Lezioni sul metodo per produrre l’impossibile bullone a zig-zag

Considerate, a tal proposito, un “semplice” bullone. Oggetto oblungo dalla forma cilindrica, che poggia invertito sopra la grande testa ottagonale, circondato dalle scanalature tipiche di una tale cosa. Ma c’è qualcosa di molto strano, come scopriamo quando mani operose avvicinano ad esso uno, due, quattro dadi dal color bronzeo, per poi lasciarli cadere grazie alla forza gravitazionale che governa l’eterna danza dei pianeti. Per vederli ruotare prima da una parte, poi dall’altra, poi di nuovo da quella di partenza. Ed ogni volta che invertono la marcia, tutto il sistema assorbe l’inerzia che ne risulta, ruotando per qualche grado nelle due direzioni conseguenti. Semplicemente assurdo.
È la luna nel pozzo, la pietra di paragone. È la gemma del Nilo, l’aeroplano tra i geroglifici, la creatura della cantina. L’oggetto fuori dal contesto che rappresenta, nel novero tangibile degli eventi, un qualche tipo d’interferenza nel continuum spazio-temporale, risultanza della permeabile membrana tra le plurime cellule del multiverso. A cosa serva, nessuno può comprenderlo. Chi l’abbia creato, non è (sempre) facile da capire. Eppure talvolta, quando la congiunzione tra i pianeti risulta essere perfettamente conforme, mentre il progredire di un eclissi avvolge nella tenebra i distratti abitanti della Terra, per qualcuno è possibile estendere le mani oltre i confini dello scibile immanente. Per stringerle attorno all’impossibile, e invitarlo a cena. Metallo, plastica, ingegno ma soprattutto metallo. Poiché questo costituisce, più d’ogni altro materiale, la sostanza che sorregge l’interpretazione produttiva della tecnologia, passata, presente e futura. Trasportato in diverse forme entro il laboratorio del Creatore, che provvederà a plasmarlo nella forma desiderata. E potrebbe sembrare un vezzo transitorio, ma non lo è, perché “Qual è lo scopo?” e “Chi ne sentiva il bisogno?” Costituiscono ormai al giorno d’oggi delle pure domande retoriche, frutto di una visione del mondo retorica e priva di valore oltre la progressione logica dei momenti. Mentre per entrare nel regno della pura geometria divina, tutto ciò che occorre è il coraggio di andare oltre la convenzione. Una webcam. L’attenzione del pubblico al di là della siepe. Oltre, sia chiaro, ad una valida storia da raccontare.
Così Robinson della Robinson Foundry, che è un’officina statunitense dedita all’antica arte di fondere e plasmare l’incandescente sangue siderurgico del mondo, ma anche il titolo del relativo canale su YouTube, si è prodigato attraverso le ultime settimane per portare alle più estreme conseguenze un quesito fin troppo a lungo ignorato. Quello relativo a cosa sarebbe potuto succedere, se al principiar dell’avvitamento finalizzato a un particolare montaggio di componenti, tale aspetto fosse progressivamente sfumato verso… L’orizzonte. Lasciando soltanto lo scheletro del progetto di partenza, ovvero un qualcosa che fosse in grado di girare, girare. Ma con metodologie e un significato logico nettamente divergente. Il che ci porta alla sua ultima proposta, pubblicata il 13 novembre scorso, in cui tutto inizia da un punto netto e logico. Per approdare fino ai più distanti, sconosciuti lidi dell’immaginazione umana. Considerate, a tal proposito, la tipica origine di un componente di giunzione smontabile tra due parti meccaniche, formato da vite e dado o controrivettatura. Che le pregresse puntate dello show televisivo “Come è fatto” ci hanno mostrato provenire da un lungo e spesso cavo metallico, tirato, spianato e fatto rotolare attentamente nel senso longitudinale all’interno di una matrice, poco dopo aver sottoposto il tutto a pressioni inimmaginabili per le scricchiolanti ossa umane. Ma non è in alcun modo possibile far rotolare un qualcosa in entrambi i sensi allo stesso tempo. Per cui l’esistenza di un qualcosa di tanto inusitato deve necessariamente sottintendere un processo di fabbricazione diametralmente all’opposto, per cui ogni considerazione dei costi e del tempo necessari viene posto in subordine, all’eccezionalità ed unicità del risultato finale desiderato…

La precedente vite di Robinson presentava una doppia scanalatura, permettendo essenzialmente la rotazione del bullone in entrambi i sensi. Tale modello, producibile anche tramite metodologie convenzionali (basta usare la stessa matrice due volte) ha già trovato una possibile via di commercializzazione.

