Lo scomparto segreto del tavolo automatico da Mahjong

Non tutti i giochi nascono uguali: ve ne sono di placidi ed eleganti, fatti di movenze cadenzate accompagnate da ritmi lenti. Mentre altri sono frenetici, dominati dalla cacofonia dei suoni e il vocìo dei loro partecipanti. E ci sarebbe molto da dire, sul caratteristico stile dei giocatori di Mahjong o Mah Jong (麻将) il gioco che ha avuto origine durante la Cina della dinastia Qing (1644-1912) per poi espandersi e conquistare tutta l’Asia Orientale, seguìta dagli Stati Uniti e in tempi più recenti, persino determinate regioni d’Europa. La maniera in cui le tessere in legno, metallo o resina (un tempo si usava l’avorio) facenti funzione delle carte da gioco nostrane, sbattono sonoramente tra di loro, mentre i giocatori chiamano in a gran voce i loro tris, kang e le combinazioni supreme, chiamate onori. Qualcuno potrebbe persino affermare che la caratteristica modalità d’interazione che fa parte della cultura di quel paese, in qualche modo, abbia colorato e modificato il senso di questo gioco, rendendolo un portale di accesso per un modo di essere che fondamentalmente, non ci appartiene. O in qualche maniera non riconosciamo. Così che risulta essere piuttosto raro, nonostante la sua popolarità, trovare questo gioco all’interno di un Casinò dell’Asia. Almeno, per ora: poiché come in qualsiasi altro campo, potrebbe venirci in aiuto la tecnologia. Che semplifica ed elimina, talvolta, i problemi, come quello altamente caratterizzante di una partita con i 144 parallelepipedi, nel corso della quale al termine di ogni mano, occorre ripristinare il muro. Che non è tanto una divisione difensiva tra i popoli come quella costruita, a suo tempo, dai fedeli sottoposti del primo imperatore, bensì un doppio quadrato sovrapposto, costituito da un segmento per ciascun lato corrispondente a un diverso giocatore, da cui quest’ultimo dovrà pescare ad ogni turno. Per la cui costituzione i molti volti che si renderà necessario, il dispendio di minuti risulta essere tutt’altro che indifferente. Soprattutto quando si considerano i possibili incidenti, come tessere cadute a terra, persone che ne prendono troppe o troppo poche dal mucchio centrale, possibili accuse verso qualcuno che potrebbe aver sbirciato il seme o il numero di un determinato pezzo di gioco. Con conseguente aumento esponenziale del senso di chaos ed incontrollabile sequenza degli eventi, per non parlare del rumore prodotto dai giocatori. Ma i problemi non sono soltanto questi: mescolare a tal modo le tessere, semplicemente, non è in alcun modo professionale. Tanto che agli albori dell’epoca moderna, non era semplicemente pensabile la figura di un aristocratico che giocava a Mahjong.
Quale sarebbe dunque, la succitata bacchetta magica (o ventaglio piumato dello stratega) che potrebbe aspirare a risolvere tutto questo? Nell’opinione di una vasta gamma di aziende produttrici, tutte orientate sulla stessa linea con la tipica costanza dell’industria cinese, si potrebbe riuscire a trovarla in uno dei grandi misteri della fisica, ovverosia il magnetismo. Tramite l’approccio dimostrato da quella che potremmo descrivere, con un certo grado di associazione, come una vera e propria lavatrice orizzontale. Il tavolo automatico da Mahjong, una realtà oggi diffusissima, benché letteralmente sconosciuta prima degli anni 2000, è un sistema elettrico ed elettronico che attraverso una variegata selezione di artifici, permette di superare la ponderosa necessità sopra descritta. Al che i quattro “punti cardinali” umani della partita, al termine di ogni mano, non dovranno far altro che premere l’apposito pulsante al centro del piano, vendendo sollevarsi una sezione paragonabile al prototipico tappo della vasca da bagno. Per poi procedere (auspicabilmente con pacatezza) a spingere giù le tessere nel buco risultante, come nel processo di un vulcano geologico all’incontrario. Al che, premendo il secondo dei pulsanti presenti sulla piccola plancia, degli sportelli nascosti in corrispondenza di ciascun lato si apriranno rapidamente. Lasciando emergere, come per magia, la sfavillante presenza di un muro già pronto alla prosecuzione della partita. E pensate che nei modelli più avanzati, è persino presente uno scomparto trasparente per il lancio dei dadi, metodologia ufficiale per determinare chi avrà l’onore della prima giocata! Eliminando in questo modo, un’ulteriore fonte di discussioni o disordini a danno della quiete generale.
Resta perciò indubbio che il tavolo automatico da Mahjong sia un valido ausilio all’implementazione di uno stile di gioco maggiormente spedito e pratico nelle procedure. Nonché la valida presenza di un “arbitro imparziale” (addirittura, robotico) che s’incarica di eliminare potenziali “errori” più o meno voluti che possano compromettere il risultato della partita. Ma non viene anche a voi la curiosità di scoprire quale sia, esattamente, il suo funzionamento?

