Il graffitaro che intagliò la vita nel cartone per imprimerla sul muro più famoso di New York

Era un posto come tanti altri, prima che verso l’inizio degli anni ’80, un “certo artista” di nome Keith Haring passasse da quelle parti. Armato, come spesso capitava in quel periodo, di un intero arsenale di bombolette, respiratore d’ordinanza ed accessori utili a supporto del suo metodo espressivo maggiormente rappresentativo innanzi agli occhi del mondo dell’arte: la pittura d’assalto, la creatività in battaglia, il trasferimento delle proprie idee in corrispondenza dei recessi delle urbane circostanze inconsapevolmente pronte a riceverne un’importante lezione di vita: che ogni cosa può essere stupendamente ed ottimamente variopinta, quando si trasmette in essa un appropriato grado di competenza. In un tripudio di figure antropomorfe che fuoriuscivano dal nucleo sconosciuto della mente. Fast-forward un periodo di circa 40 anni, il muro all’incrocio tra Houston Street e la Bowery (strada che dà il nome all’intero quartiere) è ormai da tempo un’importante istituzione all’interno della Grande Mela, nel suo rappresentare una superficie non soltanto conservata come tavolozza per gli attuali praticanti della professione grafica fuori dalle mura di poco spaziose gallerie d’arte, ma una letterale mostra gratuita ed all’aperto, dove molte migliaia di persone ogni giorno possono venire ad ammirare il notevole risultato conseguito dall’autore di turno. Così che nel 2016, uno dei più recenti partecipanti a questo rituale dinnanzi agli occhi della collettività sarebbe stato il creativo originario della città di Baltimora Logan Hicks, che dopo aver praticato per qualche tempo il mestiere del tipografo a San Diego, ha scelto di traferirsi nel 2007 presso la città d’origine del suo mentore ed amico Eric Haze, dando inizio ad un nuovo capitolo della propria esistenza. Periodo durante il quale, lavorando alacremente alla trasformazione di un intero metodo espressivo, l’avrebbe trasformato in un qualcosa che giammai prima di quel momento, si sarebbe mai potuti giungere a rappresentare sopra l’umile muro di un edificio.
Con un risultato che tutt’ora sopravvive solo nella digitalizzazione di quest’esperienza, purtroppo effimera per sua stessa natura, consistendo di una straordinaria immagine di tipo chiaramente fotografico, un adattamento fantasioso della fotografia di gruppo scattata dall’artista pochi mesi prima, in cui figurava l’intera collettività degli uomini e le donne facenti parte delle proprie conoscenze ed amicizie maggiormente significative strette nella più famosa e popolosa delle città statunitensi. Con una precisione figurativa e ricchezza della composizione capaci di trascendere letteralmente i limiti di quanto possa tracciare un semplice umano, in uno spazio tanto ampio ed informale, proprio per l’insolito artificio usato per conseguire una simile opera d’arte: l’impiego di una serie di stencil sovrapposti fino a 15 volte, sugli strati trasferiti con il rispettivo colore di volta in volta. In una tecnica che pare richiamarsi ad altri tempi, ed epoche ormai lungamente trascorse…

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