparachne aureoflava, anche detto ragno della ruota d’oro, per la sua colorazione mimetica nei confronti della sabbia su cui si muove, è un altro Sparassidae per lo più notturno, che va in cerca di prede da ghermire coi suoi possenti cheliceri senza alcun briciolo di pietà. E che a sua volta, non può che essere estremamente cosciente della propria estrema vulnerabilità. Tanto da aver elaborato, nei secoli e millenni, una manovra apparentemente non dissimile da quella del distante cugino settentrionale, benché sia necessario ammetterlo, non parimenti efficiente. Il ragno infatti, più tozzo e compatto, piuttosto che effettuare capriole si dispone su un fianco, raccoglie le zampe e si lancia rotolando dalla cima della sua duna. Si tratta di un approccio al problema molto più composto e per giunta elegante elegante, all’apparenza privo di sprechi di energia. Il quale però risulta in primo luogo meno veloce (1 m/s contro i 2 dei flic-flac) ma soprattutto non può essere usato in piano o in salita, limitando la distanza percorribile mediante il suo impiego. Mentre si hanno casi registrati di rechenbergi che una volta spaventati, si sono fermati anche ad 80, 100 metri distanza. Abbastanza da scoraggiare persino la capacità di caccia ed individuazione di un rapido pipistrello. Come avviene per la maggior parte dei ragni cacciatori nessuna delle due specie citate è in effetti pericolosa per l’uomo, benché almeno l’aureoflava risulti essere lievemente velenoso. Mentre la controparte sembrerebbe fare affidamento, come metodo per difendersi, di una strategia che consiste nel rotolare proprio all’indirizzo della minaccia preferita, possibilmente puntando nel mezzo della sua fronte, causando così l’istintiva reazione di farsi da parte e lasciarlo passare. Vi lascio immaginare il sentimento che questo dato possa suscitare nella mente dei sempre più comuni aracnofobi moderni…
Un ulteriore elemento di contatto tra le due specie, invece, risulta essere la costruzione del loro pertugio sotterraneo, reso più resistente dall’impiego di fibre di ragnatela, che può richiedere in fase di approntamento la rimozione di oltre 10 litri di sabbia. Sostanzialmente, una quantità che equivale a circa 80.000 volte il peso del ragno. Niente male, vero? Ma non siate tratti in inganno: questi ragni non sono instancabili. E possono ricorrere al loro metodo di locomozione “speciale” non più di quatto o cinque volte al giorno. Esaurite le quali, generalmente, muoiono per lo sfinimento. Va da se quindi che si tratti di un’ultima risorsa per salvarsi dal pericolo, da sfruttare solo in caso di assoluta necessità. Un po’ come avviene per il pungiglione di certe specie volanti eusociali, che tuttavia mai hanno conosciuto, né potranno comprendere, l’infernale calore degli erg o il Namib.

Trovi uno strano ragno mai visto prima, lo prendi in mano. Certo, come no… Davvero la mente degli scienziati lavora su ritmi diversi da quella degli altri comuni mortali, indipendentemente dal loro campo di specializzazione.

Territori estremi, soluzioni estreme. Non importa che si tratti di esseri viventi, o semplici robot messi assieme grazie all’esperienza di una vita passata ad imitare le strategie del sistema ecologico, alla ricerca di un diverso approccio alle cose. Che permetta di raggiungere con efficienza quei luoghi mai toccati da mano umana, scoprire i loro più improbabili presupposti e comprenderne, finalmente, la remota e imprescindibile essenza.
Perché osservando l’essere che sobbalza senza alcun pregiudizio sull’orlo distante di una duna, ben pochi potrebbero prescindere dall’esclamare “Ah, però!” Pensando forse in maniera istintiva: “Per qualche rapido istante, vorrei essere lui…” Che c’è di meglio che rotolare via dai propri nemici, alla ricerca di un florido dopodomani… Via dall’incubo, dalla paura, verso la realizzazione dei propri sogni proibiti. Avere un’auto sportiva. DIVENTARE un’auto sportiva. O in mancanza di meglio, la più leggiadra di tutte le ruote. In fin dei conti, nel deserto non ci sono i garage.

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