Il gatto baio che trascende lo spazio e il tempo in Asia meridionale

Quando si considera la quantità e tipologia di avvistamenti necessari affinché un tipo di entità biologica esca dalla categoria dei criptidi, venendo riconosciuta come animale raro, ci si rende conto che non è sempre o necessariamente una questione di circostanze. Simili creature vengono, in effetti, considerate leggendarie in funzione della loro plausibilità, ovvero la divergenza dei fenotipi appartenenti rispetto ad una percezione generica di ciò che sia effettivamente “normale”. In tal senso, il gatto baio dell’isola del Borneo non possiede caratteristiche apprezzate fino ad ora più particolari del colore del suo manto. Ma d’altronde l’unicorno medievale, come concetto, non era forse un semplice cavallo con un corno sulla fronte? E cosa differenziava l’arpia dal condor, se non il possesso di un mero volto di donna? Vi sono esseri sfuggenti, aleatori, evanescenti che in maniera agevole riescono ad eludere l’inclusione all’interno di alcun tipo di categoria. Ma il Catopuma badia, come sarebbe stato infine definito dal naturalista John Edward Gray nel 1874, non è senz’altro uno di questi. Essendo egli il tipico rappresentante di categoria, di quell’intera classe di creature definite normalmente “piccoli” felini dal tipico colore rossastro che schiarisce nella parte inferiore del corpo e sotto la coda (o più raramente, tendente al grigio). Pur giungendo a misurare fino a 67 cm di lunghezza, ben oltre l’entità mediana di un tipico leone degli ambienti domestici umani. In tal senso un predatore agile, presumibilmente scattante degli ambienti forestali isolani, l’animale si inserisce a pieno titolo nel gruppo dei tipici felini selvatici del Borneo: il gatto dalla testa piatta, quello marmorizzato, il g. leopardo, il leopardo nebuloso (di cui esistono due specie) ed il g. asiatico dorato. Quest’ultimo anche detto Catopuma temminckii ed assai probabilmente, il vicino tassonomico più prossimo del nostro amico che risulta più piccolo, essendo stato scambiato inizialmente 1856 per un esemplare giovane di quella specie, finché non fu fatto notare dagli scienziati come la conformazione del cranio sottoposto ad analisi tra i diversi frammenti giunti nelle loro sapienti mani dovesse indicare necessariamente un esemplare già adulto. Questa è sempre stata, d’altra parte, la storia degli studi scientifici relativi a questo animale, con campioni disponibili in quantità eccezionalmente limitata e molto spesso, incompleta. Almeno fino alla cattura del 1992 del singolo esemplare vivo mai tenuto ufficialmente in cattività, presso il museo del Sarawak dove rimase soltanto per alcuni mesi, prima di morire a causa di un’imprecisata malattia. Il che fu l’occasione, se non altro, di sottoporre la misteriosa specie ad analisi del sangue e fotografarne il misterioso aspetto con orecchie stondate, sebbene osservazioni in natura avrebbero dovuto attendere ancora una buona parte della decade a seguire. Questo per le particolari e desumibili caratteristiche dello stile di vita del felino, in larga parte caratterizzato dall’evoluzione come un vero e proprio fantasma dei nostri giorni…

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La palma senza ombra che fruttifica tra intercapedini del sottosuolo

Scienziato giunto da lontano che cammina, lo sguardo concentrato, tra la tremula penombra dell’entroterra malese. Sull’isola internazionalmente suddivisa del Borneo, i cui nativi anticamente non avevano particolari preconcetti in materia di confini politici arbitrari. E questo vale, parimenti, per l’eccezionale varietà di piante ed animali che la popolano, rendendola uno degli hotspot biologici di maggior calibro nell’intero vasto quanto eterogeneo catalogo del mondo. Così egli compie un passo, si ferma, annota i nomi delle specie nel taccuino della propria mente. Ma non sosta più del necessario su alcun dato, quasi come stesse in realtà cercando qualcosa di altamente specifico. Una singola e importante perla, in mezzo alla tempesta di possibili spunti d’approfondimento; la scintilla verde in mezzo al mare d’erba. Il tenue lucore cosmico tra galassie ancora prive di un nome. Una pausa, una rapida battuta, l’eureka pronunciato silenziosamente. Ecce herba o per meglio dire in termini latini, arbor! Giacché vicino al piede destro, in quell’estate fatidica del 2023, figura una corona di piccole foglie striate. non proprio un tenero virgulto, a dire il vero, bensì l’arbusto totalmente adulto di un particolare tipo di eminenza. Quella che l’ispiratore accademico di una simile ricerca, già sul finire degli anni ’90, aveva già incontrato ed identificato su suggerimento dei nativi, come Pinang Tanah, Pinang Pipit, Muring Pelandok, Tudong Pelandok. Tutti appellativi nelle lingue tribali del Sarawak e zone limitrofe, parimenti usati per il succoso frutto rosso commestibile che campeggia sotto il cappotto di foglie cadute al suolo. Assieme al resto delle strutture vegetali di qualcosa che a nessuno, in condizioni normali, potrebbe mai capitare di vedere per intero. Poiché si tratta della sola ed unica palma incline a crescere e riprodursi… Nel sottosuolo.
Colui a cui stiamo facendo riferimento al passato è dunque il naturalista locale Paul P. K. Chai, mentre l’odierno collega in corso attualizzato d’esplorazione un membro qualsiasi del corpo di spedizione organizzato dai giardini botanici britannici degli orti di Kew, al fine di dirimere uno degli enigmi maggiormente persistenti nel settore di studio dell’universo vegetale. La possibilità più volte paventata, ed infine confermata a pieno titolo, dell’esistenza di quella che la nomenclatura binomiale latina avrebbe visto identificata come Pinanga Subterranea. Ancora e sotto molti punti di vista, l’ultima erede di una linea evolutiva rispondente ad esigenze di sopravvivenza non del tutto chiare…

