Io, futuristico robot pompiere costruito in Estonia

L’idea che l’essere artificiale debba necessariamente essere costruito a nostra immagine è profondamente radicata nella genesi del concetto originale di robot: dalla genesi del termine, adottato su scala internazionale a partire dal dramma teatrale R.U.R. dell’autore cecoslovacco Karel Čapek in cui si parlava di esseri maggiormente simili a dei cloni, fino alle moderne opere creative che trattano di androidi, come Blade Runner, Terminator o Westworld. L’ideale tecnologico della macchina indistinguibile dall’uomo, tuttavia, si fonda sull’ideale secondo cui forma & funzione risultino inscindibili, connotato da una capacità tecnologica pressoché illimitata. Laddove all’interno dell’effettivo mondo fisico, l’esperienza c’insegna che il tipico agente artificiale dei nostri bisogni o desideri assume normalmente un aspetto configurato sulla base dell’evoluzione, ideale percorso che conduce al perfezionamento delle sue caratteristiche, con soltanto un parziale interesse in merito a quale impressione possa suscitare il suo aspetto. Immaginate, a tal proposito, di trovarvi intrappolati all’interno di un edificio, circondati da un turbinìo di fuoco e fiamme che minaccia ad ogni attimo di togliervi il respiro. Sareste veramente pronti a dubitare delle circostanze, se in quel drammatico momento l’equivalente su scala ridotta di un minaccioso carro armato facesse la sua comparsa oltre la soglia, spruzzando in ogni direzione copiose quantità di schiuma candida come la neve della salvezza?
Lungo una scala da 1 a 10 il nuovo modello della serie Multiscope Rescue di Milrem Robotics risulta dunque 11, in termini di aspetto aggressivo ed anti-antropomorfo. Il che non dovrebbe certamente sorprenderci, trattandosi dell’adattamento civile di uno strumento concepito da principio per un tipo d’impiego esclusivamente militare. Chiamato al momento soltanto “pompiere robotico” dai suoi produttori con base in Estonia ed equipaggiato con un sistema di multipli cannoni idrici a schiuma antincendio forniti dalla compagnia olandese InnoVfoam, questo veicolo a controllo remoto che rientra a pieno titolo nella categoria degli UGV (Unmanned Ground Vehicles) rappresenta la conveniente applicazione di un vasto comparto tecnologico allo scopo che dovrebbe accomunare, nella maggior parte delle circostanze, i pompieri di tutto il mondo: poter spegnere l’incendio senza mettere a rischio la loro stessa personale incolumità. In un video totalmente creato al computer e indicativo del funzionamento ipotetico di questo concept, dunque, il mezzo viene mostrato mentre avanza senza nessun tipo di timore verso il pericoloso incendio chimico, trascinando i lunghi tubi di rifornimento all’interno di un qualche tipo di stabilimento industriale. Pilotato a distanza di sicurezza, dunque, il robot riporta grazie ai suoi sensori la presenza di un perdita di gas, mentre l’operatore, reagendo di conseguenza, orienta i propri getti dove maggiormente se ne sente la necessità. In breve tempo, quindi, la situazione torna chiaramente ad uno stato di quiete, con una quantità minima di danni alle cose e persone coinvolte maggiormente in questo piccolo dramma digitale. Il che rappresenta un tipo di risoluzione che potremmo definire ideale, ancor prima che realistica, benché offrendo alla proposta in questione il giusto beneficio del dubbio, il suo svolgersi secondo tali presupposti non fuoriesca totalmente dal reame di un possibile futuro…

La mobilità indubbiamente significativa dell’UGV Multiscope appare perfettamente chiara in questa carrellata di situazioni dimostrative, in cui affronta un’ampio ventaglio di possibili ostacoli e tipologie di terreno. Gradito risulta essere l’aspetto umanitario, posto in primo piano rispetto alle possibili funzionalità di combattimento ed offesa.

