Il ragno d’oro, un animale domestico dal passo lieve

Cos’è la bellezza, cosa, l’intrigante aspetto estetico di ciò che vive nella Natura… Un gatto, un cane, un pappagallo. Già che ci siamo, addirittura un pesce rosso. Ci sono specie, originarie degli ambienti più diversi, che nel grande tomo dell’opinione pubblica compaiono alla voce: “Amico ideale per il suo padrone”. Non che essi fossero, inerentemente, predisposti ad assumere un simile ruolo. Semplici secoli e molti millenni, di addomesticazione (completa) o adattamento (parziale) alla vita domestica, li hanno invece trasformati, rendendoli più docili e disposti a rinunciare a quel valore privo di sostanza, la presunta universale libertà. Bestie come il gigantesco Nephila clavipes, unico tessitore di una ragnatela coloro oro a salire sopra i rami Nord e Sud Americani. Che una volta trasportato fino a casa, si trasforma da tremendo predatore degli ambienti boschivi in un vero e proprio gioiello vivente, la creatura più fantastica al di sotto dei 5 grammi di peso. O per meglio dire, ciò vale per la femmina. Poiché come avviene in molte altre specie di aracnidi tessitori, il maschio è dieci volte più piccolo e meno visibile, quasi insignificante nel suo aspetto largamente ordinario. Ciò ha in realtà moltissimo senso, quando si considera che mentre lei dovrà giacere in agguato, all’interno di un’enorme ragnatela, lui avrà il dovere evolutivo di correre in giro nel sottobosco, alla rischiosa ricerca della partner fra molte migliaia di predatori. La quale tuttavia, potrebbe nel frattempo aver trovato un diverso tipo di amore.
Tenere in casa un esemplare di quello che viene chiamata normalmente ragno tessitore d’oro o ragno banana (presumibilmente, per il colore e la forma oblunga del proprio addome) non indica necessariamente un bisogno di distinguersi da tutti o vivere ai margini della società civile. Simili creature in effetti, nonostante l’aspetto spaventoso, non sono affatto pericolose per l’uomo, e l’unico dovere per così dire sconveniente che toccherà al loro padrone sarà acquistare e portargli di tanto in tanto un succulento grillo da fagocitare. Ci sono addirittura persone che durante il giorno li lasciano vagare fuori dal terrario, per osservarli mentre si arrampicano e tessono la propria resistente ragnatela. Νεῖν (nein) dopo tutto, vuol dire tessere seguìto da φίλος (filos) amore [per]. Dal che prendono quel nome che identifica la loro più profonda passione, ragione di vita stessa e propensione professionale. Fra tutti i ragni in grado di creare una casa appiccicosa che intrappola molte mosche, qualche cavalletta ed ogni tanto, un uccello o due, il Nephila è in effetti il più grande in assoluto, rivaleggiando coi suoi 8-10 centimetri le gigantesche tarantole delle giungle sudamericane. L’opera architettonica di questi ragni ha una resistenza molecolare tale da superare persino quella dell’acciaio a parità di peso, limitata solamente dall’estrema sottigliezza dei propri fili di un insolito giallo ocra dato dalla presenza di acido xanthurenico e due quinoni. Se in effetti non esistessero i bachi da seta, è molto probabile che nel tempo il mercato avrebbe conosciuto capi d’abbigliamento prodotti da questi ben più imponenti ed impressionanti tessitori, soltanto “lievemente” più difficili da gestire. Alla domanda che a questo punto potremmo porci: “Ma è velenoso?” Non possiamo dunque fare a meno di rispondere che si, certo che lo è. Altrimenti, come potrebbe garantirsi un pasto salubre una volta catturato qualcosa di più grosso addirittura di lui? Ma per una volta noi esseri umani sembriamo essere decisamente fortunati, vista una quasi totale immunità al veleno presente nei suoi cheliceri (zanne) costruiti come un ago ipodermico, che tutt’al più causano un lieve arrossamento e dolore di breve durata nella parte affetta dalla sostanza. Benché va detto, il semplice morso meccanico di un creatura grande comunque il doppio di un topo di campagna, possa effettivamente far uscire più di qualche goccia di sangue. Ma questo dovrebbe forse, privarci della gioia di manipolare un simile campione del cupo fascino zampettante?

