Perché sarebbe sempre meglio non stringere la zampa di una rana pelosa

Nell’anno 1900 il naturalista belga-britannico Boulenger, durante un lungo viaggio di ricerca nell’Africa centrale, scoprì sulle colline di Mayombe, nella parte occidentale della Repubblica del Congo, una strana creatura. Grande 10-13 cm, la rana che avrebbe inserito nel genere monotipico Trichobatrachus presentava una forma tozza ed un muso stondato, con lunghe falangi delle dita nelle zampe anteriori. E vistose aree irsute in corrispondenza dei fianchi, come una criniera arruffata, posizionata in modo simile al costume di una ballerina di Rio de Janeiro. Non che il classificatore di oltre 1.000 specie di pesci, 556 di anfibi ed 872 di rettili potesse dirsi un esperto conoscitore di quel tipo di festa, giungendo d’altra parte alla repentina presa di coscienza di trovarsi innanzi a qualcosa di davvero particolare. “I peli a forma di cespuglio sembrano comparire principalmente nelle femmine” scrisse, sbagliando. E sarebbe occorso fino al 1927 perché il suo collega tedesco Willy Kükenthal, di ritorno sulla scena del crimine, provvedesse a fornire una rettifica: “Sono le rane maschio a presentarsi maggiormente irsute. Soprattutto durante la stagione degli amori.” Dal che sarebbe stato pienamente legittimo presumere che potesse trattarsi di un tratto di selezione sessuale, come l’attributo affascinante di una folta e curata barba nello stile dei vittoriani. A parte la maniera in cui i capelli del batrace, essendo costituiti da tutt’altro che cheratina, potrebbero servire in realtà ad una funzione davvero importante: fortemente irrorati di sangue, essi acquisiscono una certa quantità di ossigeno dall’acqua. Permettendo d’incamerarlo nello stretto e lungo diverticolo dei polmoni posteriori molto sviluppati, ancora una volta, nell’esemplare maschio di questa notevole specie. Il che non è davvero necessario, ai fini della sua sopravvivenza, benché indubbiamente aiuti nello svolgimento di una primaria mansione. Tratto assolutamente unico della T. robustus risulta infatti essere la significativa diversità nello stile di vita tra i due sessi, in cui la consorte di una coppia riproduttiva si limita a deporre le uova sotto il pelo dell’acqua di un torrente o stagno, per poi lasciarle sotto la supervisione del suo partner nuziale. Come parte di un piano precisamente definito, in cui sarà proprio quest’ultimo a difendere i nascituri dall’assalto di possibili parassiti o predatori. E se a questo punto dovesse sorgervi la spontanea domanda di che cosa, esattamente, un animale simile possa fare per dare una forma concreta alla propria capacità ecologica d’imporsi, preparatevi ad una risposta che potrebbe cogliervi variabilmente impreparati. Poiché massima prerogativa della rana pelosa, nei suoi momenti di maggior pericolo, è rompere intenzionalmente le proprie stesse ossa. Lasciando che una protuberanza acuminata fuoriesca dalla pelle viva dei carnosi polpastrelli. Come altrettanti coltelli a serramanico, perfetti per scoraggiare, ferire o sfregiare gli eventuali nemici. Qualcosa di simile al meccanismo protettivo della salamandra iberica Pleurodeles waltl (vedi articolo precedente) ma in una posizione particolarmente simile a quella di un’arma, giungendo a ricordare stranamente da vicino il supereroe Wolverine. E chissà che non sia simile anche il pessimo carattere, di questa creatura distintivamente territoriale….

La scoperta solamente successiva del notevole funzionamento osseo della rana è facilmente individuabile nella scelta del suo nome latino. Facente riferimento al mero aspetto dei peli maschili, mentre gli artigli pseudo-retrattili sono attestati in esemplari di entrambi i sessi.

