La scalata molto semplice di una rarissima cascata appiccicosa

Ogni luogo mediamente interessante, qualsiasi attrazione turistica fuori dai percorsi maggiormente frequentati, troverà menzione sulle guide accompagnato da una storia singolare o leggenda folkloristica di un qualche tipo, al fine di aumentarne il fascino per i visitatori. O almeno, ciò è la prassi, se possibile. Ovvero quando ne sussiste il presupposto. Ma nel raro caso in cui la situazione sia fuori contesto, senza possedere un fascino pregresso per il corpus mitologico locale, ogni antefatto diventa possibile, qualsiasi mito può fornire giustificazione. Come la cascata di rocce bulbose eppure stranamente ruvide, che da molti anni attira l’attenzione della brava gente di Chiang Mai. E almeno a giudicare dalle recensioni online, l’occasionale turista giunto sin qui da molto, molto lontano.
Dunque, vediamo… Erano gli ultimi anni del XII secolo, quando il sovrano thailandese del regno settentrionale di Lanna, Chiang Hung, decise di spostare la sua capitale. In una posizione altamente strategica lungo il corso del fiume Ping, uno dei principali tributari del sacro Chao Praya. Saggi, filosofi e uomini di chiesa accorsero tra le sue alte mura, per poter beneficiare della protezione data da una legislatura ferrea e ragionevole. Ma qualcos’altro assai probabilmente, sotto il corso dell’antico corso d’acqua, ebbe una reazione di natura differente: era il popolo semi-divino dei Naga, esseri metà umani, metà serpente.
In un giorno primaverile di quel particolare risvolto storico, la cui datazione resta doverosamente incerta, il monaco buddhista Mun Bhuridatta si trovava quindi a camminare lungo i margini della foresta, quando vide un’ombra farsi avanti in mezzo all’ombra dei cespugli. Dopo un’attimo di esitazione, il sant’uomo riconobbe, dalla gemma incastonata sulla fronte, l’identità della creatura: egli era Nakburi, re dei Naga, che aveva temporaneamente rinunciato ai suoi poteri per far visita alle terre degli umani. “Oh, mio sfortunato compagno nell’infinito ciclo di sofferenza e rinascite del ssssaṃsāra” Articolò la creatura vagamente antropomorfa, ricoperta da splendenti scaglie sino all’attaccatura dei lunghi capelli neri: “Sappi che in questo momento, sono inseguito da uno stormo di garuda, nemici giurati del mio popolo.” Quasi a sottolineare le sue parole, uno spaventoso richiamo simile a quello di un corvo, ma dieci volte più forte, risuonò sulla distanza in mezzo agli alberi della foresta. “E che tu, ormai, sei l’unica persona in grado di aiutarmi.” Bhuridatta si guardò attorno, quasi a sincerarsi che un simile discorso non fosse rivolto a qualcun altro. Ma il silenzio in mezzo alla radura era pressoché totale, fatta eccezione per lo scroscio non troppo distante di una piccola cascata. Ora, i Naga potevano difendere il regno degli umani o trasformarsi in presenze dispettose, talvolta persino malevole ai danni di chi non voleva rispettare le antiche tradizioni. E negli ultimi tempi, più di un mercante straniero era scomparso sulla strada della porta principale della capitale Chiang Rai. Ma chiudendo brevemente gli occhi, al monaco tornò in mente il principale insegnamento del suo Buddha e l’importanza della legge universale del karma. Dunque disse, all’interlocutore sovrannaturale: “E sia.”
Le fronde parvero fermarsi nonostante la lieve brezza, mentre l’uomo-serpe, con un lampo di luce, iniziò a cambiare forma. Diventando più piccolo, quindi iniziando ad allungarsi. In pochi secondi, dinnanzi allo sguardo incredulo del monaco, figurò soltanto la riconoscibile e precisa forma del cobra reale, con le fauci aperte e la lingua biforcuta ancora in grado, misteriosamente, di articolar parola: “Bene, perfetto. Ora non ci resssta che dirigerci in un luogo alto…”

