In cerca dell’ornato suino elfico dell’Africa subsahariana

Simboli supremi di saggezza: testa grande, muso piatto, orecchie a punta con un lungo ciuffo che ricade a incorniciare il volto da cui parte la cresta dorsale pallida, capace d’estendersi fino all’inizio della coda lunga e sottile. Rigorosamente ricoperto, sulla base di un’antica tradizione, da una maschera dai toni contrastanti, incorniciata da una folta barba candida come la neve d’inverno. Fenomeno atmosferico, quest’ultimo, letteralmente sconosciuto in queste terre, vista l’appartenenza delle creature in questione alla terra largamente equatoriale tra Congo, Gambia e Kasai, dove le ombre sfumano all’inizio del meriggio, e l’avvoltoio capovaccaio circola al di sopra del paesaggio alla ricerca di possibili fonti di cibo. Chi con gli occhi, chi facendo uso di un finissimo senso dell’olfatto, tanto che se a certe latitudini crescessero i tartufi, senza dubbio il potamocero o cinghiale dai ciuffetti coi suoi 36-130 Kg di dimensioni avrebbe dato un’importante aiuto all’opera dei cercatori bipedi ed eretti di quell’ambito tesoro. Piuttosto che spostarsi libero ed indisturbato, per quanto ci è dato immaginare, tra le regioni del tramonto e la profonda notte dei continenti, ove operare quietamente la propria magia. Simili per molti aspetti comportamentali ai cinghiali nostrani, sebbene dotati di talune caratteristiche riconducibili al facocero di disneyana memoria, gli amichevoli cugini di Pumba dal pelo rossiccio appartengono in realtà ad un proprio genere nettamente distinto, lungamente soggetto a revisioni tassonomiche di varia entità. Data la notevole varietà di livree, tipi di pelo e dimensioni, tali da permettere l’individuazione originaria di 13 specie sulla base del lavoro di Linneo, poi ridotte ad una sola verso l’inizio del secolo scorso e unicamente nel recente 1993, suddivisa nuovamente in due varietà distinte: Potamochoerus porcus e P. larvatus. Creature molto simili tra loro in realtà, fatta eccezione per i toni maggiormente scuri del secondo e le sue dimensioni leggermente inferiori, oltre al suo areale capace di estendersi insolitamente fino alla terra isolana del Madagascar. Località raggiunta con metodi e ragioni lungamente misteriose, potenzialmente dovute alle casistiche di zattere formatosi spontaneamente dalla vegetazione o ancor più facilmente l’interessata mano dell’uomo. Questo poiché un simile suino, come potrete facilmente immaginare, costituisce un’importante fonte di cibo per le popolazioni limitrofe, costituendo l’oggetto della caccia che ne ha progressivamente ridotto il numero in determinate zone geografiche del continente. Il che non dovrebbe d’altra parte far pensare ad una situazione di conservazione in bilico, considerate le notevoli doti di proliferazione di creature biologicamente tanto adattabili, abituate a dare annualmente i natali a un minimo di cinque-sei maialini, rigorosamente accuditi da entrambi i genitori fino al raggiungimento dell’indipendenza nel giro di circa quatto mesi. Entrando a pieno titolo nel ruolo di membri del branco, una quantità di creature generalmente pari a 10-15 esemplari, sebbene esistano casi particolari capace di raggiungere il doppio o quadruplo di simili cifre e fino alle spettacolari moltitudini di un centinaio. Fortemente solidali e in grado di respingere l’assalto di (quasi) ogni predatore della vasta ed impietosa savana…

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A largo della Florida, il selvaggio sabba oceanico dell’invadente insetto in luna di miele