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Perché ai ragni di mare non serve un cuore

Torreggiante sopra il suolo diseguale del fondale, l’essere largo 90 cm cammina con incedere delicato, tastando con la lunga proboscide la superficie sabbiosa. Il corpo minuscolo, le zampe in proporzione enormi, come i nodosi rami di un albero stregato. Oppure volendo, gli arti di un camminatore alieno, uno di quei mezzi artificiali descritti originariamente nel dramma radiofonico della guerra dei mondi, contro cui le armi degli umani non avrebbero sortito alcun tipo di effetto. D’altra parte, la creatura sembra anche una versione alternativa del face-hugger xenomorfo, il mostro che saltando come un pupazzo a molla fuori dall’uovo, si attacca al volto di un esploratore disattento per immettere dentro all’esofago l’embrione dei suoi discendenti. In realtà è innocuo. Anno dopo anno, schiere di autori letterari, registi e altri creativi si sono industriati nell’inventare degli ambiti extraplanetari, dotati di ecologia o tecnologie completamente disconnesse da quella terrestri. Una mansione tutt’altro che semplice, quando si considera l’estrema biodiversità già presente dinnanzi ai nostri stessi occhi, grazie alla varietà d’ambienti presenti su questo azzurro e multiforme questo pianeta. “Un ragno resta un ragno in mezzo a una foresta, come nelle regioni più remote di un arido deserto.” Disse una volta qualcuno. Il che è perfettamente vero. Ma un ragno del profondo dell’oceano, è tutt’altro, perché appartiene in effetti alla famiglia dei pycnogonidi.
Qualcosa di simile, eppure diverso. Questi artropodi misteriosi, dalla classificazione tutt’ora incerta, dovrebbero in teoria derivare da una costola del gruppo dei chelicerati, il che li avvicina da un punto di vista genetico ad un’altra creatura acquatica apparentemente frutto della fantascienza, il limulo o horseshoe crab (Limulus polyphemus, grosso pseudo-insetto corazzato delle rive sabbiose, con coda rigida e appuntita). Pur non avendo una quantità di fossili sufficienti ad affermarlo con certezza, gli scienziati ritengono che in entrambi i casi si tratti di animali che hanno iniziato il proprio separato cammino dell’evoluzione attorno all’era del Cambriano (541–485.4 milioni di anni fa) sviluppando una serie di adattamenti utili a tornare a vivere sotto la superficie del mare. Primo fra tutti, quello di sintetizzare l’ossigeno direttamente attraverso la pelle, senza l’impiego dell’organo dei polmoni a libro, strumento respiratorio fondamentale per gli aracnidi di terra. Il che significa in parole povere che nel funzionamento morfologico dei nostri amici, è prevista la capacità di assorbire l’acqua ed estrarre da essa il gas che fornisce la vita, che viene quindi fatta circolare attraverso il corpo attraverso due sistemi distinti e paralleli. Il primo è l’emolinfa, una sostanza comune ai colleghi di terra e grosso modo analoga al nostro sangue, in loro pompata attraverso il corpo da un cuore straordinariamente piccolo ed inefficiente. E non è tutto: pensate che in alcune delle specie più piccole (1-2 mm) tale organo non è neppure presente. Questo perché i pycnogonidi, unici nell’intero regno animale, sono in grado di far muovere l’ossigeno attraverso il loro apparato digerente. I primi a scriverne estensivamente sono stati H. Arthur Woods e colleghi, proprio nello studio dello scorso 10 luglio Respiratory gut peristalsis by sea spiders, dove viene osservato come i moti muscolari dei condotti impiegati dai ragni per smaltire le sostanza nutritive assunte durante la loro costante ricerca di cibo fossero troppo energici e regolari, per risultare utili solamente alla digestione. La verità apparve dunque, finalmente evidente: costoro respirano, esattamente come noi