Leggi tutto

L’incredibile trasformazione di uno stadio nel giro di sole 67 ore

Un timelapse come questo, orgogliosamente pubblicato sul canale dello stadio più importante d’Olanda, sono pronto a scommettere che non l’avevate mai visto. Pubblicato l’estate scorsa ma riferita ad un evento ancora precedente, durante il quale un tale ambiente venne utilizzato, nello spazio di soli tre giorni, per una tappa del tour-revival degli U2 Joshua Tree e un’importante partita della Champions League, finita in un pareggio 2-2 tra le più celebri squadre di Nizza e la città locale. Può in effetti sussistere la più perfetta comunione d’intenti, l’obiettivo di trovarsi assieme un pomeriggio, piuttosto che a tarda sera, con lo scopo di ridare vita ad amicizie ormai dimenticate o rivivere i bei tempi della scuola o i campi di calcetto pre-adolescenziali… Eppure non è facile, secondo le precise regole del calendario, riuscire a mettere tutti d’accordo sulle condizioni di un simile incontro. Come, quando e soprattutto in quale luogo: tutti assieme al ristorante? Magari al cinema? Presso un parco pubblico del centro cittadino? Impegni di lavoro o familiari, problemi di viabilità, disponibilità di mezzi e circostanze, contribuiscono ad allontanare un simile raduno. E immaginate adesso di dover fare lo stesso per un gruppo di 68.000 anime distinte, ciascuna con le proprie preferenze, desideri e priorità. Per lungo tempo gli organizzatori per definizione, quel tipo di figure in grado di fornire grosse prospettive di guadagno, hanno cercato di pianificare negli stadi la tipologia d’eventi in grado di mettere tutti d’accordo, o quasi. Ma non c’è stato verso: c’è chi di sport, proprio non s’interessa. Ed altri che aborriscono i concerti, in quanto espressione cacofonica di un aurale susseguirsi d’emozioni, ascoltabile senza fatica dagli altoparlanti del proprio sistema Hi-Fi. Gretti gli uni, privi di ambizione i secondi, potrebbero chiamarsi vicendevolmente! Se non fosse che le due visioni possono coesistere, dietro un’adeguato impegno di tangenti metodi risolutivi.
O almeno, possono in un luogo come il Johan Cruyff col suo tetto apribile a comando, al secolo Amsterdam ArenA, principale e più moderno impianto sportivo della città nonché residenza dell’AFC Ajax, squadra dalla lunga storia e ancor più estesa lista di rivalità sportive. Terminato di costruire nell’ormai remoto 1996 a un conveniente costo equivalente a 140 milioni di euro e rinominato giusto lo scorso anno in onore del leggendario calciatore e coach Johan Cruyff (1947-2016) tra i principali fautori della corrente nota come Total Football, secondo cui un giocatore dovrebbe essere in grado di ricoprire qualsiasi ruolo nel proprio team. Stadio concepito sin da principio sulla base di un concetto sopra ogni altro, anacronistico a quei tempi: l’assoluta versatilità. Il che voleva dire, a partire dall’inaugurazione condotta il 14 agosto di quell’anno con la partecipazione della regina Beatrice in persona, che potesse transitare dallo stato di un poetico balletto con navi bidimensionali trascinate sul colossale dipinto orizzontale De Zee (Il Mare: 80 x 126 metri, tutt’ora un record senza pari) all’ordinata e semi-perfetta erba per il match inaugurale tra la squadra di casa e il Milan…Che fu vinto 3-0 da quest’ultimo, ma questa è tutta un’altra storia. Ciò mediante una serie di particolari accorgimenti, tra cui l’impiego di uno speciale sistema di pavimentazione rimovibile d’alluminio nota per l’appunto come ArenA panels, semplici e accessibili vie di fuga laterali per i materiali di supporto e soprattutto, l’impiego di organizzazioni e fornitori sempre pronti a intervenire, con il minimo preavviso, per assecondare i desideri dell’azienda di gestione Stadion Amsterdam N.V…