Sussiste uno stereotipo, su Internet, secondo cui la Florida sarebbe un luogo di fantastici eccessi e terribili deviazioni dalle aspettative legittime delle umane circostanze, coadiuvate da una sorta di atmosfera che in qualche maniera riesce a deviare ed influenzare la realtà. Così che basta inserire su Google il nome dello stato peninsulare, proteso come una magica passerella sull’Atlantico, possibilmente accompagnato da parole d’uso comune come “man“, “alligator” o “sheriff“, per inoltrarsi in una rassegna che sfiora il surrealismo e cambia radicalmente le logiche interconnessioni degli eventi. Al punto che imbarcandosi e lasciando dietro di se le coste sabbiose di una tale landa, a bordo di una conveniente imbarcazione da diporto, può sembrare di essersi temporaneamente liberati da una simile foschia, ritornando almeno per qualche ora dei perfettamente ragionevoli, e del tutto rilassati rappresentanti della civile società contemporanea. A patto di non essere… Sottovento. Direzione verso cui tra aprile e maggio, agosto e settembre e qualche volta anche a dicembre, le correnti ascensionali prendono in custodia un vasto popolo d’interconnessi volatori, nel senso di esseri costantemente e saldamente attaccati l’uno all’altro per la parte posteriore dei loro corpi, a due a due. Sono i famosi e odiati “insetti in luna di miele”, “insetti innamorati” o “f***ing bugs” (in più di un senso) che come una pioggia biblica finiscono per ricadere un po’ da tutte le parti, incluso a quanto sembra questo motoscafo a largo della baia di Tampa, i cui occupanti non possono far altro che alzare le proprie braccia contro un cielo vendicativo, mentre si ricoprono letteralmente di una pioggia quasi biblica dei piccoli invasori, lunghi non più di 6-9 mm dalla testa con le antenne alla parte finale del proprio addome. Orrore, stupore ed anche un po’ di meraviglia, sebbene siamo innanzi al tipo di creature che tornando puntualmente ogni anno, hanno finito per diventare un simbolo inscindibile perfettamente rappresentativo di una buona parte del meridione statunitense.
A partire da quando, nell’immediato dopoguerra, iniziarono ad essere notati allo stesso tempo dagli entomologi non soltanto floridiani ma anche di Texas, Alabama, Mississippi e Louisiana, che non poterono far altro che notarne l’arrivo dall’America Centrale passando per lo stato messicano dello Yucatan. Diventando una visione pressoché costante fino all’apice della loro presenza verso la metà degli anni ’70, momento in cui parevano essersi moltiplicati fino a ricoprire letteralmente ogni centimetro di cielo nel corso dei loro frequenti eventi migratori da un lato all’altro del continente. E tutto questo senza arrecare danni degni di nota all’agricoltura, pur trattandosi di nettarivori, principalmente interessati a piante erbacee come meliloti, solidaghi e pepe brasiliano, per il semplice ma fondamentale aspetto della breve durata della loro vita: appena 3-4 giorni per i maschi, poco più per la femmina; abbastanza per portare a termine il compito per cui sono stati creati, culminante con la deposizione di una significativa quantità di uova (100-350) negli strati marcescenti di legno, torba o altra materia biologicamente feconda…

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Se i vermi della fragola hai mangiato, la vespa su quel frutto non ha ronzato. L’unica speranza? È l’aceto

Considerato in certi ambienti come l’apice concettuale della decadenza gastronomica americana, il piatto di carne dal nome di turducken nasce dal bisogno di adattare sensibilità remote al gusto dell’odierno essere carnivoro per l’eccellenza: l’uomo. Così un tenero tacchino, attentamente disossato, viene usato con funzione di custodia atta a contenere le spoglie mortali di un’anatra intera, a sua volta attentamente svuotata, per nascondere al suo interno l’intero pollo delle straordinarie circostanze. Come in un banchetto principesco dell’Antica Roma, o il piatto di un ricevimento medievale, trasformati nell’odierno trionfo delle proteine vastamente superiori all’apporto massimo degli eminenti convitati. Prendete d’altra parte, come termine di paragone, il frutto rosso della fragola, falso frutto nato dall’ibridazione artificiale delle bacche forestali Fragaria, consumato generosamente in ogni civilizzazione parte del contesto globalizzato moderno. La cui dolcezza è nota quanto l’innocenza e la purezza delle parti costituenti, tale da renderla ideale per buddhisti, vegetariani, fruttariani, vegani ed ogni altro tipo di categoria incline ad escludere taluni tipi di alimenti dallo schema strategico della propria dieta. E se adesso vi dicessi che costoro sbagliano, come abbiamo sostanzialmente anche sbagliato lungamente noi stessi, nel pensare che tale dolcezza non abbia un costo fondamentale del tutto imprescindibile al momento della nostra stessa dolcissima soddisfazione nutrizionale? L’orrore trasparente che tranquillamente striscia, non visto e non visibile, ignorando totalmente il rischio di finire nella bocca di un titanico divoratore umano. Ed il secondo di questi ospiti che giunto nel momento ideale, ha messo il proprio figlio sopra ogni possibile considerazione morale. Iniettandolo, con ottima soddisfazione, dentro e sotto pelle di colui che già pensava di esser nato con la camicia, ovvero ben nascosto dallo sguardo attento dei predatori…
Il discorso è al tempo stesso l’ultimo capitolo dei nostri incubi e un semplice esempio dei processi naturali. Così come ne parla l’ottimo canale scientifico Deep Look, raccontando la tragica storia della mosca Drosophila Suzukii e l’intera categoria delle vespe parassitoidi, in questo caso rappresentata da una Ganaspis brasiliensis proveniente a dire il vero dall’altro capo del nostro pianeta. Ma perché formalizzarsi, nel dare continuità tematica ad un tale tipo di confronto biologicamente privo di quartiere… Quando la posta in gioco è molto più che il semplice successo o fallimento del processo messo in atto dalla “creatura”. Bensì l’opportuna decisione, del destino e delle circostanze collateralmente operative, in merito al diritto di noialtri di poter ancora vendere, e gioiosamente consumare ciò che abbiamo tanto faticosamente creato. Ed idealmente ci appartiene, così come l’utile terreno del frutteto, e tutto quello che risplende lietamente di un lucido color vermiglio tra i legittimi confini della sua estensione…

