Peperoncini indigeribili per la gloria di Roma

Habanero

Quanto lontano ti spingerai per Roma? Rosso sangue, habanero: ave, oh! Cesare, il morituro te saluta! E neanche nell’arena del Colosseo, fra feroci gladiatori e grosse belve affamate, una simile prova di coraggio sarebbe passata inosservata. Questo giovane sarebbe il community coordinator della Creative Assembly, figura professionale che si occupa di gestire i loro forum ufficiali, quelli, nello specifico, creati a margine dell’ultimo titolo di una lunga e beneamata serie, il discusso Total War: Rome 2. Costui, a causa di una malaugurata sinergia pubblicitaria, si è ritrovato coinvolto nell’iniziativa più tremenda: un breve segmento da registrare per il popolare canale di YouTube, HotPepperGaming. Le regole del gioco, purtroppo per lui, erano chiare fin dall’inizio. “Veni, vidi, chili!” Ovvero, ti siedi a questo bel tavolo. Prendi una sola cosa dal piatto che hai di fronte, la mangi e poi parli del tuo gioco. Parla tutto il tempo che vuoi! O per meglio dire, che…Puoi. Perché quelle poderose verdure vermiglie non sono pomodori. Non sono fragole mutanti, oppure prugne verniciate, NO! si tratta di peperoncini messicani da 350.000 unità sulla scala di piccantezza di Scoville! In parole povere, tre di questi fatali bocconcini equivalgono ad una spruzzata di spray urticante per l’autodifesa, dritta nel canale digerente. Proprio questo era il punto, sancta sanctorum, spes ultima dea. Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace, preparati alla guerra!) Era giunta l’ora, infine, di rendere conto al senato del popolo e dell’Urbe. Perché Total War: Rome 2, negli ultimi anni, ha costituito per certe fasce d’utenza il titolo più atteso della piattaforma PC. Ogni preview e video di presentazione, rilasciato con tutte le fanfare di un trionfo di legioni al ritorno dalla Gallia Cisalpina, non faceva che aumentare lo spropositato entusiasmo collettivo, fra grafica all’avanguardia, funzionalità innovative e (l’ironia più grande) una perfetta intelligenza artificiale. La realtà dei fatti, come ci siamo resi conto fin dall’inizio del mese scorso, è stata di tutt’altro tipo. Almeno fino ad ora.

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L’uomo che vive nel cubo di New York

Man in a Cube

Un’intera casa, obliqua, che ruota liberamente di 360 gradi, dotata di gabinetto chimico, tavoli a scomparsa e un pratico generatore a pedali. Nascosta dentro a un cubo, che dovrebbe, in teoria, servire per tutt’altra cosa. Che poi sarebbe il celebre capolavoro di Tony Rosenthal, pioniere dell’interazione fra l’artista degli spazi pubblici e chiunque passi di lì, chiamato da lui a partecipare, volta per volta, della sua caratteristica creazione. Magari non in questo modo tanto viscerale. Gli scultori dell’astrattismo, piuttosto che rappresentare la figura umana, per veicolare un messaggio scelgono una forma. Ma come direbbe Platone: non si può assegnare un peso a questa grande geometria. I solidi dell’empireo, che descrivono i confini della materia, fluttuano liberi nella psiche, perfettamente ineffabili nella loro sublime sacralità. E più le cose sono simmetriche, ineccepibili, meno si prestano alla gretta quantificazione da parte delle moltitudini. Tranne quando si riesce, in qualche modo, a dargli forma materiale. Bisogna intrappolarli nella prigione del metallo solido, sostanza costruttiva d’elezione. Allora una gravità, inevitabilmente, ce l’hanno: quel cubo, ad esempio, pesa giusto 830 Kg. Per usare un termine di paragone, la sfera bronzea del Ministero degli Esteri, di Arnaldo Pomodoro ha una massa di 10 tonnellate circa, quasi 12 volte tanto. Che opere, che arte! Verrebbe voglia di eleggerle a propria dimora. Così qualcuno, per gioco, ci fa credere di averlo fatto. Costui si chiama, neanche a dirlo, Dave – come il protagonista della pubblicità dei cellulari discussa, proprio ieri, in questi stessi lidi.
Nel corso del suo esaustivo exploit, denominato, alquanto appropriatamente, Man in a Cube, il giovane manager ci parla dei pregi, e dei difetti, della sua originale scelta immobiliare. Ricavarsi una tana fra le pieghe degli arredi urbani, dentro quella che potrebbe dirsi la sua fortezza di Alamo, ultimo rifugio dagli stress del mondo lavorativo…

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Videocamere per cellulari con la stabilità del pollo