Trattandosi in realtà di un meccanismo molto poco studiato, la cui notazione approfondita su un testo scientifico avviene soltanto nel recente 2008, ad opera del naturalista dell’Università di Harvard David Blackburn e colleghi, è importante notare come ogni affermazione in merito alle dita artigliate della T. robustus debba essere presa in considerazione con il giusto senso critico interpretativo. Coesistente allo stato dei fatti, risulta essere anche l’ipotesi di come l’impressionante capacità di colei che prende qualche volta il nome di “rana dell’orrore” derivi da un semplice passaggio della sua maturazione, identificando i relativi “artigli” non tanto a guisa di strumento d’autodifesa, quanto piuttosto al fine di aggrapparsi saldamente a rocce o altri detriti possibilmente facenti parte del loro habitat d’appartenenza. Una propensione classica delle creature che vivono nella corrente, con tutti i vantaggi e problematiche che tendono immancabilmente a derivarne. È stato altresì notata la maniera in cui le sporgenti escrescenze siano effettivamente mantenute in posizione da uno strato di collagene all’interno delle dita, capace di riformarsi in seguito all’intenzionale rottura di quest’ultime, in un tempo breve quanto quello necessario alla cicatrizzazione della pelle esterna. Il che, qualora scientificamente confermato negli anni a venire, qualificherebbe l’eclettico anuro come ancor più prossimo al supereroe precedentemente citato. Benché privo, almeno per il momento, del suo indistruttibile scheletro di metallo figlio della tecnologia umana. Trattandosi di creature notevolmente adattabili e prolifiche, le Trichobatrachus femmina possono vantare la capacità di produrre fino a 200 uova nel corso di un singolo mese, generalmente quelli di Maggio e Novembre che costituiscono l’inizio delle due stagioni delle piogge nella zona equatoriale africana. In agglomerati di 2-23 uova ciascuno, attentamente collocati al sicuro dal maschio, che secondo alcuni troverebbe in questo un’ulteriore utilizzo della sua criniera: come una sorta di pennello, portato strategicamente a contatto col sostrato dove troverà modo di svilupparsi la nutrita prole dei suoi imminenti girini. Ad ogni modo privi d’importanti predatori così come la loro versione adulta, fatta eccezione per la solita questione imprescindibile della caccia per mano dell’uomo. In modo rilevante per il mito diffuso tra le comunità tribali dei Bakossi dell’area di Manengouba, in Camerun dove sussiste la leggenda di una dote speciale posseduta dalla carne di queste rane. Che si crede giungano sulla Terra cadendo dal cielo, come ausilio possibile per le giovani coppie che non riescono a fare figli. Purché siano loro stessi a catturarla e si affrettino a mangiarne le carni entro il termine della giornata in corso. Una tipica connotazione folkloristica di questa tipologia di rimedi.

La limitata quantità di studi portati a termine sull’argomento non hanno comunque impedito l’attestazione della rana pelosa come creatura in buono stato di conservazione, con area d’appartenenza ampia e una densità di popolazione più che sufficiente. Il che non la rende in alcun modo meno affascinante per i suoi occasionali ri-scopritori.

Vivendo e combattendo dunque, non si sa bene contro chi o cosa, la rana pelosa ci ricorda quante possibili strade alternative o soluzioni pratiche sussistano sul tavolo da disegno della natura. In questo caso progettista di entità che devono apportare danni a loro stesse, ogni qual volta il destino dovesse richiedere una spinta oltre il baratro dell’irrisolvibile momento di crisi. O almeno questo è ciò che sembra ragionevole, quando si osserva questo tipo di spietata strategia evolutiva. Se non si vuole sottoscrivere l’idea secondo cui simili entità mostruose possano soltanto derivare da possibili esperimenti genetici possibilmente completati da ingegnosi visitatori alieni. Intenti a dimostrarci come la capacità di abnegazione personale possa costituire un merito del tutto funzionale agli obiettivi di partenza. Oppure in altri termini: dalla necessità, (artigli di) virtù.

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