Le possibili applicazioni di un “pompiere” che non ha bisogno di respirare, sopporta temperature straordinariamente intense ed è naturalmente impervio ad ogni tipo d’indesiderabile combustione sono molteplici, anche considerando il tipo di barriere architettoniche che potrebbero palesarsi in occasione del tipico incendio urbano. Dal canto suo, il Multiscope Rescue mette sul tavolo i suoi 25 Km/h massimi di velocità per 12 ore massime di autonomia, concesse dal motore ibrido con celle al piombo acido e una certa quantità benzina, che si riducono a soli 90 minuti nel caso in cui s’intenda marciare usando unicamente le batterie. Laddove l’inclusione di più capienti ma potenzialmente esplosive soluzioni al litio, benché previsto dal progetto, risulta probabilmente sconsigliabile all’interno dell’infuocato ambiente d’impiego, che potrebbe anche includere ambienti chiusi come tunnel o gallerie. La capacità di spostamento concessa dal doppio cingolo risulta essere nel frattempo di fino a 750 Kg meno il peso certamente inferiore dell’equipaggiamento antincendio, in conseguenza delle radici militari dell’UGV, concepito per trasportare quantità ben più copiose di munizioni e materiali da combattimento. Con una capacità di arrampicarsi fino a pendenze del 60% e un getto massimo di 20.000 litri al minuto grazie al sistema Hydra della InnoVfoam, per concludere, nulla sembra possa impedirne l’avanzata risolutiva verso la vittoria termica, tranne l’occorrenza certamente tutt’altro che impossibile di una semplice rampa di scale.
Un’idea che potrebbe rientrare a pieno titolo nella più sfrenata fantascienza dei concept destinati unicamente a far pubblicità, se non fosse per l’applicazione niente affatto inusitata di tecnologie simili nei diversi contesti geografici dei nostri giorni. Vedi l’esempio dei robot simili prodotti dall’italiana EmiControls inviati a Nanchang, vicino Shanghai, o il modello di robot-pompiere progettato dalla Mitsubishi Industries per la città di Ichihara, in Giappone. O ancora il sistema veicolare a guida remota della francese Shark Robotics posto in essere con finalità sperimentali presso le città di Marsiglia e Bordeaux a partire dallo scorso anno. Tutti apparati che, pur essendo dotati di comparabili capacità di spegnimento, potrebbero mancare degli ottimi presupposti di mobilità del drone della Milrem, data la sua appartenenza ideale ad una classe di dispositivi inerentemente concepiti per attraversare i territori più accidentati. Appare un’occasione mancata, a tal proposito, l’aver tralasciato d’includere nel video proof-of-concept uno scenario d’impiego ai margini di un qualche tipo d’incendio boschivo, situazione nella quale la dotazione degli efficienti cingoli nel pieno stile di un piccolo carro armato avrebbe contribuito a dimostrare l’efficienza pompieristica del mezzo su terreno accidentato, idealmente superiore alla media. Il che rientra, dato l’alto numero di potenziali vittime tra i coraggiosi combattenti di tali gravose contingenze, a pieno titolo nella missione ufficialmente ripetuta in varie circostanze con piccoli adattamenti dal CEO della compagnia Kuldar Väärsi: “Preservare l’alto valore della vita umana senza compromettere la risoluzione dei problemi.”

Del resto il DNA che si nasconde all’interno del Milrem, fin da principio, resta quello militare e combattivo come chiaramente esemplificato dalla piattaforma d’armi THeMIS (Tracked Hybrid Modular Infantry System) dotata di lanciamissili e mitragliatrice con sofisticati sistemi di puntamento.

Nessuno potrà mai negare, dopo tutto, che la natura umana sia quella di combattere ogni tipo di rivale, sia questo biologicamente dotato di un corpo fisico, oppure costituito dalla gravità di transitorie, quanto pericolose circostanze. Il che ci ha portato, non appena la tecnologia ne ha dato l’opportunità, alla creazione di effettive controparti autonome valide a focalizzare i nostri istinti di battaglia: vedi i primi esperimenti con gli UGV ante-litteram, come la mina radiocomandata tedesca del 1942 Goliath o la creazione prototipica inglese sulla base del carro armato di fanteria di maggior successo dell’esercito, controllato a distanza mediante l’impiego di un sistema sperimentale, che avrebbe portato alla creazione del Matilda II Black Prince.
Difficile sarebbe non giungere ad apprezzare, dunque, l’evoluzione circolare attraverso cui un passo alla volta simili dispositivi potrebbero ad oggi giungere per salvarci la vita, piuttosto che focalizzare il nostro istinto di sopravvivenza e aggressività militarizzata. A patto di accettare come, talvolta, il proverbiale cavaliere in armatura scintillante possa essere tutto tranne che un uomo in armatura sopra l’irsuto quadrupede delle fiabe. Trovando i propri arti rimpiazzati da strumenti e nessun tipo di cervello. Tranne quello fatto di sinapsi digitali, destinate a incrementare i tempi di reazione di un vulnerabile operatore in carne ed ossa della nostra stessa, imperfetta specie.

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