Inaugurata la foresta di pilastri lungo il fiume che attraversa Shanghai

Volendo compilare il novero dei possibili edifici da costruire, in un terreno dedicato allo sviluppo urbanistico di un importante centro cittadino, sarebbe difficile immaginare un tipo di progetto più aperto a sperimentazioni o iniziative eclettiche di quello relativo ad un vasto ambiente di tipo commerciale, ovvero il più versatile, ed universalmente apprezzato, degli spazi funzionali all’intrattenimento di coloro che abitano gli immediati, relativi e non tanto prossimi dintorni. Una categoria all’interno della quale, inquadrandolo in un rapido piano sequenza, riesce a risultare alquanto impressionante l’ultimo complesso recante la firma dello studio architettonico Heatherwick, diretto dall’omonimo archistar britannico, già creatore d’innumerevoli strutture poste al punto di confine tra l’utilità pubblica e una vera e propria opera d’arte. Così è stata inaugurata allo fine dello scorso dicembre dopo i ritardi dovuti al Covid, con grande festa e irrinunciabili fuochi d’artificio, l’ultima dotazione della vasta metropoli shanghaiense, un’incredibile visione in grado di sfidare il concetto stesso di come si possa assolvere ai requisiti di un proponimento di questo calibro, attraverso la lente di una visione molto personale, e proprio per questo meritoria, dei possibili punti principali al centro gravitazionale dell’intera faccenda. Chi potrebbe mai tentare di negare, d’altra parte, l’importanza degli spazi verdi all’interno di un ambiente cittadino? Aree dedicate ai vegetali che si occupano di dare il proprio contributo alla respirabilità dell’aria, riducono l’inquinamento ed allietano la nostra percezione dei giorni, riducendo la marea di depressione che non smette mai d’avanzare. Difficile, d’altronde, immaginare un modo per accomunare la creazione di un edificio commerciale e quella di un parco pubblico, spazio rispondente a dei parametri e caratteristiche letteralmente all’opposto. A meno che…
La struttura definita ufficialmente e molto appropriatamente Qiān shù (千树) o 1000 Trees, entrambi nomi traducibili come “Mille Alberi”, rappresenta perciò la dimostrazione di un bizzarro quanto insolito connubio, grazie ad una soluzione che potremmo individuare come presa in prestito direttamente dal mondo degli insetti. Per la vistosa presenza lungo l’intero estendersi del centro commerciale di una grande quantità di pilastri strutturali in cemento, perfettamente visibili dagli ambienti panoramici sugli argini dell’antistante fiume Suzhou, in quanto situati all’esterno nella maniera conforme al concetto biologico di un esoscheletro, capace in questo caso di massimizzare gli spazi ricavati all’interno di simili avveniristiche mura. Elementi verticali, nella fattispecie, coronati tutti dall’inclusione di una vasta fioriera in corrispondenza della sommità, ciascuna delle quali contenente un albero sempreverde di grandi dimensioni. Per quello che la comunicazione pubblicitaria ufficiale si è preoccupata di definire più volte in qualità di vero e proprio “Giardino pensile di Babilonia” dei nostri giorni, sebbene sembrino mancare statue dedicate al sommo Re Nabucodonosor II, sostituite per l’occasione con opere moderne e i molti personaggi variopinti creati dagli artisti contemporanei della pop art. Degni partecipanti ad una simile celebrazione degli eccessi, in cui tutto sembrerebbe rispondere, d’altra parte, a precise norme logiche del tutto autoimposte…

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La pura matematica dell’Universo esposta nel museo del futuro a Shanghai