mandiamo giù il pranzo e la cena. Esattamente, si fa per dire: in quanto la fonte principale, nel loro caso, ovvero la parte del corpo più grande attraverso cui viene lasciato permeare l’ossigeno, altro non sono che le loro lunghissime zampe. Ed è per questo che il movimento avviene dall’esterno verso l’intero, ovvero il corpo centrale e segmentato, talmente piccolo da contenere, sostanzialmente, i soli organi sensoriali e l’organo necessario ad assumere il cibo. Che può implicare, a seconda della specie presa in considerazione, una doppia tipologia di apparati: cheliceri (denti chitinosi ed aguzzi) e pedipalpi (piccoli arti specializzati) con corta proboscide oppure soltanto quest’ultima, ma molto più lunga, flessibile e articolata. Tutto dipende, ovviamente, da cosa mangi effettivamente la specie presa in esame. Generalmente si tratta creature immobili come spugne, briozoi o policaeti, poiché i ragni di mare non sono effettivamente di un’agilità sufficiente ad andare a caccia con efficienza. Fatto che non gli ha impedito, del resto, di colonizzare pressoché tutti gli oceani della Terra…

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2 cm per 25 metri: l’abitante della ragnatela più grande al mondo

Mostri, dei veri e propri mostri. Si arrampicano sopra le cose, alla ricerca di cibo. Piccoli e operosi, perennemente attivi, gli occhi grandi quanto o addirittura più dello stesso cervello. Le manine simili a quelle di una scimmia, ma ancora più piccole, per afferrare tutto e conseguentemente, mangiare tutto. C’è un vero e proprio gremlin col dito medio particolarmente lungo, per meglio insinuarlo nei buchi degli alberi e ghermire le formiche. C’è n’è un altro che agisce in gruppo, spazzolando totalmente un territorio tra i 10 e 14 ettari comunitari. Agiscono di giorno. In altri casi, si muovono la notte. Pur non essendo delle creature a tutti gli effetti onnivore, vista la loro preferenza endemica per frutti e radici, non c’è un solo lemure in tutto il Madagascar che disdegnerebbe di fagocitare un ragno ogni tanto, possibilmente completo della sua casa e tutto quello che vi si era impigliato. Non c’è troppo da meravigliarsi, quindi, se nel parco naturale di Ranomafana esiste la marcata tendenza evolutiva ad occupare nicchie ambientali del tutto nuove. Anche questo è un aspetto che deriva dalla biodiversità. Parlare del ragno della corteccia di Darwin, oggi, significa inevitabilmente approcciarsi agli svariati studi sull’argomento di Matjaz Gregoric, Matjaz Kuntner e colleghi, biologi di diverse istituzioni universitarie slovene, che nel 2009 hanno descritto scientificamente per primi un qualcosa che in effetti, era sempre stato lì, sospeso sopra i fiumi e i laghetti della quarta isola più grande al mondo. Scegliendo incidentalmente, in occasione del 150° anniversario dalla pubblicazione de L’origine delle specie da parte del naturalista più grande di tutti i tempi, di dare alla nuova creatura il suo nome già noto. Il Caerostris darwini, dunque, è questo ragno della lunghezza di 2 cm per la femmina, appena mezzo per il maschio, appartenente alla famiglia degli Araneidae, ovvero la stessa di tutti gli altri tessitori di tipiche ragnatele dalla forma circolare, detti per l’appunto nei paesi anglosassoni “orb spider” (ragni del cerchio). Che percorrendo gli alterni rami dell’albero della vita, sono giunti in questi luoghi in una profusione di forme e colori straordinariamente vari. Inclusi quelli appartenenti a questo specifico genus, classificati per la prima volta dallo svedese Tamerlan Thorell, nel 1868. Eppure persino tra questi, la nuova aggiunta al catalogo risulta molto sorprendente. Si potrebbe persino affermare che il suo stile e metodo di caccia risulti tra i più efficaci e incredibili al mondo.