Leggi tutto

Coraggiosi avventurieri di un oceano andato incontro a pietrificazione

“Terra all’orizzonte, terra!” Il grido che riecheggia sulla tolda, dalla piattaforma sulla cima dell’albero maestro. Gioia, giubilo e altre simili reazioni; la conferma molto attesa della meta finalmente prossima, al termine di un viaggio lungo e certe volte, articolato. Può sussistere del resto il caso, all’incontrario, che una simile evenienza possa dimostrarsi meno lieta? Il risveglio preoccupante di quel senso d’inquietudine, per non dire vera e propria ansia, che deriva da un qualcosa che semplicemente non può essere, se non rinunciamo alle nozioni della mera verità acquisita… Certamente! Se vogliamo usare il mero oggettivismo della logica e del resto, eccone una chiara prova. Registrata, caso vuole, a partire dal momento in cui lo yacht-catamarano ROAM presso l’isola di Vava’u a nord di Tonga nel Pacifico Meridionale, ha pubblicato alle ore 19:00 locali del 15/8/19 il proprio aggiornamento quotidiano di navigazione online: “Incontrata una distesa di rocce di pomice che ricopre completamente l’oceano, posizione: 18 55′ S 175 21′ W. La dimensione varia da quella di una biglia ad una palla da basket […]” Per poi proseguire con la descrizione di un lieve odore di zolfo nell’aria e, nel successivo aggiornamento, l’appassionante descrizione di come Michael e Larissa Hoult, dopo aver spento motore per salvaguardarlo e navigando quindi soltanto a vela, erano riusciti a dirigere la propria prua in un’altra e più sicura direzione. Una scelta saggia, ma non l’unica possibile. Come ampiamente dimostrato dal qui presente video di un’altra imbarcazione privata, quella di Shannon Lenz e Tom Whitehead, la cui registrazione video mostra chiaramente l’esperienza vissuta da chiunque, per sua scelta o mera distrazione, fosse sufficientemente “pazzo” o scientificamente interessato, da accettare a pieno l’impossibile occorrenza. O avesse voglia di veder scrostato il proprio scafo dai cirripedi, senza dover spendere un singolo dollaro presso il suo successivo porto d’approdo.
La zattera di pomice, come viene definita tradizionalmente questa tipologia d’isole galleggianti, è in effetti un evento di tipo vulcanico, generato in questo caso da un monte sottomarino precedentemente ignoto e tutt’ora privo di un nome. Causata dalla fuoriuscita di una certa quantità di magma lavico dall’alto contenuto di silicio e rioliti, rapidamente raffreddatosi alla giusta profondità. Non troppo elevata, perché le rocce conseguentemente riempitosi di gas più leggeri dell’acqua potessero riempirsi totalmente come fossero spugne, precipitando eternamente verso le più oscure profondità. E permettendogli di andare, dunque, in direzione opposta, fino alla splendente superficie che s’increspa per effetto delle onde. Una vista certamente non del tutto priva di precedenti e registrata, proprio in questo luogo in bilico sul perimetro disegnato dal celebre anello di fuoco del Pacifico, varie volte tra il 1979 e il 1874 e di nuovo nel 2006, quando l’effimera isola risultante venne battezzata per l’occasione Home Reef, prima che tornasse a scomparire nuovamente tra i flutti e dopo essere stata ampiamente documentata, anche allora, dall’equipaggio di uno yacht privato. Un caso più recente di emersione risulta nel 2012 vicino all’isola di Raoul, nord-est della Nuova Zelanda. In nessun modo grande, tuttavia, quanto l’episodio commentato questa volta anche dalla Nasa, impegnata proprio in questi giorni nel progetto di rilevazioni satellitari oceaniche condotta dal satellite Operational Land Imager (OLI) capace d’individuare i confini di uno spazio grigio quantificato con la tipica misura statunitense di “campi da football” in quantità di 20.000. Abbastanza da ospitare un campionato o due…

