Di un po’, lupo di mare, hai mai sentito di qualcuno che sia riuscito a tornare dall’armadietto del vecchio Davy Jones? Il cumulo di ossa sogghignanti, perennemente attaccato alla sua bara, che riemerge al termine del giorno per chiamare giù gli incauti, i derelitti, coloro che non sanno rispettare la dura lex di chi fa muovere le navi. Spauracchio del mondo nautico, uomo nero degli abissi. Se di uomo è ancora lecito, nel caso presente, mettersi a parlare. Eppure fu tentato a più riprese, come sappiamo a partire dal XVII-XVIII secolo, d’ingentilire per quanto possibile l’allegorica figura, attribuendogli un contegno e aspirazioni condivise nonché, in determinate circostanze, l’esperienza comprensibile di una vita di coppia. Con l’unica signora che, tra tutte, avrebbe potuto amare un mostro antropomorfo con gli zigomi di un pescecane. Una strega, chiaramente. Nata dall’esclamazione folkloristica che, di dice, alcuni marinai italiani fossero abituati a pronunciare nel momento in cui un severo fronte tempestoso soleva appropinquarsi agli scafi: “Madre cara!” (Invocando, presumibilmente, la benevolenza della Vergine Maria). Eppur mai ebbe ragion di palesarsi, nella storia dei timoni e delle ancore navali, un fraintendimento più improbabile di questo. Giacché gli anglofoni che praticavano il mestiere di Ulisse, com’era loro prerogativa, iniziarono a pensare che il richiamo fosse destinato all’aleatoria quanto determinante Mother Carey, colei che in qualche modo, cavalcava o risiedeva nel circolo dei venti che piombavano sulle onde dagli strati superiori dell’atmosfera. Rimanendo del tutto invisibile agli occhi umani, ma non così i suoi messaggeri alati, o servitori sovrannaturali che volendo esorcizzare la paura, venivano associati al pennuto domestico per eccellenza, l’abitatore dei pollai rurali.
Fin dai tempi antichi era comune percezione, d’altro canto, che ciascuna praticante delle arti maligne fosse accompagnata da un suo familiare, l’animale magico che poteva essere un gatto nero, un gufo, un corvo loquace… O nel caso della maga marittima “per eccellenza”, l’unica creatura in grado di volare indisturbata, non importa quanto il clima potesse essere avverso. Anche detta, proprio per questo, procellaria o uccello delle tempeste. Un membro della famiglia degli idrobatidi o petrel, nome onomatopeico riferito al suono (“pit-pat”) prodotto dalle sue piccole zampe mentre battono sulla superficie del mare mentre svolazza alla ricerca di pesci, molluschi ed altre prede facili da catturare. Quasi totalmente nero nel caso delle specie più comuni, lungo 15-20 cm e dotato di uno stile di volo alquanto particolare. Che lo farebbe assomigliare, nella definizione di alcuni, ad una sorta di bizzarro pipistrello dei mari…
tempeste
La sfera elettrica capace di confondere generazioni di filosofi del mondo antico e moderno

Nella seconda metà del XIX secolo il futuro Zar Nicola II si trovava con il padre nella chiesa di Alexandria a Petergof assieme al padre, per una vigilia notturna. Nei suoi diari egli avrebbe dunque raccontato in seguito di una sfera fluttuante di luce concentrata, apparsa all’improvviso in prossimità dell’iconostasi, la parete che racchiude il santuario delle chiese ortodosse. Allo spegnimento improvviso delle candele, la misteriosa presenza scoppiettante avrebbe dunque attraversato la navata, raggiungendo una finestra mentre l’attuale signore di tutte le Russie continuava impassibile a farsi il segno della croce. Suo figlio ed erede, inizialmente spaventato, avrebbe quindi all’improvviso compreso di dover confidare nella grazia di Dio. E da quel momento, non avrebbe più avuto paura di alcuna tempesta nei cieli questa Terra. Molte sono le teorie possibili sull’origine di un tale fenomeno, ammesso e non concesso che possa effettivamente essersi verificato, ma pochi i dubbi sul termine corretto per definirlo. Simili luci volanti rappresentavano un tipo di fenomeno, del resto, conosciuto e discusso almeno dall’Alto Medioevo, la cui definizione pratica è riassunta nel concetto di “fulmine globulare”. Un accumulo di energia visibile ad occhio nudo, sospeso e incandescente, possibilmente simile al fuoco di