Lo sfuggente pasto del coyote dai cartoni alla realtà

Disse un tempo un uomo saggio: “Queste impronte sono una accanto all’altra, e i sabbipodi vanno sempre in fila per uno per nascondere il loro numero.” Il che riassume, in un sol fiato, il senso ed una logica non sempre a tutti chiara del racconto cinematografico che, più d’ogni altro, ha saputo affascinare le generazioni. Poiché Star Wars è soprattutto la frontiera e quelle terre aride di Tatooine che, a loro modo, ricordavano il Sud-Ovest degli Stati Uniti. Dove in materia di tracce lasciate durante il cammino, i nativi avevano da sempre posseduto una particolare conoscenza superiore a quella di eventuali soldati stranieri in armatura candida, sapendo dargli un senso ed un significato ulteriore. Vedi quelle zigodattile (a forma di X) cui le tribù degli Hopi davano il significato, profondo e imperscrutabile, di confondere o ingannare il male. “Marcia avanti oppure indietro? Chi può dirlo. Il gallo delle sabbie è troppo furbo per lasciarsi catturare. E veloce…” Così molto prima che una capsula di salvataggio precipitasse col prezioso carico dei due robot decisamente assortiti, o per esser precisi nel remoto 1949, Chuck Jones e Michael Maltese della Warner Bros raccolsero le loro idee, per presentare a un pubblico internazionale il senso e quella logica di una creatura tanto eccezionale. Caratterizzato come il coniglio dall’eterna carota e quella scura anatra, nemici dispettosi dell’incompetente cacciatore Elmer J. Fudd (da noi chiamato Taddeo) ma con qualche significativa differenza creativa, destinata a superare meglio l’arco delle decadi trascorse: prima di tutto, l’assenza di una voce. E quasi altrettanto importante, un senso di creatività e perversione tecnologica che potremmo definire alla pari con quella di un moderno maker di YouTube… Da parte del Coyote che sembrava essere, beh, un coyote, laddove per quanto concerne Beep Beep (Geococcyx) qualche libertà creativa sembrava Indubbiamente averla fatta da padrone nei confronti di tal membro della famiglia dei cuculi. Incluso il colore fantasioso blu-azzurro sullo schermo degno di un uccello del paradiso e quei piedi giganteschi da struzzo, per un’illusione complessiva data dalla forma antropomorfa del suo nemico. Il che non avrebbe ingannato, del resto, un indigeno del Pueblo americano, data la presenza del salientne ciuffo che costituisce un punto fondamentale dell’animale, benché risulti erettile nel mondo materiale della realtà. E quindi venga sollevata a comando, come quella del pappagallo, ogni qualvolta il Corridore (alto in realtà non più di 60 cm e coperto di strisce neri e marroni) senta il bisogno di manifestare un’emozione oppure attrarre l’attenzione di qualcuno-a, in aggiunta ai movimenti ritmici della sua coda quasi rettangolare. Anche il richiamo, del resto, non assomiglia all’eponima onomatopea, ricordando piuttosto una serie di squilli a bassa frequenza di un cellulare con le batterie quasi esaurite.
L’amore, tuttavia, non domina le sue giornate, viste le caratteristiche territoriali ed aggressive di quel tipo creature che nei fatti sono sia delle prede, che predatori. Per entrambi i membri del suo genere, incluso l’abitante dei territori più a meridione di Messico e Centro America (G. velox) ma soprattutto il suo cugino maggiore e più celebre (G. californianus) eterno pericolo per i serpenti, persino quelli più potenzialmente letali, come il crotalo a sonagli. Così corre a una velocità di fino a 32 Km/h, indifferente al pericolo, e combatte se diviene necessario, al fine di difendere la sua esistenza dal pericolo sempre in agguato. Ma resta di certo lecito interrogarsi, a tal proposito, su quanto di vero facesse ci fosse nella scena simbolo di questa storia… Abbastanza, direi?

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La naturale casa della musica sorta sulle rive del fiume Songhua

