La lunga caccia della falsa vedova, ottuplice nemica di topi e pipistrelli d’Europa

Fu notata dalla nostra stirpe per la prima volta almeno un paio di secoli a questa parte: la strana passione degli umani per i baccelli. Parti pendule di “cose” vegetali, tonde, oblunghe, morbide o coriacee. Particolarmente la… Banana. Oggetti provenienti dalle nostre isole remote, in mezzo ai quali era possibile nascondersi e aspettare quietamente. Di essere portati, come giovani esemplari sottoposti ai capricci del vento, oltre l’Oceano e verso nuovi lidi sorprendentemente accoglienti, dal clima temperato e l’ampia quantità di possibili prede. Mosche, libellule, imenotteri, scarabei e non solo. Poiché a differenza delle isole delle Canarie e di Madeira, creature ben più grandi e succulente all’altro lato di quel viaggio non parevano possedere alcun tipo d’istinto acuito da pregresse generazioni. In merito scaltra metodologia di predazione, e l’infinita fame che caratterizza ed influisce ogni aspetto della nostra quotidianità di piccoli vampiri velenosi. Sta parlando molto chiaramente lo Steatoda nobilis, anche detto il ragno della credenza o “falsa” vedova nera. Per la sua abitudine a tessere piccole ragnatele disordinate nei luoghi secchi e oscuri. Da cui calarsi all’indirizzo di creature di passaggio, totalmente inconsapevoli e disattente. Da intrappolare con i fili ed allo stesso tempo indurgli la paralisi, rendendoli perfette per un pasto equilibrato e non del tutto privo di un sinistro retrogusto vampiresco. Essere notoriamente simile al più temuto ragno d’Europa, la puntinata Latrodectus abituale divoratrice nuziale del suo consorte, di cui riprende il suddetto appellativo in lingua volgare, in forza di una somiglianza che purtroppo va ben oltre la semplice apparenza. Dato il possesso, soprattutto nella femmina più grande ed aggressiva, del potenziale d’inoculazione di un veleno non del tutto privo d’efficacia nel caso degli umani, capace di causare un dolore intenso e in certi casi, infezioni o reazioni allergiche di significativa entità. Il tipo di circostanze tipicamente sufficienti, per animali di siffatta natura, a incrementare il potenziale d’isteria collettiva, con un crescente allarmismo dei media e collettivo timore più o meno giustificato che possa capitare anche a noi. Poiché il ragno è di per se un sinonimo di occulti e atavici timori, almeno in parte giustificati dalle tribolazioni dei nostri antenati fin dal tempo della preistoria. E d’altra parte non ha contribuito a ridimensionare l’ansia, la recente serie di studi scientifici incentrati sull’abitudine precedentemente ignota di questa specie, di catturare e fagocitare esseri dalle dimensioni superiori di anche 10 o 12 volte alle proprie, mediante l’uso della sopra descritta tecnica di agguato opportunista. Un sistema che ha permesso agli studiosi di trovare, in base alle nozioni reperibili su Internet, per la prima volta nel 2018 in Irlanda un esempio di lucertola vivipara (Zootaca v.) tra i fili appiccicosi di uno di questi famelici carnivori, così come nel 2022 si è d’un tratto palesata l’orribile visione di un destino simile toccato a due piccoli chirotteri nel North Shropshire, probabilmente dei Pipistrellus comuni. Ma è stato proprio lo scorso 20 febbraio del 2023 che un articolo sulla rivista scientifica Ecosphere sarebbe stato corredato da una fotografia ancor più preoccupante: di un toporagno appartenente alla specie protetta inglese Sorex minutus, intrappolato nel North Sussex e sollevato fino alla cornice superiore di una finestra. Proprio così: un roditore trasformato nella cena di un ragno. Piuttosto che il contrario…

I ricercatori del Ryan Institute presso la NUI Galway irlandese mostrano una povera lucertola avvolta nella ragnatela della vedova, simile a una mummia per qualche tempo ancora viva, da cui estrarre progressivamente il prezioso nettare nutritivo. Una visione quasi troppo orribile per appartenere al mondo reale.