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Megaspirapolvere d’Olanda: ai festival come in autunno, tra gli alberi le foglie

“Ma si, dopo tutto giunti a questo punto… Che differenza può fare?” Il milionesimo partecipante al primo grande festival musicale in calendario d’Olanda, per lo meno in ordine di tempo, si guarda intorno con gli occhi socchiusi e l’aria circospetta. Alle letterali migliaia di espressioni assorte catturate dal concerto, al servizio d’ordine distante e come al solito distratto. Quindi preso l’ultimo sorso dalla sua lattina di birra preferita, allunga il braccio con gesto magniloquente. E aprendo le dita, la lascia cadere a terra. Di certo, in un mondo ideale o quasi, un tale oggetto avrebbe rotolato senza un suono in mezzo all’erba sgombra, per essere immediatamente calpestato ed appiattito dall’ondeggiante danza dei presenti. Ma poiché siamo al Paaspop, dove l’educazione ambientalista di un popolo molto civile viene temporaneamente accantonata, l’oggetto d’alluminio cade in mezzo a molti altri, entrando a far parte di un sostrato ininterrotto e stranamente soffice al calpestio.
Molte ore dopo al tacere degli altoparlanti, il palcoscenico e gli spalti ormai del tutto silenti, l’addetto alle pulizie contempla la portata del disastro: un ammasso policromo d’oggetti, recipienti, piccoli contenitori. E fazzoletti, buste di plastica, frammenti d’indumenti e addirittura qualche tenda, addirittura. È un preservativo, quello? Poco importa. Con un cenno a lato che ricorda dolorosamente quello di coloro che hanno dato il proprio contributo individuale all’Apocalisse, fa capire al suo collega che è giunto il momento di farsi avanti. Un rombo di motore suona in mezzo all’aria tersa del mattino, spaventando stormi di gabbiani intenti a setacciare la discarica in cerca di cibo. Si tratta dell’iconico grido di guerra del semovente porta-attrezzi a tre ruote FM-3 della Widontec. Con mano ferma sul volante, Herman Eskes fa il suo ingresso nell’arena, procedendo a un ritmo lento ma sostenuto. Il veicolo in questione, dapprima procedendo in linea retta, disegna un arco lungo il manto ininterrotto della spazzatura. E dove esso è transitato, in modo sorprendente, torna a intravedersi il verde di quel prato ormai del tutto dimenticato. Potremmo chiamarlo, se concesso, l’imprescindibile potenza del risucchio. Un’applicazione fisica di quel concetto secondo cui qualsiasi cosa venga immessa in un sistema chiuso tramite un potente getto d’aria, debba sempre necessariamente giungere all’interno del recipiente finale. Ovvero in questo caso, quello posto sopra il retro del curioso autocarro dal peso a vuoto di 7 tonnellate. Conveniente, nevvero? Siate attenti, tuttavia, a non cadere nella trappola di scambiare il marchingegno soprannominato commercialmente con l’appellativo “Hermanes” come l’ennesimo esempio di scopa meccanica da marciapiede, il cui principio di funzionamento tradizionale risulterebbe d’altra parte largamente inefficace alle prese con l’impressionante quantità e varietà di spazzatura che la gente ha accatastato in seguito alla festa del Paaspop. Qui siamo alle prese con una vera e propria versione sovradimensionata, ed attentamente perfezionata, del più utile e diffuso strumento elettrico per la pulizia di casa. Potenzialmente l’aspirapolvere (su ruote) più potente al mondo…

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