Esiste una Cina situata oltre i confini dell’orizzonte, una Cina remota e inesplorata dalla maggior parte dei visitatori turistici internazionali. Là, dove la latitudine supera i confini ragionevoli e a poca distanza dal confine con l’estremità estremo orientale della gigantesca Russia. L’area da cui, secondo i calcoli meteorologi, proviene spesso il vento gelido capace di coprire con la neve i territori di Giappone e Corea del Nord, che qui placidamente soggiace, ricoprendo ogni struttura di una lieve patina di candore. Edifici come la Cattedrale di Santa Sofia, chiesa ortodossa costruita all’epoca della Trans-Siberiana, o la Grande Casa di Pietra in stile occidentale, sede delle ferrovie cinesi, distrutta e ricostruita due volte nel 1904 e il 1906, con totale indifferenza dei lavoratori al clima invernale capace di scendere frequentemente sotto i -20 gradi Celsius. Poiché non scherzano di certo, gli oltre 10 milioni di abitanti di questo luogo, nella loro interpretazione severa del Feng Shui, scienza geometrica non solo dei percorsi energetici attraverso e dentro i luoghi oggetto della nostra urbana esistenza, bensì fondamento stesso di un punto d’accordo comune tra cosa sia accettabile, bello, desiderabile e gli esatti opposti. Fu anche perciò decisamente arduo, per l’architetto fondatore dello studio MAD Ma Yansong, effettuare una proposta valida per il concorso del 2011 relativo all’Isola Culturale, una nuova rinnovata zona dedicata a tutte le arti da costruire nella parte nord della città, non troppo lontano dalla celebre attrazione zoologica del Siberia Tiger Park. Lui che, architetto giovane propenso a rompere le convenzioni, attraverso metodi che lo accomunano alla fondamentale mentore ed ispiratrice Zaha Hadid, mutando e incrementando, piuttosto che sovrascrivendo, gli attribuiti pre-esistenti del paesaggio. Verso la creazione di un processo in divenire, che potremmo definire l’interazione dei letterali milioni di sguardi a ridosso di nuovi ed imponenti elementi posti dinnanzi al cielo. Costruzioni come il Grand Theatre, nesso e punto focale del progetto, luogo concepito per la messa in opera di opere, drammi e concerti, all’interno di pareti tanto inusuali da sembrare, complessivamente, il prodotto del costante battere del vento e la pioggia. Verso la creazione di un elemento che al tempo stesso connota ed arricchisce lo spoglio ambiente di appartenenza: spazi vasti, desolati e ricoperti dalla neve in inverno, ove collocare secondo i requisiti del concilio d’amministrazione cittadino due diversi palcoscenici dall’acustica versatile, l’uno con la capienza di 1500 spettatori e l’altro “appena” 400, oltre a una piazza pubblica per l’organizzazione di riunioni ed eventi.
Apparirà chiaro dunque a questo punto che stiamo parlando di un titano da 79.000 metri quadrati, che tuttavia non sembra occuparne, grazie alla forma organica e leggiadra, più di una ridotto benché significativo frazionamento…

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Golfista-per-caso inventa la mazza robotica definitiva

Immane lo sforzo ma grande la soddisfazione, di riuscire in qualcosa che non è parte del nostro sentire quotidiano. Scendere in campo, anche letteralmente, tra i fronzuti fusti della sfida e cercare non soltanto di tenersi al di sotto della loro ombra, bensì lanciare palle verso il cielo ed oltre tali ostacoli, fino alla buca della consapevolezza ulteriore. Poiché golf non è soltanto un modo per passare un pomeriggio in mezzo a prati ben tenuti, sotto il solleone che c’illumina con il suo sguardo indagatore; giungendo, piuttosto, a realizzare il sogno di un predominio strategico sul territorio e le regole del tutto arbitrarie, nonché fastidiose, che determinano la traiettoria di una pallina. Ma che dire di coloro che, nati con due mani sinistre, semplicemente non comprendono gli astuti metodi per compiere la marcia fino al green? Chi si ergerà a proteggere il loro diritto a far di tale sensazione un punto cardine della giornata ideale, che inizia con la nascita e raggiunge il compimento il giorno dell’improvvida ma inevitabile dipartita dai viventi? Shane Wighton, qui presente titolare del canale StuffMadeHere, sembrerebbe possederne il potere, pur non avendone il dovere, il che del resto non ha fatto nulla per fermarlo dal percorrere la strada che conduce all’ultima risoluzione dell’idea. Pensiero che conduce nel caso specifico, alla creazione di un oggetto al cui confronto Excalibur parrebbe un mero gioco per bambini: elettronica, robotica ed analisi statistica, fatte convergere in un crogiolo perfettamente coerente ad uno scopo, e quello soltanto! Condurre il pegno con la forma di un piccolo globo dalla superficie complessa fino alle radici dell’agognata bandierina, per 18 volte fino all’ultimo coronamento di una delle più stimate competizioni sportive tra gentlemen, uomini d’affari e presidenti degli Stati Uniti dalla folta chioma elettorale.
Il tutto per uno di quei video, estremamente rappresentativi della maker culture (tipica dei cosiddetti “artigiani digitali”) in cui non soltanto l’attrezzo pseudo-sportivo viene messo in opera e testato, bensì spiegato in ogni sua parte neanche si trattasse di un vero e proprio tutorial per la sua riproduzione. A partire dal driver relativamente a buon mercato fatto a pezzi e utilizzato come base, per l’immediata sostituzione della testa dietro elaborazione di un meccanismo che consentisse, in parole povere, di “scegliere” la distanza di ciascun tiro, mediante inclinazione operativa di un vero e proprio attuatore robotico, di quelli usati per la maggior parte dei progetti basati sull’architettura hardware Arduino, creata originariamente in Italia presso l’IDI di Ivrea. Soluzione che costituisce nel caso specifico un punto d’arrivo, piuttosto che la partenza, mirante a risolvere una questione tutt’altro che scontata: come far muovere a comando e in tempi sufficientemente brevi un meccanismo, al tempo stesso leggero e capace di resistere alle quasi due tonnellate di forza assorbite per un brevissimo istante dalla parte finale della mazza, senza che ogni singolo componente acquistato off-the-shelf, e concepito per utilizzi decisamente meno estremi, finisca per andare in mille pezzi ad ogni singolo tentativo d’impiego….