Fusione, chiaramente. Poteva trattarsi di null’altro? Immaginate incidere simili scanalature con una macchina di taglio CNC multi-asse (che qualcuno dovrebbe programmare) o il tipo di saldature che servirebbero al fine di assemblare i diversi pezzi di un’ipotetica vite in più componenti… Semplicemente impossibile, come per lo meno in linea di principio, l’unica alternativa. Ma come diceva Sherlock Holmes: eliminata ogni spiegazione metallurgica pregressa, tutto ciò che resta è la creatività del fabbro, per quanto improbabile possa sembrare. Ed ovviamente, beh… Non è che un autore possa includere la parola foundry nel suo nome, senza il possesso di un certo grado di esperienza in materia. Oltre a una piccola fornace in giardino. Calzoni, guanti e tuta protettiva. Seguìti dal crogiolo formidabile delle cause e degli effetti, entro cui s’introduce materiale informe, per dare una forma alla somma e sublime verità. Precedentemente specializzato nella creazione di calchi a partire da creature biologiche, poi ricostruiti fedelmente mediante il metallo inanimato, l’instancabile Robinson ha quindi deciso negli ultimi tempi di dedicarsi alla disanima di questa particolare classe di oggetti, tanto familiari a chiunque abbia mai dovuto montare una sedia da ufficio, o il motore rombante di una fuoriserie. Laddove il processo di produzione, inevitabilmente, finisce per trovare un’origine radicalmente diversa e moderna nella sua specifica concezione. Ed in effetti, ci avevate mai pensato? Perché utilizzare il vecchio metodo della fusione a cera persa, quando si può ottenere lo stesso identico risultato con il PLA perso? Acido polilattico tanto per essere chiari, ovvero una di quelle plastiche comunemente usate nella prototipazione mediante l’impiego di stampante digitale 3D, da cui deriva la più impeccabile forma originaria di riferimento. Quella che dovrebbe essere immersa, nella progressione classica di quest’arte, all’interno di una cassetta di sabbia argillosa chimicamente arricchita, come la tipica Petrobond usata ogni giorno dalla maggior parte dei fonditori di YouTube. Ciò detto è palese che una lavorazione dal basso grado di tolleranza, come quella necessaria per la creazione di un bullone funzionante a tutti gli effetti, necessiti di un livello di precisione superiore. Ragion per cui l’autore impiega nel caso specifico un’alternativa decisamente più moderna, quella risultante da una resina di tipo ceramico a presa rapida (nome commerciale: Suspendaslurry) capace di resistere facilmente alle alte temperature. Una volta immerso più volte il modello della vite e un apparato intercomunicante contenente l’intera collezione dei suoi dadi nel secchio di color verde pistacchio, al fine di ottenere una copertura spessa ed uniforme, Robinson provvede quindi al secondo imprescindibile step: l’inserimento in un forno di cottura, attraverso il quale ogni traccia o residuo di plastica verranno fatti fuoriuscire dagli appositi canali di scolo, creando il vuoto all’interno dell’oggetto di riferimento. Attenzione particolare, a questo punto, viene riservata all’effettiva materia prima da impiegare nella produzione dell’oggetto, derivante da precise quantità di rame, stagno e antimonio, ingredienti necessari alla creazione della lega metallica nota come peltro. Portata al calor rosso, quindi trasformata allo stato semi-liquido, grazie al quale potrà essere versata all’interno delle forme in ceramica per poi essere portata a progressivo raffreddamento.
Detto, fatto? Non proprio: lo stesso Robinson spiegherà, a questo punto, quanto possa essere spesso difficile tirare fuori il componente dall’involucro di fusione, operazione nella quale può risultare determinante l’impiego di una macchina di sabbiatura. Sebbene nulla possa essere ottenuto, senza il giusto grado di fatica ed impegno personale. Neppure l’ineffabile e strabiliante vite a zig-zag.

L’origine di tutte le cose, ovvero la spirale: giacché il bullone più efficiente del mondo dovrebbe poter tenere le creature dell’oceano al sicuro da ogni possibile pericolo o rapimento. E riuscirebbe, in ultima analisi, a salvare il mondo.

Osservando il ricco catalogo di video pregressi disponibili sul canale della fonderia, appare come pura evidenza il processo creativo di un fabbricante insoddisfatto dalla semplice risposta alle tipiche esigenze del quotidiano. E che facendo seguito alla fervida creatività del suo modo di essere, ha voluto introdurre nel mondo qualcosa che nessuno aveva mai realizzato prima di questa Era. Nel mondo venale di Internet, d’altra parte, ogni oggetto fuori dal contesto diventa quello di cui, fondamentalmente, aveva sempre posseduto il potenziale: un gadget dai notevoli presupposti di commercializzazione. E non è un’esagerazione formale far notare come, nei commenti a ciascun video pertinente, molti siano pronti a promettere un rapido acquisto, qualora tali orpelli dovessero fare il proprio ingresso nello scintillante mondo della produzione in serie. Come il professore di scuola che vorrebbe una vite simile per dimostrare in aula il funzionamento dell’inerzia rotativa, o il semplice fan interessato al concetto di una versione “fidget-sized” (a misura di balocco anti-stress) da usare nelle lunghe e noiose giornate d’ufficio. Il che d’altra parte, già il novembre scorso, era successo per la precedente invenzione di Robinson, la vite-a-due-sensi trasformata in una stravagante penna da prenotare sul portale Kickstarter al prezzo di 79 sterline.
Già, triste realtà del mondo: se non sarai tu a farlo, ci penserà qualcun altro. E non ci sono contromisure abbastanza efficaci, per impedire che il fulmine fuoriesca dalla bottiglia. Soltanto pentole prive di coperchi. Sopra travi che mai nessuno, purtroppo, ha trovato il modo d’inchiavardare al ponte.

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