Sant’Elmo con un’importante, sostanziale differenza: la capacità e propensione a spostarsi. Talvolta innocuo, come nel caso russo, certe altre pericoloso; vedi l’episodio sperimentato più di cento anni prima dalla nave britannica HMS Catherine and Mary, a seguito del quale prese fuoco l’albero maestro, rovinando sul ponte e finendo per uccidere un membro dell’equipaggio. Laddove in innumerevoli altri casi, la sfera in questione è stata riportata incapace di dissolversi senza produrre, nel contempo, un qualche tipo d’esplosione potenzialmente letale. A tal proposito, lo studioso e naturalista Wilfrid de Fonvielle avrebbe scritto di come nel 1845 una sfera di luce verde fosse penetrata dalla finestra in una casa del villaggio di Salagnac in Francia, passando dinnanzi all’attonita abitante della dimora. Rimasta fortunatamente illesa mentre l’oggetto non identificato passava attraverso un muro, penetrava nel fienile e deflagrando improvvisamente, uccideva uno dei suoi maiali. Ed è proprio questa qualità migratoria, apparentemente indifferente ad ogni tipo di barriera architettonica o costruita dagli umani, ad aver costituito nel tempo una delle caratteristiche più difficilmente spiegabili di un tipo di evento reiterato, la cui origine parrebbe d’altra parte appartenere senza dubbi residui alla sfera dei fenomeni realmente esistenti del mondo della materia. Essendo stata sperimentata direttamente, in base ad una stima, da circa il 5% delle persone viventi, incluse molte figure storiche di leader e personaggi del mondo della cultura. Sebbene in molti abbiano provato attraverso le generazioni, fallendo miseramente, di attribuirgli un’origine inconfutabile e del tutto acclarata…
La notte diurna in cui scoprimmo la terribile potenza delle tempeste solari
Dopo il crepuscolo tra il primo ed il secondo settembre 1859, l’intero pianeta Terra fu colpito dall’equivalente geomagnetico di un asteroide in grado di annientare l’attuale civilizzazione digitale. Ma poiché ci trovavamo ancora in un’epoca di carrozze e macchine a vapore, il principale effetto venne riscontrato nelle stazioni del telegrafo, dove alcuni dei macchinari andarono improvvisamente in corto circuito, causando scintille ed arrecando scosse elettriche agli operatori. Molti di loro, di lì a poco, scoprirono l’impensabile: una volta scollegate le batterie i dispositivi funzionavano ancora, agevolmente alimentati dall’implacabile energia che aveva invaso la troposfera. In determinati luoghi, l’effetto fu osservabile ad occhio nudo. L’aurora boreale illuminò la notte del Texas e Nevada, dove i cercatori d’oro si svegliarono famosamente in anticipo, credendo fosse giunta l’ora di andare a lavorare. In Europa Occidentale, fino alla latitudine di Roma, la luce fu talmente intensa da permettere di leggere un giornale a mezzanotte nella più totale assenza di fonti di luce naturali. Era… La potenziale fine del mondo ed un uomo solo, tra tutti, era stato in grado di riscontrarne l’origine mediante l’impiego del suo telescopio presso l’osservatorio universitario di Cambridge, dove si trovava per approfondire il comportamento delle macchie solari. Richard C. Carrington era il suo nome, destinato a passare alla storia proprio perché associato al deleterio evento, non prevedibile, del tutto ripetibile e che in un momento assolutamente indistinguibile delle nostre esistenze potrebbe riportarci temporaneamente indietro di secoli, se non millenni. Con conseguenze notevoli in termini di danni economici, ma anche potenziali perdite di vite umane. Un “episodio” come questo viene stimato come in media probabile ogni 450 anni; ma nella maniera tipica delle analisi statistiche, la fortuna può costituire un importante fattore, al punto che già il 23 luglio del 2012, dal punto di vista della nostra stella, è in pratica successo di nuovo. Mancandoci soltanto di due settimane, grazie all’ispirata danza dei corpi astrali. Alla conseguente e comprensibile domanda di cosa sia possibile effettivamente fare per proteggersi da un tale infausto destino, non esiste dunque alcun tipo di risposta semplice, fatta eccezione per scollegare ogni dispositivo elettrico dalla grande rete di