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Transporters 2018: rivincita sugli Amazonbot

Quando si pensa al futuro dei trasporti umani, è inevitabile. Di questi tempi il ragionamento conduce con inesorabile rapidità sempre allo stesso punto: la automobili a guida automatica, condotte a destinazione da un ensemble di GPS, radar, lidar, telecamere e processi di elaborazione logica basata sul principio dei processi neurali. Guidare è questa attività noiosa, lunga e potenzialmente dannosa, con cui la maggior parte di noi non vorrebbe mai aver nulla che fare. Soprattutto i pendolari. Ma la strada verso il conseguimento omnicomprensivo di una tale finalità è notevolmente in salita, non soltanto per il comprensibile scetticismo e la diffidenza di molti. Il problema principale è che il mondo esterno, con la sua infinita quantità di variabili, potrà pur sempre presentare un problema che l’intelligenza artificiale non riuscirà a risolvere. Ed allora, purtroppo, qualcuno perderà la vita. Ucciso accidentalmente dal proprio robot. Perciò sapete dove, invece, simili problemi non gravano col loro peso sulla coscienza dei progettisti? Dove tutto è sotto controllo, chiaro e definito, e nessun tipo di nuovo disastro può palesarsi sulla strada cronometrica delle giornate. Ma soltanto imprevisti, piccoli o grandi, all’interno di un ambiente che è la riduzione del cosiddetto “mondo esterno”. In altri termini, presso il traguardo al termine del viaggio stesso, che poi sarebbe il luogo di lavoro. Ne abbiamo visti molti, negli anni: robot che assemblano, robot che tessono, applicano vernici, spostano, selezionano, definiscono categorie. E poi quel tipo particolarmente affascinante di strumento meccanizzato autonomo, il picker artificiale per i magazzini che effettuano spedizioni online. Una lunga perifrasi, fino ad oggi, per riferirsi effettivamente a una singola e specifica cosa: il Kiva Systems di Amazon.com.
Questo perché la colossale azienda di Jeff Bezos, con un geniale colpo di mano del 2012, acquistò integralmente l’intera azienda produttrice di simili dispositivi, assicurandosi così l’esclusiva e arrestando letteralmente, per ben 7 anni, il progresso mondiale in questo specifico ambito tecnologico. Cosa c’è di meglio che monopolizzare quasi letteralmente un settore in crescita vertiginosa, quello delle vendite online, e nel contempo mantenere soltanto per se il segreto che permette, tra gli altri, di operare con una tale efficienza cronometrica e l’eliminazione parziale degli stipendi e le lamentele prodotte dai “soliti fastidiosi umani”. A un livello puramente superficiale, un Kiva è un dispositivo notevolmente simile a un aspirapolvere Roomba, o a uno di quei inarrestabili combattenti radiocomandati che vedevamo all’opera nel programma Robot Wars, dotato di ruote girevoli a 360 gradi e un sistema di sollevamento a vite infinita, che gli permette di far sollevare da terra letteralmente un apposito scaffale facente parte del sistema, definito in gergo amazoniano “The Pod”. Sopra la scocca dell’apparecchio c’è una telecamera, usata per scansionare e confermare i codici a barre posizionati sotto i diversi Pod, e sotto c’è n’è un’altra, che ne legge degli altri sul pavimento, utili a comprendere in qualsiasi momento la posizione in cui si trova nel magazzino. E a quel punto, avete presente le formiche? Poiché tutti i robot di una simile installazione possono vantare la partecipazione wireless allo stesso cervello centrale, essi lavorano in perfetta sincronicità, evitandosi l’un l’altro senza aver mai bisogno di rallentare. Fatta eccezione per il caso, tutt’altro che raro, in cui un nuovo dipendente posizioni erroneamente uno o più oggetti in vendita, lasciandoli sporgenti al di fuori dello scaffale e causandone l’impatto, talvolta a media velocità, contro un Kiva-cum-Pod che si stava dirigendo nella direzione diametralmente opposta. Ed è questa la principale ragione per cui alcune merci del sito, negli Stati Uniti, vengono vendute con uno sconto percentuale e la dicitura “scatola danneggiata”. Un altro potenziale problema, ancor più grave, è quello relativo ad oggetti piccoli e piatti che possono finire sotto il robot, bloccandosi in posizione tale da ostruire la telecamera. A quel punto esso, non conoscendo più la sua posizione, può causare più di qualche piccolo problema all’interno del meccanismo, finché un addetto umano non si accorge dell’anomalia e scende nell’arena per risolvere manualmente il problema. Il che si verifica attraverso un sistema alla Westworld (il telefilm) per cui tutti gli automi vengono arrestati all’interno di un’area definita, quello non conforme riceve la sua revisione e poi tutto continua esattamente come prima, senza alcuna soluzione di continuità.
Un sistema notevole dunque, ma non perfetto in quanto richiede ancora il regolare intervento delle mani umane. Soprattutto nell’effettivo prelievo degli oggetti al punto di smistamento, e il loro inserimento nelle scatole per la spedizione. Perché è questo il fondamentale problema, nella creazione di uno stato dei fatti di monopolio: si rallenta o arresta integralmente il progresso umano. Ma basta un rapido sguardo online per capire che proprio oggi, a conclusione di un lungo progresso di ricerca e sviluppo da parte di numerose aziende, le cose stanno finalmente per cambiare…