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La soluzione abitativa dell’intero quartiere costruito sopra un centro commerciale a Jakarta

Spazi paralleli a cui soltanto pochi eletti possono pensare di guadagnarsi l’accesso. Porte periferiche, situate tra i negozi, che conducono ai viali misteriosi di approvvigionamento e gestione dei servizi a supporto della galleria commerciale: spazi simili tendono a beneficiare da un’impostazione labirintica, che a sua volta riesce a dare il senso e il segno di trovarsi in una specie di città, per così dire, particolare. E ciò è implicato dal concetto stesso di questa tipologia di complesso, da Oriente ad Occidente, tra il Meridione e il Settentrione del mondo. Inclusa la capitale e maggiore città d’Indonesia, Jakarta con i suoi 10 milioni di persone ed oltre, abituate a convivere con condizioni meteorologiche non sempre accoglienti, tifoni e l’occasionale tracimazione dei 27 fiumi che ne attraversano i confini. Non c’è perciò niente di strano, nel desiderio temerario della gente di vivere più in alto, ivi incluso un vialetto di accesso alla propria residenza e spazio di parcheggio per l’auto il più possibile lontano dalle strade talvolta eccessivamente gremite. Beneficiando delle vie d’accesso pedonali nascoste, come implicita e necessaria prerogativa, ai normali visitatori del centro.
L’idea è stata messa in pratica, in primissima battuta, attorno all’anno 2009 o almeno questo è ciò che si riesce a desumere, scoprendo il fenomeno a ritroso dal successo avuto negli scorsi mesi sui profili social di appartenenza locale: un approccio consistente nel costruire 78 accoglienti villette a schiera nel luogo esatto dove, tra tutti, meno ti aspetteresti di trovarle. Ordinate abitazioni messe in condizione di gravare sulla solida struttura del centro commerciale Thamrin City, coi suoi numerosi punti vendita dedicati primariamente a stoffe ed artigianato locale. Una sorta di paradiso per persone facoltose chiamato Cosmo Park, organizzato analogamente a quanto teorizzato nel concetto cyberpunk di spazi urbani a strati sovrapposti o l’esperimento teorico dell’arcologia, un singolo edificio capace di assolvere all’intero novero delle necessità dei propri occupanti. Potendo consentire, dietro il pagamento di un prezzo mediano di circa 4 miliardi di rupie indonesiane (corrispondenti a 235.000 euro) l’esperienza serena e rilassante di vivere in periferia, pur essendo circondati dagli alti grattacieli del distretto finanziario più simili a colonne, o futuristici termitai. Anche un simile contrasto, d’altronde, fa parte della cultura dell’Asia del Pacifico. Poiché salvare le apparenze di un rigido piano regolatore non sarebbe stato, in alcun modo, vantaggioso dal punto di vista pratico né in alcun modo apprezzabile, funzionale…

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Tributo al bucero caruncolato, sovrano stravagante del Sulawesi

Compilare un elenco degli uccelli più magnifici, interessanti o particolari del mondo non sarebbe necessariamente un’impresa semplice: troppo soggettivo è il gusto estetico e le fondamentali opinioni che tendono a derivarne, in funzione dei fattori contestuali e il tipo di educazione estetica di cui si è stati destinatari. Qualunque sia il proprio luogo o nazione di provenienza, tuttavia, sarebbe particolarmente insolito non restare colpiti dal variopinto abitante pennuto di una singola isola dell’Indonesia, alto fino ad 80 cm e del peso massimo di 2500 Kg. Cupe le sue ali, come un draculesco mantello, eppure sormontate da una testa sopra il collo giallo candido che non sfigurerebbe nella ricostruzione fantastica di un dinosauro: gli occhi cerchiati di blu e una pappagorgia dello stesso colore. Inframezzati da un becco sproporzionatamente grande che ricorderebbe quello del tucano, se non fosse per la copertura di una placca zigrinata chiara e scura in regolare alternanza. Ed a ornare tutto questo, come la cresta impossibile sull’elmo di un centurione, una struttura ossea con la forma simile a una banana, di un marrone scuro e lucido, che rientra in un ciuffo di piume della stessa tonalità sfumata. La coda bianca a forma di ventaglio conclude quindi l’outfit di una creatura che potrebbe essere straordinariamente elegante, se non sembrasse ancor prima di questo fuoriuscita da un catalogo delle creature ritrovate sul quarto pianeta del sistema Vega. Eppure l’Aceros/Rhyticeros cassidix (a seconda che si voglia utilizzare la nuova o vecchia nomenclatura) è una presenza relativamente ricorrente nella terra emersa labirintina di Celebes, undicesima tra le isole maggiori del mondo. Dove con l’appellativo locale di Julang sulawesi vive, si riproduce e tenta di proteggere il suo territorio, in un mondo che cambia lasciandogli sempre meno spazio a disposizione, nonostante chiunque sia nominalmente pronto a rendere chiara la sua ammirazione. In quale altro luogo è possibile, d’altronde, osservare un simile prodotto magnifico della natura? La cui capacità d’adattamento è la diretta risultanza, per quanto ci è dato comprendere, di un’ampia nicchia ecologica e la sua capacità di sfruttarla con esplicita quanto invidiabile competenza. Almeno finché non giunse l’impossibilità fisica ed oggettiva di occupare, con le proprie piume, determinati ambienti…

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