Tutto inizia con un’esemplare, generalmente la femmina, che attende pazientemente una giornata di vento a favore. Quindi ella si dispone su un ramo sufficientemente alto e distante dalla chioma centrale, in bilico sopra l’acqua, iniziando a liberare le lunghe fibre della sua personale interpretazione ultra-appiccicosa della seta. È una visione quasi surreale, con le propaggini leggerissime, ma straordinariamente resistenti, che iniziano ad estendersi verso il campo aperto, fluttuando leggere nell’aria. Mentre i fili continuano ad allungarsi, quindi, ella li avvolge con le zampe anteriori, manipolandoli per creare un qualcosa di singolo e quasi permanente, piuttosto che numerose ragnatele incomplete. Trascorso un tempo medio, inevitabilmente, la sua creazione raggiunge l’altra sponda tra i 10 ed i 25 metri di distanza, attaccandosi spontaneamente ad un albero, il più possibile alto quanto il suo. A quel punto, recisa ed assicurata adeguatamente la propria estremità, il ragno inizia la sua lunga camminata. Una delle particolarità del darwini tra tutti gli orb spider è il modo in cui esso integra il suo primo filo ancora al resto della ragnatela, che non lo finirà per averlo in mezzo, ma piuttosto penderà verticalmente al di sotto di essa, prima di essere adeguatamente assicurata con altri fili quasi altrettanto lunghi. Questo ha lo scopo, ritengono Gregoric et al, di incrementare l’area disponibile per la cattura, favorendo l’eventuale banchetto nel caso del passaggio di uno sciamo o altro tipo di nugolo, potenzialmente ronzante. Ma la vera scoperta sarebbe giunta soltanto successivamente quando gli scienziati, per prelevare un campione, toccarono la ragnatela. Soltanto per scoprire che essa in effetti, era talmente solida da poter intrappolare persino un uccello o un piccolo pipistrello. Proprio così: essa era, a parità di spessore, il singolo composto biologico più forte del mondo. Superiore, da determinati punti di vista, persino alle proverbiali doti del kevlar o dell’acciaio…

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La cavalcata robotica dei ragni rotolanti

In associazione al concetto stesso di un ragno che debba vivere nel vero deserto, non può semplicemente trovare posto una ragnatela. Poiché dove potrebbe mai assicurare i suoi fili, il piccolo cacciatore, in assenza di alberi, strutture o pietre di alcun tipo… In luoghi come gli erg marocchini, dove le dune raggiungono i 150 metri di altezza, e si estendono ininterrotte per oltre 50 Km, di calore battente, pioggia pressoché nulla e nonostante questo, popolati da una pluralità di piccole forme di vita. Primariamente rettili ed insetti, qualche mammifero, nonché naturalmente, l’aracnide occasionale. Non mancano mai! Che per quanto sopra delineato, non può che appartenere a una specifica famiglia: gli Sparassidae, o ragni cacciatori. Che come loro prerogativa, giammai costruiscono casa sopra il livello del suolo, ma piuttosto scavano in profondità, fino a 50 cm nella terra friabile che costituisce il terreno bruciante, per rifugiarsi dal sole infuocato e i loro molteplici nemici naturali. Un valido approccio, per sfuggire a cose volanti, striscianti o dotate di zampe artigliate, ma non al più temibile di tutti i nemici, ovvero la vespa pompilide, che una volta fiutata la presenza della sua vittima ad otto zampe, inizia a scavare, la sorprende nel buco e la punge, per deporvi all’interno le uova. Una morte terribile, quindi, aspetterà il ragno, che qualche settimana dopo sarà divorato da tali fameliche larve, in una ragionevole approssimazione della più celebre scena del film Alien. Ma l’evoluzione può mancare svariati bersagli, tranne quello fondamentale dell’imparzialità: e così mentre dotava il ronzante assassino delle sue armi, faceva dono a determinate specie di una valida speranza di salvezza: la capacità di balzare fuori e trasformarsi in una valanga.