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Che la pesca ti assista, orribile maschera della rana pelosa

Un verme si agita nel protrarsi della lieve corrente marina, sospeso a mezz’aria, inconsapevole del suo destino. Non uno, ma molti accorrono per ammirarlo! Colori e pesci affamati, le code che si agitano disegnando una placida traiettoria marina. Sopra ed attorno quello che sembrerebbe costituire, senza eccessivi margini di errore, un sasso ricoperto d’alghe, coralli ed altre amenità tipiche dei fondali. Quindi d’un tratto, senza nessuna ragione apparente, l’ultimo dei piccoli nuotatori sparisce: niente bolle, né movimenti, oppur l’attacco di un (visibile) predatore. Bensì la cessazione, inappellabile ed improvvisa, dello stato d’esistenza della materia. Il verme continua a muoversi, indifferente. Trascorrono alcuni istanti, le piccole creature che si guardano attorno smarrite, occhi bulbosi che ricordano caleidoscopi colpiti dai raggi della Luna. Uno, due, tre, scondi. Un altro scompare. Poi un’altro ancora. E se vogliamo, a questo punto, appare possibile ipotizzarne la ragione; poiché il piccolo macigno, con la sua fitta copertura d’alghe, si è spostato di qualche centimetro e poi l’ha fatto di nuovo. Ogni qualvolta un pesciolino perisce, come se vibrazioni geologiche concentrate soltanto in quel punto, per uno scherzo della natura, avessero tentato di modificare le regole degli eventi. Ma è proprio nel mentre in cui l’ipotetico sub, con telecamera o senza, medita sul significato di tale impossibile congiuntura, che l’oggetto appare improvvisamente per ciò che effettivamente, era sempre stato. Al sasso spuntano due piedi, una coda, la sua prospettiva cambia. E con passo deciso, spalanca gli occhi crudeli prima di muoversi alla ricerca di pescosi lidi.
É tanto drammatico, a vedersi! L’espressione distorta, paragonabile a quella delle anime nei gironi danteschi, circondata da una corona fluente d’irsuta magnificenza con strisce a raggiera. E l’alta pinna dorsale, dinnanzi alla quale trova collocazione la prima spina modificata, nei fatti più simile al bastone di una canna da pesca. Con tanto di premio visivamente attraente, l’arma principale dell’Antennarius striatus, anche detto nei molti mari della Terra: “Rana pescatrice pelosa”. Mostriciattolo di appena 20 cm in merito a cui la relatività è certamente una fortuna, per noi umani, data la natura straordinariamente vorace ed aggressiva nella maggior parte dei casi. Fondata sull’eccezionale serrarsi della sua bocca con risucchio simile a quello di un aspirapolvere nel giro di sei millesimi di secondo, largamente sufficiente a superare la capacità sensoriale dell’occhio umano. Ma gli strumenti frutto dell’evoluzione, di cui esso appare dotato, non si fermano certo soltanto a questo punto, con le ottime capacità mimetiche che gli permettono di cambiar gradualmente colore, nel giro di alcuni giorni, ogni qualvolta le cose cambiano nel suo territorio di appartenenza arbitrariamente selezionato. Pesce adattabile per definizione dunque, così come gli altri appartenenti alla sua famiglia cosmopolita degli Antennariidae, con l’unico limite di una temperatura dell’acqua che non vari eccessivamente dai 20 gradi Celsius, il che lo porta ad attestarsi in luoghi distanti tra loro come l’oceano Pacifico, l’Atlantico e l’Indiano. Ma NON il nostro Mar Mediterraneo, e lascerò a voi formar l’opinione sul fatto che questo sia un bene o un male. Ogni creatura del resto, per quanto strana e magnifica, è l’ingranaggio di un particolare sistema ecologico, al di fuori del quale potrebbe costituire, nel giro di poco tempo, un irrisolvibile problema. Specie nel caso di esseri come questo pesce-rana, la cui voracità insaziabile fa parte del carattere “innato” delle sue circostanze…

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