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L’innovativa ragnatela per gli inseguimenti della polizia

grappler

Per quanto si è parlato, soprattutto negli Stati Uniti, della giustezza di limitare o meno la diffusione delle pistole o fucili tra i civili nell’ottica di limitare i crimini potenzialmente letali, nessuno ha mai realmente preso in considerazione un altro aspetto del problema dell’umana iniquità, in grado di applicarsi ad ogni latitudine o nazionalità: il fatto che siamo tutti, dal più giovane a suo nonno, potenzialmente armati di uno degli strumenti più pericolosi del mondo moderno. E quell’arma è l’automobile, un ammasso di metallo da oltre una tonnellata, in grado di accelerare a una velocità sufficiente da sfondare un muro, penetrare dentro un edificio e fuoriuscire dall’altra parte, lasciando dietro di se una scia di morte, sofferenza e distruzione. Il nostro intero mondo moderno, con la sua ottica del lavoro, le pretese verso l’individuo, le scadenze sull’agenda e gli altri impegni quotidiani, è concepito affinché possedere un motore e quattro ruote semplifichi la vita, nonostante i costi, ed acquistarlo diventi passaggio pressoché obbligato del diventare adulti e indipendenti, salvo rare, fortunatissime eccezioni. Ma c’è anche questo, da considerare: nel momento in cui tutto sembra andare male, dopo aver commesso un crimine imperdonabile o un gesto di supremo egoismo, l’individuo che si mette al volante può perdere ogni freno inibitorio. E trasformarsi nell’equivalente 100 volte più pericoloso di un bufalo preso dal panico, dominato unicamente dall’istinto di fuggire. Mentre la polizia, nel tentativo di evitare l’irreparabile, non può far altro che inseguirlo per fermarlo in qualche modo. QUALUNQUE modo.
Ed è a questo punto che entra in gioco l’invenzione di Leonard Stock, l’uomo dell’Arizona che dopo aver osservato in Tv l’ennesimo disastroso inseguimento in prima serata terminato, nonostante l’ampio dispiegamento di forze, con l’impatto deleterio contro il lato guidatore di un’innocente veicolo di passaggio ad un incrocio, andò a letto profondamente turbato, e continuò ad esaminare la questione da ogni lato per tutta la notte. “Se neppure volanti dal motore potenziato, elicotteri e strisce chiodate possono evitare un tale risultato, davvero l’unica scelta è accontentarci ed accettare il dramma? Non esiste un metodo migliore?” Quindi prese a meditare, in uno stato di concentrazione profonda totalmente indistinguibile dal sonno. E la mattina, al suo risveglio, l’idea del suo Grappler era lì: non più bloccare l’automobile in fuga, ma intrappolarla totalmente. Come fa il ragno gladiatore con la mosca succulenta, nel momento in cui estende le due zampe anteriori dalla posizione sopraelevata e gli distende sopra l’inesorabile trappola appiccicosa. Il tutto rivisto ed adattato per l’uso ad alta velocità, nel contesto di una ruvida strada asfaltata o  addirittura, lo sterrato. Il video promozionale, mandato in onda sulla Fox ed incluso in apertura, potrebbe bastare a convincere qualsiasi esigente capo dipartimento della polizia. Il SUV Chevy Tahoe di Stock si avvicina di soppiatto all’auto “sospetta” quindi con l’attivazione dell’apposito comando, estende l’inconsueto meccanismo montato sul suo parafango anteriore, formato da due aste estensibili del tutto simili agli arti dell’aracnide. Tra di essi, all’improvviso, si palesa un incrocio di resistenti corde elasticizzate in nylon, che lentamente si avvicinano al bersaglio, con l’aumento di velocità da parte dell’inseguitore. Quando raggiunta finalmente la ruota posteriore sinistra, l’intero apparato viene risucchiato in avanti dalla sua rotazione e la blocca con violenza, causandone il totale sgonfiamento. Ma non è finita. Qualora il malvivente dovesse decidere di continuare la sua corsa, egli scoprirà di essere saldamente assicurato al suo catturatore, da una lunga ed elasticizzata fune, ancorata alla pesantissima Tahoe. Ed a quel punto, non potrà far altro che spegnere il motore, e lasciar progredire ulteriormente la sua condizione disperata, in un modo o nell’altro…