Qual è il fondamentale nesso, che costituisce il senso ed il significato della nostra esistenza? Da quale prospettiva originale hanno avuto modo di trarre l’origine, i nostri insigni predecessori su questa Terra? E in direzione di quale punto prospettico e remoto, le nostre gesta, le scelte quotidiane, i bisogno e gli alti aneliti ci guidano senza sosta? Qualunque sia il romanzo umano che potrà trovare la sua potenziale sintesi, nel tentativo di rispondere a questa nota triade di domande, il Sole, gli astri e le altre stelle continueranno ancor per lungo tempo a danzare. Disegnando arcane immagini e tracciando le ombre tutto attorno a una struttura come questa, dove ogni linea possiede uno specifico significato, e la ricerca funzionale di partenza trova l’espressione nella forma stessa e la singola ragione dell’edificio. Così come lo strale di luce, catturato e amplificato dall’impressionante oculo dorato, entro cui la luce viene incamerata ed instradata tutto attorno ad un tradizionale specchio d’acqua, usato negli antichi testi per le osservazioni lunari. Mentre la sfera immobile e sospesa, senza pilastri o altri orpelli chiaramente visibili, silenziosamente attende il suo momento di tornare a brillare. In questa metropoli moderna di Shanghai, presso la foce del Fiume Azzurro chiamata in precedenza shang – 上 (shàng/zan, “sopra”) ed hǎi/hae – 海 (“il mare”) ed in tempi più recenti Módū – 魔都, la Città Magica per eccellenza di tutta la Cina. Senza nessun tipo di conflitto, s’intende, nei confronti delle cose razionali come ampiamento esemplificato dalla popolarità in patria e all’estero del grande museo locale della Scienza e Tecnologia vicino al Century Park, capace di accogliere oltre 3 milioni di visitatori l’anno. Struttura ed importante istituzione che nel corso di questi ultimi anni, ha trascorso le sue giornate nella trepidante attesa del completamento di un suo avveniristico avamposto, da collocarsi presso il nuovo quartiere di Lingang, l’unico dove potesse sorgere una simile struttura spropositata. Sulla base del progetto presentato nel corso di un concorso internazionale dal grande studio architettonico newyorchese Ennead, che nel 2014 riuscì a sbaragliare la concorrenza grazie alla sua visione estremamente avveniristica di ciò che un simile complesso potesse riuscire a rappresentare. Riprendendo essenzialmente, nel sistema stratificato delle sue diverse forme, il tipo d’apparato scientifico cui è stata dedicata la sua stessa monumentale presenza, quello per lo studio dell’astronomia secondo i metodi del tipo ragionevolmente più condivisibile ed evidente. A partire dalla pianta stessa del tripartito ed ellissoidale edificio, considerata come una rappresentazione facilmente apprezzabile di tre orbite intersecantisi, ovvero in altri termini una traduzione estetica del ben noto problema dei tre corpi. Una domanda aperta, in altri termini: “In che modo l’Uomo può tentare di comprendere, attraverso i limitati strumenti concettuali a propria disposizione, gli arcani moti del Cielo e della Terra?” Con la già descritta grande meridiana posta innanzi all’ingresso, tanto per cominciare. Capace d’illuminare il cerchio perfetto al centro della piazza soltanto una volta l’anno, giusto in corrispondenza del solstizio d’estate. Ed una volta fatto il proprio ingresso oltre le sinuose mura, fin dentro la sfera dominante dal profilo esterno dell’edificio, capace di costituire il più vasto ed imponente planetario al mondo. Eppur difficilmente, nel progetto creato alle origini di questo nuovo punto di riferimento cittadino, il quadro potrebbe dirsi concluso senza la cupola invertita ed aperta posta all’altro lato del palazzo, le cui pareti riflettenti altro non dovrebbero riuscire a fare che amplificare l’effetto del cielo notturno stesso, sottoponendolo in tal modo all’attenzione di coloro che si trovano al di sotto. Come in una sorta di viaggio in prima persona, attraverso gli strumenti della mente, verso quelle stesse meraviglie che si trovano all’interno degli spazi espositivi sottostanti. Poiché al di là di qualsivoglia preconcetto si possa continuare ancora oggi ad avere, l’immagine della Cina che compare oltre le splendenti porte di un tale anfiteatro per la scienza, è quella di un paese proiettato al massimo verso il futuro ed in modo particolare il remoto numero di opportunità oltre la porta inconoscibile delle stelle. Verso un mondo e un metodo che per molti di noi, in assenza d’esperienze utili ad acquisire una visione olistica, resta un mistero largamente meritevole di essere approfondito…