Leggi tutto

Spade roteanti e il ballo di un popolo che ancora impugna le sue tradizioni

Ha un tono generalmente conforme allo stereotipo del nazionalismo russo, questo lungo montaggio composto su YouTube da una serie di esecuzioni popolari, professionali e amatoriali di un affascinante metodo per eseguire evoluzioni con una oppure due sciabole šaška, la spada curva da cavalleria, famosamente impiegata dai soldati cosacchi a partire dal XIII secolo e per le molte sanguinose battaglie combattute attraverso il tardo Medioevo e buona parte dell’epoca Rinascimentale. Riconfermato sulle note orecchiabili e vagamente fuori contesto di Oisya, Ty Oisya, tradizionale canzone di battaglia che inneggia alla libertà, composta durante la lunga guerra del Caucaso nel XIX secolo, combattuta tra le nazioni di Russia e Circassia, tragicamente culminata con lo sterminio e la deportazione dei secondi, seguita da una delle prime e più importanti diaspore dell’era moderna. Il che dimostra, ancora una volta, quanto Internet sia funzionale nel restituire impressioni o informazioni non del tutto corrette: figurano in effetti, nella surreale rassegna, alcuni artisti marziali con l’acconciatura, i costumi e le movenze del popolo guerriero della steppa, nato a partire dalle popolazioni tatare divenute stanziali nel settentrione dell’Ucraina, benché risulti assolutamente fondamentale notare come sia la specifica arma impiegata, sia il concetto stesso d’impiegarla come uno strumento per disegnare impressionanti traiettorie danzanti, derivino effettivamente proprio da quel popolo degli Adighé, così duramente perseguitati nella loro terra natìa identificata nel poema degli Agonauti come Colchide, punto di arrivo per tanti commerci ed interscambi culturali con il Mondo Antico del territorio europeo.
Si è del resto soliti affermare, in quel particolare contesto geografico, come in Circassia vita e danza fossero sinonimi e la famosa tradizione battagliera di quel popolo, sostanzialmente speculare a quella dei più globalmente celebri Cosacchi, fosse solita sconfinare sopra il palcoscenico, d’infinite esibizioni giudicate sino all’era del conflitto egualmente adatte al campo marzio, i teatri signorili e le occasioni conviviali del popolo, nella sua completa collettività. Un susseguirsi di scenari messi in musica, talvolta provenienti dalla tradizione letteraria delle Saghe di Narti, potenziale origine remota, secondo una particolare interpretazione filologica, della leggenda e le celebri imprese di Re Artù. E non solo, data l’espressione quasi mistica, e il mero senso di coinvolgimento, che poteva scaturire dalle movenze attentamente codificate di quell’arma tradizionalmente chiamata “lungo coltello” pur essendo nella sua terra d’origine circassiana ancor più lunga e pericolosa della versione successivamente “presa in prestito” dai principali sostenitori esterni dell’imperialismo russo coévo. Ed in effetti sono diversi esecutori, tra i “cosacchi” che compongono il montaggio di YouTube, a indossare il riconoscibile abito del guerriero Adighé, nero dal cappello agli stivali, con la temibile bandoliera di coltelli da lancio al fianco e almeno in un caso, le cartucce di polvere da sparo pronte per l’inserimento in un moschetto dalla foggia presumibilmente magnifica ed ornata. Ma è una mera ed ulteriore implicazione affine al mezzo digitale, il fatto che inoltrarsi in questo mondo per comprendere, più a fondo, le precise implicazioni di una tale sovrapposizione, richieda solamente una rapida ricerca su Google…

Leggi tutto