Chickencam

L’occhio metaforico del galliforme, che sa contare fino a 20 e non dimentica mai un pulcino, qualunque cosa accada. Del processore di ultima generazione possiamo farne a meno. La batteria non ci è così essenziale. Applicazioni, giochini? Sono per chi ha tempo da perdere. A noi basta che il cellulare faccia le telefonate e…Le foto. Alle soglie del futuro, non c’è un solo gadget da taschino che sia privo di questa funzionalità, né un produttore che trascuri l’essenziale finestrella mangiatrice di fotoni, quell’obiettivo (con lente) che dovrebbe trasformare ogni uomo di strada nell’artista dell’inquadratura, drago dei social network e regista internazionale dell’orrido filmino delle vacanze. Il bel risultato, alla fine, resta come testimonianza per i posteri, sotto gli occhi di noi tutti vittime innocenti. Sequenze sbilenche, soggetti fuori fuoco, scene scurissime perché inquadrate controluce e così via. Per questo c’è il caso che qualcuno, prima o poi, trovi quel sacro Graal; un sistema automatico, immune agli errori più comuni, che possa rendere indimenticabile ogni singolo momento giudicato, a torto o ragione, come degno d’essere inviato ai nostri posteri, dell’oggi e del domani. Lo strumento cinematico che fa da se. La macchina fotografica su cui puoi contare, sempre, comunque! L’ultima a provarci, dopo Apple con le sue pur valide soluzioni software, sarebbe poi lei, la major coreana LG, tramite il sistema basculatorio dello smartphone G2, denominato con l’appellativo fascinoso di GALLUSCAM.
Tutto inizierebbe, secondo l’esauriente video-presentazione, nello scarno garage di Dave, cameraman professionista. Il genio, come chiaramente enunciato nell’accattivante slogan di supporto “Great ideas are everywhere” non fuoriesce sempre dalle grandi officine o dagli altri luoghi frequentati dal gotha sublime dell’ingegneria. A volte può anche provenire da chi sa far di necessità, virtù. Così Dave, che s’interessa di motociclismo, ciclismo, paracadutismo, motoscafismo e innumerevoli altri -ismo, aveva un problema. Come garantirsi l’immagine più stabile che memory card possa ospitare, onde aumentare il più possibile le visite al suo portale web. Finché non ebbe questa piacente idea…

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Auto d’illusione che corrono per Xbox One

Forza ESPN

Sul finire di un’epoca, grandi battaglie, sfide feroci, scenari laboriosi e momenti apocalittici dal pathos travolgente, paragonabili a quelli di un importante campionato motoristico. Tutto conta, anche una singola pubblicità. In questo 2013 siamo attualmente in bilico, sospesi fra due diverse visioni contrastanti, delle quali soltanto una potrà finalmente prevalere, di qui a Natale, o poco più. C’è un motivo, se da oltre 10 anni giochiamo sostanzialmente con le stesse cose, anzi molte ragioni, tutte pratiche, estremamente convenienti per ciascuna delle parti coinvolte. Loro, in cerca di guadagno e noi, che nostro malgrado li stipendiamo, giocatori speranzosi. Cambiare costa, comporta rischi e non sempre conduce all’esito sperato, specie per un ambiente come quello videoludico, ormai governato tramite l’oligarchia di un ferreo triumvirato: Nintendo, Sony e Microsoft. Anno dopo anno, le pochissime aziende davvero rilevanti, per lo meno dal punto di vista dell’hardware, gareggiano fra loro a colpi di titoli esclusivi, sorpassi di vendite e/o traguardi di popolarità. Però il manto stradale su cui competono è talmente tortuoso, così sdrucciolevole che spesso qualcuno finisce fuori strada…come l’antica Sega, ormai decaduta al ruolo di publisher secondario, oppure l’eterna Atari, smembrata in mille piccole, insignificanti compagnie. Così è la vita, anzi, l’industria. Stavolta, chi avrà ragione? Se sparisse la distanza tra il mondo materiale e quello percepito, attraverso il sensibile, dalla nostra soggettiva mente, tutto raggiungerebbe un epilogo trionfale, sopra un podio esteso a mille, duemila vincitori. Mentre l’occhio, con la sua amica l’evidenza, ci dimostrano esattamente il contrario: che pochi, sono vittoriosi. E in questo dualismo fra fattori contrastanti (realtà-percezione), è custodito il punto fondamentale del problema, come dimostrato anche dall’ultima pubblicità prodotta a sostegno dell’X-Box One, che sfrutta l’appeal del nuovo driving game di Microsoft, Forza 5. La sequenza, creata dalla pluri-premiata agenzia di San Francisco 215McCann è stata pensata per la trasmissione sul canale ESPN, sinonimo statunitense del concetto di TV tematica sportiva. Si propone l’obiettivo, non facile, di dimostrare al pubblico l’effetto dello zootropio più veloce al mondo. Si tratterebbe poi di un vecchio giocattolo, tanto ingigantito per l’occasione che è diventato pista: quella del Barber Motorsports Park a Birmigham, nello stato dell’Alabama. Qui, al suono soave di una strana musica, corre rapido il pilota Tanner Foust, uno dei conduttori dell’edizione americana di Top Gear, dentro la sua splendida McLaren MP4-12c (di un vistoso color giallo). Ma quello che maggiormente conta, neanche a dirlo non è lui, bensì ciò che si trova ai margini della strada. Centinaia di schermate incorniciate, dentro altrettanti solidi cartelli.

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