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L’effetto scenografico di un palazzo dal sipario rotante

La cosa più difficile, per un museo, è convincere la gente di passaggio a varcare e il proprio ingresso principale, per venire a conoscere e fruire dell’arte esposta al suo interno. Perché un conto è spendere una parte del proprio budget per creare campagne pubblicitarie, finalizzate ad attrarre l’attenzione di coloro che comunque, nella maggior parte dei casi, avrebbero visitato l’ultima mostra del proprio campo dello scibile preferito. Tutt’altra cosa, allargare il giro dei propri ospiti occasionali, grazie a una qualità innata che potremmo paragonare all’avvenenza o il fascino di un individuo umano. Questione affrontata, storicamente e tradizionalmente, da molti edifici d’interesse pubblico mediante l’utilizzo di elementi decorativi della facciata, grandi vetrate che lasciano intravedere l’interno, magari persino personaggi incaricati d’attirare l’attenzione dei passanti, trasmettendo a pieni polmoni l’interesse potenziale del quibus collocato all’interno. Ciò detto vuole il caso che nel mondo attuale, molti di questi metodi abbiano ormai perso parte della propria efficacia. Dinnanzi al continuo bombardamento delle immagini, concetti e suoni di un’odierno agglomerato urbano: come potrebbe risultare ancora possibile, dunque, riuscire ad emergere dal maelstrom dell’irrilevanza? L’architetto e designer di fama internazionale Thomas Heatherwick, lavorando assieme ai colleghi della Foster & Partners di Londra per l’ammodernamento di un intero lotto lungo il principale fiume cittadino di Shanghai, ha dimostrato all’inizio del 2019 un differente approccio a questo annoso problema: rendendo il Fosun Art Center stesso, coi suoi tre piani di surreale magnificenza, protagonista indiscusso della sua storia. “Sua” intesa come quella fatta comparire, dinnanzi allo sguardo dei succitati osservatori d’occasione, mediante l’esecuzione ogni due ore di un particolare e inconfondibile spettacolo; quello offerto da una serie di elementi tubolari bronzei, simili a canne di bambù ma anche ai componenti invertiti di un gigantesco organo da chiesa, indotti a ruotare lungo una rotaia tutto attorno all’edificio, durante l’esecuzione a volume perfettamente udibile dalla strada di un qualche tipo di canzone o melodia a tema. Il che ottiene una serie di effetti altamente desiderabili, a partire da quello garantito dall’inclinazione diseguale di una simile cortina, capace di agire in tal senso come una sorta di sipario teatrale o velo degno di un prestigiatore, che ora mostra, ora nasconde, quanto è situato dietro la sua stessa verticale presenza.
L’analogia perseguita, dunque, risulta principalmente essere quella del palcoscenico di una vera e propria rappresentazione, osservato per un tempo superiore ad Uno da coloro che non sembrano aver di meglio da fare, nella speranza spesso ricompensata che qualcosa di Magnifico possa riuscire a palesarsi dinnanzi alle proprie palpebre rigorosamente ed immutabilmente sollevate. Ma c’è anche una ricerca estetica, nei frequenti momenti statici dell’edificio, di voler sembrare un qualcosa di evidentemente ed innegabilmente Cinese, come una corona o il copricapo tradizionale dell’Imperatore Celeste, le cui nappe ricadevano enigmatiche dinnanzi all’inconoscibile viso. Affinché soltanto chi ne fosse realmente degno, in forza di un sincero desiderio di acquisire tale conoscenza, potesse realmente dire di aver conosciuto l’uomo dietro quell’ubiquo paravento…

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