Ora potrebbe sembrare a conti fatti piuttosto incredibile, che una creatura non più grande di 15 mm possa in effetti fagocitare o fare a pezzi un piccolo mammifero, il che corrisponde alla casistica delle suddette carcasse di creature ritrovate, in ciascuna circostanza, ancora per lo più integre dal punto di vista esteriore. Benché indubitabilmente morte e almeno parzialmente digerite, grazie alla tecnica impiegata a tal fine dalla falsa vedova nera. Un approccio altrettanto tipico di molti altri ragni e consistente per l’appunto nel rilascio dei propri fluidi gastrici direttamente dalla bocca, con il fine comprovato di corrodere le carni tenere della propria vittima, trasformandole nella versione alquanto orribile di una brodaglia pronta da risucchiare. Ed è così che pressoché qualsiasi creatura catturata, non importa quanto coriacea o resistente, può essere effettivamente trasformata in cibo, il che ha portato nei millenni all’elaborazione di sistemi istintivi di caccia, dalla comprovata efficacia. Tanto che nell’osservazione pregressa della falsa vedova, assieme agli altri ragni del suo genere Steatoda, è stata notata una capacità di valutare la quantità di veleno disponibile in un dato momento e scegliere se è il caso di attaccare prede dalle dimensioni più imponenti. Per poi provvedere a inocularle, per quanto possibile, nei punti del corpo in cui sono presenti le maggiori concentrazioni di nervi, in modo tale da massimizzare l’effetto paralizzante e se possibile il soffocamento del piccolo animale. Entrambe conseguenze per fortuna molto improbabili nel caso degli umani, data la potenza del veleno molto inferiore a quello delle Latrodectus, di cui riprende per almeno un terzo gli elementi costituenti, restando in effetti dotato di una rilevanza medica tutt’altro che indifferente. Con il caso riportato di almeno una morte umana attribuibile all’incontro sventurato con questo ragno, di un’anziana donna dello Shropshire nel 2014, riconfermando ancora una volta la predilezione per le isole inglesi di questo notevole passeggero abusivo delle trasferte ortofrutticole mediante l’impiego delle confortevoli navi. Ancora un esempio, dunque, del problema inerente al principio della globalizzazione, attraverso cui le distanze tendono ad accorciarsi e non soltanto per noialtri costruttori di ogni sorta di veicolo finalizzato al vicendevole trasporto, nonché la consegna di merci inerentemente adatte nel ruolo di aracnide nascondiglio.
Si aggiunge a tutto questo, il possesso di ottimi presupposti di adattamento posseduti dall’intero gruppo dei ragni Steatoda, tra cui la tolleranza di climi variabilmente temperati e non solo, la predilezione per i contesti creati dagli umani con particolare preferenza per gli ambienti domestici e l’inclinazione ad accoppiarsi più volte a stagione, con singoli episodi da cui tendono a venire generate tra le 34 e 208 uova, per un periodo di fino a cinque anni dal raggiungimento della maturità sessuale. Il che rende piuttosto semplice comprendere il timore sollevato negli ultimi anni, che la pressione ecologica dovuta a questo predatore non nativo possa giungere a costituire un effettivo pericolo per diverse specie locali a rischio d’estinzione, come quelle citate poco sopra e non solo. In aggiunta al forse eccessivo, ma non del tutto trascurabile timore per l’incolumità umana.

Il maschio della Steatoda è un predatore molto meno efficace, data la sua necessità di trascorrere la maggior parte del tempo alla ricerca di una compagna. Trovata la quale, tenterà di corteggiarla mediante una strana serenata prodotta dallo strofinamento delle zampe, in una situazione delicata che frequentemente termina con la sua uccisione. Non così “falsa” vedova, dunque…

Ben nota è la predilezione della comunicazione contemporanea per nozioni in qualche modo terribili ed al tempo stesso accattivanti, capaci di generare un appropriato senso di pubblico timore o smarrimento. Per l’appunto il tipo di situazione molto utile, nella ben documentata contingenza corrente, a generare un più elevato livello d’attenzione per i propri siti internet, canali televisivi o prodotti della stampa tradizionale. Il che non deve in alcun modo far passare in secondo piano il rischio determinato dall’importazione, mai davvero passata in secondo piano, di questo notevole ragno dotato delle capacità d’invadere progressivamente l’intera Europa.
Ai danni di un qualcosa di notevole e prezioso, in modo diverso ma non meno significativo della vita delle singole persone: la biodiversità ecologica di questa terra d’Europa, in larga misura già desolata. Poiché a questo punto dell’Antropocene, ogni vittima dell’estinzione è un ulteriore passo verso un destino fin troppo facile da immaginare. Al cui confronto, la semplice discesa di un pur grosso ragno dalla credenza potrà sembrarci nulla più che un mero attimo di distrazione, sul doloroso volgere della lancetta finale.

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