Un tunnel per accorciare le coste della Norvegia

Tutti ce l’hanno bene impressa nella mente. Oppure basta un breve sguardo a una cartina dell’Europa, per rinfrescarsi immediatamente la memoria: oltre la sommità della massa del continente centrale, sopra i confini della terra peninsulare che ha il nome di Norvegia, una costa favolosamente frastagliata, composta d’insenature profonde e diseguali tra loro. Sono queste i fiordi, caratteristica del paesaggio scandinavo ancor più rappresentativa dei monti e delle strade innevate, dovuti al formarsi ed al successivo scomparire degli antichi ghiacciai. Un soggetto privilegiato per cartoline o fotografie… Non a caso, il servizio locale di trasporto navale, la compagnia Hurtigruten, è stata a volte definito come titolare del “Più bel percorso marittimo al mondo”. Ed anche un ostacolo ai viaggi tutt’altro che indifferente, con il susseguirsi d’insenature, penisole e promontori, gettati come fortificazioni di un castello imprendibile verso i mari semi-congelati del Nord. Persino in questo scenario problematico per definizione, tuttavia, c’è un particolare punto che comporta, in funzione della particolare conformazione dei fondali, delle condizioni climatiche e l’andamento delle correnti oceaniche, uno status potenzialmente deleterio e particolarmente rinomato. Sto parlando della penisola di Stad, nella contea di Sogn og Fjordane. Il problema di questa sottile lingua di terra, che si protende verso l’esterno nella sezione di costa che divide le città di Bergen ed Alesund (rispettivamente 270.000 e 40.000 abitanti) è che essa non presenta, diversamente dalle formazioni paesaggistiche simili che gli fanno seguito a settentrione ed a meridione, alcuna isola antistante, in grado di smorzare la furia dei venti e del mare. In conseguenza di ciò il tratto di mare che la circonda, attraversato da innumerevoli rotte commerciali, viene battuto da circa 100 giorni di tempeste l’anno, restando comunque pericoloso per la parte restante di un completo ciclo stagionale. Pensate che persino i vichinghi, quei fieri e feroci uomini di mare, pirati intraprendenti ed impareggiabili esploratori, piuttosto che doppiare questo braccio di mare preferivano arenare le loro lunghe navi, caricarsele a spalla e portarle oltre i circa 2 Km che fanno da barriera tra le due insenature.
Le statistiche, del resto, parlano fin troppo chiaro: dall’epoca della seconda guerra mondiale, in questo luogo si sono verificati 46 incidenti, con un totale di 33 morti. E le cose potevano andare molto, molto peggio: nel 2004 sfiorò il naufragio una nave traghetto con 161 persone a bordo. Sarà a questo punto chiaro, senza ombra di dubbio, che ci troviamo di fronte a un rischio tutt’altro che fantasioso. Il che ci porta alle ragioni del sogno, dell’invenzione ingegneristica ed un possibile, ormai probabile futuro del concetto stesso dei trasporti norvegesi. Che cosa potremmo mai sperare di fare, in effetti, contro le condizioni ostili dello stesso paesaggio? La risposta è semplice, quanto universale: scavare. In una maniera specifica del tutto priva di precedenti, tranne quelli di cui, in effetti, si è lungamente parlato proprio a proposito di questi luoghi. Questa strana reinterpretazione del concetto di un mini-canale di Panama, però sotterraneo, non è del tutto nuova, essendo stata descritta per la prima volta nel 1874 nel giornale Nordre Bergenhus Amtstidende, assieme all’ipotesi ancora più improbabile, ma certamente meno costosa, di modernizzare e standardizzare l’antica soluzione vichinga, mediante l’impiego di una ferrovia in grado di sollevare e trasportare gli scafi da un’estremità all’altra della penisola di Stad. La ragione per scegliere approcci tanto particolari è da ricercarsi nell’ulteriore problematica di un tale luogo, in cui l’elevazione dal livello del mare raggiunge i 300 metri, rendendo l’apertura di un passaggio convenzionale risulta decisamente ostica, per non dire semplicemente contraria al concetto stesso di economia realizzativa. Che diciamo la verità… Nel presente caso, non doveva proprio essere al centro delle preoccupazioni degli enti governativi preposti. La versione moderna di questo concetto, i cui lavori potrebbero partire già entro il 2018, funzionerà così…

Tecnici e ingegneri testano una versione in scala del tunnel all’interno del bacino di simulazione della Marintek, a Trondheim. Il fatto che il tutto assomigli ad un gioco coi modellini nella vasca da bagno, è endemico nonché puramente incidentale.