distribuzione per tempo, sfruttando idealmente il ragionevole preavviso di qualche ora di cui potremmo disporre, in forza degli organismi cautelativi su cui potremmo fare affidamento nell’attuale dipanarsi dell’emergenza. Benché ciò non sia sempre possibile, anche senza considerare gli effetti di un blackout globale di durata prolungata. Con anche la collaterale cessazione del funzionamento degli impianti idrici, oggi funzionanti principalmente tramite l’impiego di pompe elettriche, ed il probabile malfunzionamento di una buona parte dei mezzi di trasporto contemporanei. Per non parlare di quelli appartenenti alla “rivoluzione elettrica” che sta iniziando, in questi anni, a circolare silenziosamente per le strade cittadine. E tali conseguenze costituiscono in effetti, se vogliamo, ancora una visione ragionevolmente ottimistica di quello che potrebbe accadere…
L’effimero disco dell’occhio di Sauron fotografato nei cieli di Ancona
Molte delle questioni scientifiche capaci di acquisire la condizione di viralità su Internet, diffondendosi a macchia d’olio sui molteplici canali paralleli e gruppi di confronto d’opinioni online, riescono ad accedervi mediante l’accompagnamento di un immagine notevole o in qualsiasi modo fuori dall’idea comune o percezione dello spazio immanente. Una finalità più facilmente perseguibile qualora sia possibile, per chi sceglie la didascalia di turno, alimentare un qualche tipo di utile fraintendimento. Vedi l’idea, possibile ma certamente non probabile, che un fenomeno luminoso particolarmente inquietante dalla forma di una ciambella piatta e rossa, abbastanza vasto da estendersi tra la cima degli Appennini e la costa della Croazia, possa essersi trovato ad incombere per un tempo rilevante sulle nostre teste, senza che una percentuale particolarmente alta della popolazione possa averne impresso una fedele immagine nei diari della propria memoria. Ed è qui che appare utile, ancor prima d’intavolarne una trattazione, menzionare “casualmente” la maniera in cui l’ELVE o Elf ritratto nella foto scattata da Possagno il 27 marzo ad opera di Valter Binotto, esperto documentarista e cacciatore di TLE (Eventi Luminosi Transienti) abbia avuto una durata del suo spettro visibile pari ad una mera frazione di secondo. Effettivamente catturato su pellicola soltanto grazie all’artificio, frutto della tecnologia moderna, di un video registrato con un alto numero di fotogrammi, tra cui fermare e pubblicare quello risultante, per ovvie motivazioni, maggiormente funzionale a suscitare nuove linee di ragionamento. Il che quadra pienamente col pregresso scenario dello studio di questa intera categoria di fenomeni, generalmente fatto risalire al 6 giugno del 1989, quando il ricercatore del Minnesota R.C. Franz lasciò una videocamera puntata verso il cielo notturno per l’intero trascorrere di una notte tempestosa. Riuscendo finalmente a immortalare quella lunga serie di bagliori rossastri dalla forma vagamente colonnare di cui molti avevano parlato in termini poetici attraverso i secoli, attribuendoli a presenze ultramondane o l’ira inconciliabile dei giganti. Fino all’ulteriore conferma, nell’ottobre del 1989, giunta dalla pubblicazione delle fotografie scattate dall’orbita durante la missione dello Space Shuttle STS-34, che oltre alle suddette immagini chiamate in gergo sprites o spiriti (vedi) ne identificò un tipo nuovo dalla forma e progressione totalmente distinta. Tanto da meritare l’acronimo identificativo sopra menzionato, corrispondente all’intera frase in lingua inglese “Emission of Light and Very Low Frequency perturbations due to Electromagnetic Pulse Sources” – ELVES ovvero il plurale dell’immortale razza con le orecchie a punta, le cui vicissitudini hanno arricchito la mitologia di parecchi paesi. Numerose parole, e qui appare logico sospettare anche l’intento tipicamente statunitense di arrivare ad un acronimo dal doppio significato, per riferirsi a quella stessa immane visione così documentata da Binotto da una semplice finestra del suo appartamento. Potendo approfondire visualmente il nocciolo della questione, ovvero quale possa essere l’esatta origine di un così agghiacciante prodigio…