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L’incredibile funzionamento dei calcolatori a manovella

Millionaire Machine

L’entusiasmo di uno scienziato è qualcosa di fantastico ed estremamente contagioso. Quest’uomo scarmigliato è Clifford Stoll, astronomo, matematico e imprenditore nel campo della produzione di strumenti per la chimica, che nel 1986 aveva aiutato l’FBI a catturare il famoso hacker Markus Hess, un individuo che si rivelò poi essere un’agente del KGB inviato ad operare negli Stati Uniti. Di questi ultimi tempi, la sua mente con una lunga e variegata carriera alle spalle appare concentrata su una singola questione: i numeri e tutto quello vi ruota, in modo estremamente letterale, attorno. Ragione che l’ha portato, nel contesto di questo significativo e affascinante segmento, a partecipare al popolare canale di YouTube Numberphile, portando all’attenzione delle telecamere quello che appare senz’altro come il suo strumento di calcolo preferito: la Millionaire Machine, prodotta dal 1893 al 1935, nelle fabbriche svizzere di Hans W. Egli, su progetto dell’ingegnere Otto Steiger. Un impressionante giocattolo, all’epoca corrente, perché pressoché inutile, per non dire estremamente poco pratico, di fronte al tripudio di dispositivi, nelle nostre tasche o case, in grado di effettuare un qualsivoglia calcolo con zero sforzi e ancora meno attese. Ma anche una vera e propria meraviglia tecnologica, quale il mondo non aveva visto prima, e che probabilmente non avremo modo di conoscere mai più.
È una questione semplicemente fondamentale, che potrebbe definirsi alla base del concetto stesso della matematica; la suprema scienza, dalle infinite applicazioni, che si trova riconfermata nell’osservazione di ogni aspetto della mente umana e il mondo naturale: ciò che a noi può spesso apparire complesso, innaturale, una tremenda forzatura, è in realtà intessuto nel telaio stesso del nostro universo, presente nel funzionamento logico di ogni singolo fattore. Pensa, per esempio: una comune addizione. Se io prendo un abaco, ed inizio a spostare le sue sfere da una parte all’altra, curandomi di riportare le decine al punto giusto, in realtà non sto facendo altro che mettere in ordine una serie di semplici oggetti, secondo un metodo studiato da generazioni. Eppure, mi sembra di possedere la chiave dell’Alfa e dell’Omega della creazione… Perché naturalmente, è tutto collegato, sulle diverse scale della logica e del tempo. L’unica difficoltà e riuscire a comprenderlo e acquisire gli strumenti delle idee. Una direzione in cui, meravigliosamente spesso, possono condurci guide come i personaggi fino a qui citati, o perché no, le loro opere maestre, invenzioni destinate ad influenzare il corso stesso del pensiero umano. Individui affini al grande filosofo naturale Gottfried Wilhelm Leibniz (1646 – 1716) che oltre a coltivare una rivalità a distanza con il suo collega Isaac Newton, su chi avesse in effetti rivelato per primo al mondo la realtà dell’analisi matematica, aveva prodotto nel 1694 una favolosa macchina, definita Stepped Reckoner (il calcolatore a gradini) per via del particolare cilindro rotativo che era alla base del suo arcano funzionamento. Ma prima di vederne nei dettagli il funzionamento, osserviamo ancora per un attimo questa sua moderna erede svizzera, che continuò a costituire il non-plus-ultra del suo segmento di mercato, almeno fino all’introduzione delle calcolatrici rotative di Odhner, introdotte in Russia nel 1873. La Millionaire fu la prima versione commercialmente di successo, risalente ad “appena” un secolo e mezzo dopo l’invenzione di Leibniz, di un sistema meccanico per tenere i conti in automatico, per di più lungo 66 cm e pesante poco più di 32 Kg. Qualcosa di incredibile, considerata la sua complessità meccanica. E una stazza che difficilmente avrebbe permesso di definirla portatile a tutti gli effetti, benché la mettesse nel reame degli oggetti che potenzialmente potevano essere trasportati, da una stanza all’altra di un ufficio, la fine di risolvere i problemi di calcolo di più persone o dipartimenti. Un vero laptop ante-litteram, potenzialmente affine ai primi personal computer dotati di una batteria. Benché qui, l’intera energia necessaria al funzionamento, fosse fornita dagli stessi muscoli dell’utilizzatore…

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