Quando Ingo Rechenberg bio-robotista di Berlino nato nel 1934, si recò nel 2006 per l’annuale viaggio in Nord Africa, con l’obiettivo di testare le sue ultime invenzioni sulla sabbia friabile di tali luoghi, grande ostacolo di qualsiasi metodo di locomozione artificiale, non si aspettava certo di trovare la sua ispirazione durante una passeggiata notturna nell’Erg Chebbi, quando la sua potente torcia si ritrovò ad illuminare qualcosa sul bordo della duna. Un piccolo ragno che raccolse con le sue stesse mani e trasportò fino al campo base, dove ebbe modo di identificarlo in un primo momento come appartenente alla specie già nota del Cebrennus villosus. Se non che la mattina, mentre faceva colazione, l’aracnide riuscì ad eludere il recipiente in cui era stato intrappolato, appoggiò le sue zampe anteriori sul terreno e sollevò il deretano. Per poi completare la prima capriola, ed iniziare a prendere velocità. La vista era semplicemente incredibile, al punto che il New York Times riporta l’aneddoto secondo cui il professore si sarebbe commosso fino alle lacrime nel prendere atto dell’ingegno della natura, mentre gli ingranaggi della sua mente iniziavano a roteare a ritmo con l’ospite ormai lanciato a 2 metri al secondo verso le distanti radici dell’alba. Passano mesi, tra le insuperabili pareti della civiltà mondana, mentre l’inesauribile inventiva di quest’uomo non trova nuove improbabili applicazioni. Tra cui il robot Tabbot, vagamente simile all’essere mitologico del triskelion, una testa centrale con tre gambe disposte attorno alla sua circonferenza, secondo quanto raffigurato convenzionalmente, tra gli altri luoghi, sulla bandiera della Sicilia. Che in questa versione, d’altra parte, mostrava l’elemento dominante di una doppia ruota in plexiglass, con all’interno l’elettronica e i motori necessari a far roteare i tre arti pieghevoli, in grado di garantirgli un’ottima mobilità sul suolo dell’erg. Una creazione molto evidentemente ispirata dall’aspetto ed il modus del ragno. A cosa potrebbe servire, dunque? Rechenberg cita l’impiego in agricoltura, idraulica ma soprattutto, la futura esplorazione di pianeti lontani, dove un movimento affidabile su terreni accidentati potrebbe determinare la buona riuscita della missione. Ciò che costui non si aspettava, tuttavia, e probabilmente neppure noi, era che il suo nome sarebbe stato immortalato non tanto per l’opera continuativa di una vita intera, nella costruzione di ammirevoli dispositivi autonomi, quanto la scoperta accidentale di una singola sera. Così nel 2008, dopo molto cercare, lo scienziato veterano riuscì ad accaparrarsi un secondo ragno salterino e decise di trasportarlo, questa volta mediante l’impiego di un vaso ermetico, fino allo studio dell’aracnologo Peter Jäger, presso l’Istituto di Ricerca e il Museo di Storia Naturale di Senckenberg. Dove un’osservazione più approfondita della creatura, ed in particolare la conformazione dei suoi genitali, permisero di classificarla come l’olotipo di una specie del tutto nuova, che venne proprio in onore del suo scopritore ricevette l’appellativo scientifico di Cebrennus rechenbergi. E quello pensato per l’uso comune di “ragno flic-flac” per rendere onore al suo singolare, ed occasionale metodo di locomozione, tanto simile a quello dei ginnasti olimpionici durante le loro esibizioni. Che per la cronaca, non fu mai brevettato…

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