Ora, il punto che siano già esistiti, in passato, dei tunnel per le barche, non riduce in alcun modo la portata innovativa dell’impresa dei norvegesi. Il predecessore più convenzionalmente individuato del tunnel di Riqueval, 5.670 metri scavati su ordine di Napoleone in persona, per far passare il canale di Saint-Quentin fra Chauny e Saint-Simon, ad esempio, non supera di molto la larghezza di 5 metri e una profondità di appena 3/4, appena sufficiente per le speciali imbarcazioni concatenate usate per percorrerlo da un’estremità all’altra. Mentre il tunnel di Stad, lungo circa 1800 metri, avrà un’altezza di 45 metri e una larghezza 36, sufficiente a far transitare anche le più imponenti navi passeggeri della Hurtigruten. Battuto in corrispondenza di entrambe le aperture dalle onde decisamente insistenti dell’oceano, dovrà inoltre rispondere a caratteristiche strutturali dalla particolare solidità, richiedendo accorgimenti particolari nelle sue metodologie di costruzione. Le prove idrometriche effettuate presso il bacino Marintek, in particolare, hanno dimostrato il formarsi di un considerevole “effetto squat” consistente nella formazione di una corrente discendente all’interno delle acque del tunnel, dovuta alla forte concentrazione di grandi masse d’acqua all’interno di uno spazio chiuso e ben definito. La maggiore concentrazione d’acqua ai lati e sotto la chiglia, dunque, porterà lo scafo ad immergersi più in profondità. Proprio per questo, il pescaggio del canale dovrà essere di ben 12 metri, ovvero molto superiore a quello di un canale di simili dimensioni e caratteristiche. Qualcosa di già problematico, senza neppure prendere in considerazione le molte tonnellate di terra roccia che dovranno restare ordinatamente sospese sopra il passaggio per l’interezza della sua lunga, lunghissima vita operativa. Eventuali turbolenze trasversali, invece, non sembrerebbero essere un problema particolarmente significativo, con soltanto una parte minima dei test effettuati che si sono dimostrati in grado di portare i modellini navali a dover fare affidamento sui loro ammortizzatori laterali.
Per quanto concerne lo scavo, esiste già una procedura ipotetica, consistente nel far saltare con l’esplosivo una prima parte all’altezza del tetto del tunnel, che verrà quindi immediatamente ricoperta di shotcrete, ovvero il sistema da calcestruzzo proiettato, un materiale a presa rapida in grado di dare solidità a grandi massi di terra, ancora prima che possano formarsi le ragioni di un ipotetico crollo. Quindi l’apertura dovrà essere bloccata con una diga temporanea del tipo cofferdam, al fine di evitarne l’allagamento prematuro, mentre grossi equipaggiamenti da scavo e pesanti camion si occuperanno di approfondire il buco, raggiungendo le viscere stesse della montagna. È stato calcolato che per portare a termine lo scavo del tunnel, dovranno essere rimossi all’incirca 32 miliardi di metri cubici di terra e pietra, mediante l’impiego di un sistema di trasporto con chiatte dedicate alla specifica mansione. La manodopera richiesta per il lavoro propriamente detto, invece, dovrebbe aggirarsi sulle “sole” 80 persone in media, che ottimisticamente riusciranno a portare a termine l’opera entro un periodo di circa 4 anni.

Questa simulazione al computer di un attraversamento del tunnel da un’idea piuttosto chiara delle sue caratteristiche. Un’opera non lunghissima in termini generali, ma estremamente alta ed ampia. In termini di spazio ricavato, assai probabilmente, il tunnel più significativo della storia.

Non mancheranno, ovviamente, apparati di tipo turistico, come i due ponti previsti sopra le aperture del tunnel, affinché i turisti possano osservare in prima personale le navi in avvicinamento. Ma non, a quanto è stato già preventivamente specificato, le stesse nel momento dell’effettivo passaggio, per il timore che oggetti possano esservi gettati sopra da un’altezza di oltre 30 metri. L’unico potenziale ostacolo, la casa sopra la scogliera di un coraggioso abitante locale, dovrà inoltre essere demolita. Ma gli ufficiali governativi hanno già stabilito un canale di contatto con costui, con una probabile offerta economica molto competitiva, e si dicono ottimisti nella risoluzione di questo ultimo ostacolo al piano di fattibilità.
Il ciclopico tunnel , da un costo stimato di 1,7 milioni di kroner (223 milioni di euro) dunque, è stato già approvato nel piano nazionale di bilancio per i trasporti norvegesi, ed a meno di nuove significative problematiche, dovrebbe partire entro i tempi prestabiliti. Rappresentando, sostanzialmente, l’ultimo capitolo nell’ormai leggendaria serie d’infrastrutture edificate da questo paese, principale produttore di petrolio europeo e proprio per questo, andante incontro all’esigenza di investire per quanto possibile onde scongiurare un’aumento inappropriato dell’inflazione. Che differenza, con l’austerity che vige tra gli altri confini del suo continente! Sia chiaro che non si tratta, ad ogni modo, di un semplice capriccio: certo, navigare in un canale comporta sempre una riduzione di velocità. E il tempo necessario a doppiare la penisola di Stad, proprio per questo, non sarà sensibilmente ridotto. Questo, del resto, non era mai stato lo scopo dell’idea: punto primo, il tunnel diminuirà il rischio d’incidenti. E punto secondo, permetterà alle rotte commerciali di procedere in modo più prevedibile, senza dover sostare per l’ostacolo delle sempre più frequenti tempeste del grande settentrione. Niente male come approccio per contrastare il mutamento climatico, che ne dite? Il vecchio Dente-Blu ne sarebbe andato di certo fiero. A patto che là sotto, fra l’acqua turbinante, i granchi famelici e il duro cemento, continuasse a prendergli lo smartphone.

Lascia un commento