La surreale ferrovia che affiora dalle acque di un lago rosa in Siberia

Prezzo del biglietto inusitato, una stazione per lo più invisibile e l’ideale manifestazione di un concetto inquietante. Ultima fermata: quinta o sesta dimensione. Luoghi in cui le regole non contano e immediatamente tendono a sfumare cose come “sopra” & “sotto”, “asciutto” & “bagnato”. Poiché cosa sono dopotutto due dozzine di ruote affiancate, in quello che costituisce nel mondo tangibile la percorribile rotaia verso un obiettivo non del tutto chiaro? Se non millepiedi anfibi, in grado di procedere la dove ferro battuto, e placide lamiere rivettate, non si sono mai potute spingere prima di questo momento. Purché tale forcella temporale sia fatta partire dalla data non recente del diciannovesimo secolo. Quando al lago Burlinskoye, affettuosamente detto Bursol, iniziò ad essere impiegato il treno. Lo strumento niente meno che ideale, per condurre un team di utili raccoglitori fino al punto di rivalsa, in merito alla problematica carenza di sale per condire i piatti preferiti dello Zar. O sua versione femminile; s dice d’altra parte che la stessa Caterina II, già un secolo prima di tale data, potesse tollerare unicamente tale condimento quando estratto dal presente specchio d’acqua, della misura di 31,4 Km quadrati situato a nord-ovest della città di Slavgorod, nella regione di Altai. Un sito dalle molte caratteristiche insolite, tra cui una profondità generalmente inferiore al metro e mezzo, e raramente superiore ai due. Condizione assolutamente ideale, in altri termini, per far passare sotto l’acqua i binari. Sotto l’acqua come nella scena più famosa della Città Incantata di Hayao Miyazaki, in cui il famoso animatore fa salire la bambina protagonista sul convoglio rosso fuoco che pare spostarsi in mezzo alle onde. Ma in realtà poggia molto probabilmente su un sentiero simile a questo, reso del tutto invisibile dalla finzione scenica del cartone animato. Eppure neanche tale fervida mente creativa avrebbe mai pensato di arrivare a tanto, tingendo l’acqua nell’inquadratura del colore che i russi tendono a identificare con il termine малина (malina) la cui traduzione è per l’appunto, lampone. Per la classica difformità cromatica che tende a caratterizzare tanti laghi carichi di sodio ed altri minerali, sebbene qui la causa di una tale caratteristica appaia essere di un tipo per lo più stagionale. Visto come ogni anno, sia soprattutto tra i mesi di luglio ed agosto che il colore emerge misteriosamente dalle acque, destinate a ritornare trasparenti al sopraggiungere del mese ulteriore. Per noi, qualcosa d’incredibile. Per chi abita da queste parti, un segno come un altro dell’arrivo dell’autunno, solito momento grigio e malinconico del calendario…

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I baffi dell’alchetta cavernicola che pesca oltre i confini del mondo

Lo stormo che si eleva sul paesaggio tenebroso, successivamente all’ora del tramonto del sole. Ali oscuri per oscuri presagi, come amava ripetere qualcuno, soprattutto se di un tipo membranoso accompagnato dal caratteristico squittente verso d’ecolocazione pipistrellesca. Ma il signore della notte, forma alternativa del vampiro, non è il solo membro di un gregario gruppo di volatili che cercano soddisfazione successivamente alle ore tarde dell’estendersi pomeridiano del mondo. Poiché ci sono esseri, all’estremo capo dell’estensione territoriale dei continenti, la cui organizzazione oraria potrà anche essere simile, ma per il resto si conformano a uno stile di vita maggiormente conforme al mare e le sue regole imposte nei confronti di ogni essere vivente, volatile o meno. Lontanissimi parenti, se vogliamo, dei più comuni e inconfondibili gabbiani, soavi mangiatori dei minuti ed ogni pesce che si trovi per casistiche malcapitate ad incrociare il loro sguardo assassino. Ma anche: spazzatura, resti di cibo, pezzi di panino da sottrarre in modo pressoché diretto dalle mani degli avventori umani. Tutti ausili alla sopravvivenza che non fanno parte del sentire delle alchette, soprattutto per il loro areale esteso ma ben definito, che le colloca primariamente su una parte dell’arcipelago delle Aleutine, ad oriente della Siberia con particolare concentrazione presso le isole Komandorskie o “del Comandante”, patria di oltre un milione di uccelli generalmente distribuiti in ampie colonie interspecie. Eventualità accertata, entro una certa misura, anche per l’Aethia pygmaea assieme a sua cugina l’Aethia cristatella (di cui un precedente articolo) sebbene entro i confini ragionevoli di soluzioni quotidiane essenzialmente distinte. Ciò in quanto la seconda e ben più piccola membra dello stesso genere, come esemplificato dai chirotteri di paragone sopra menzionati, condivide la stessa nicchia ecologica ma non l’agenda, causa la propria appartenenza al novero piuttosto vario degli animali notturni. Un valido approccio, se vogliamo, al passare inosservata per quanto possibile dall’aggressivo sguardo dei predatori, accorgimento particolarmente utile per un uccello di appena 37 cm di apertura alare e 135 grammi di peso. Sebbene presenti il notevole problema evolutivo di come fare, ad ogni termine dei propri voli esplorativi e di foraggiamento, a navigare senza luce negli angusti pertugi dei propri tunnel lavici o pertugi del ghiaione, se non veri e propri passaggi verso il sottosuolo delle circostanze, ove preferiscono stabilirsi nel periodo di riproduzione e non solo. Ma poiché la natura non può essere chiamata in alcun modo, se non straordinariamente ed implacabilmente creativa, nel caso dell’alchetta ciò è un segreto che può essere chiarito in modo molto semplice tramite l’osservazione. Di quel volto inconfondibile e striato, impreziosito non soltanto dalla stessa cresta della controparte sin qui citata, ma una stravagante collezione di piume arcuate simili ad antenne d’insetto. Sensibili ed attente, come le vibrisse tattili del gatto…

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Il filtro naturale del più grande lago russo sta morendo e gli scienziati non riescono a capirne la ragione

Un luogo accogliente, pacifico, biologicamente significativo. Il vasto Baikal, la cui forma e disposizione ricorda quella di un più piccolo Giappone disegnato dalle coste (ma non poi COSÌ piccolo) viene giustamente identificato come il gioiello della Siberia, e non per un mero intento di accomunarlo ai grandi spazi acquatici dell’America settentrionale. Lungo 640 Km, il doppio del lago Ontario, ma largo soltanto un terzo di questi e quattro volte più profondo del Superior, esso costituisce una finestra privilegiata sui trascorsi evolutivi di una vasta gamma di creature, grazie alla relativa distanza da significativi centri abitati e l’utilizzo per un’industria del turismo esclusivamente a conduzione familiare, sebbene la seconda di queste circostanze sia soggetta a un potenziale mutamento negli anni a venire. Molto pochi in tutto il mondo, d’altra parte, sono i bacini acquatici che possono vantare lo stesso livello di purezza ed indice di trasparenza, tale da produrre l”illusione, per i suoi bagnanti e/o pattinatori dei mesi invernali, di trovarsi magicamente sospesi tra la terra ed il cielo. Non che sia troppo evidente, agli occhi di costoro, l’effettiva base alla radice di un simile vantaggio, frutto dell’opera instancabile di una particolare classe di creature: le circa 15 varietà di spugne cornee (o silicee) del genere Lubomirskia, la cui estensione del proprio areale corrisponde essenzialmente a uno specifico contesto geografico, che potremmo identificare per l’appunto come i precisi confini del principale lago siberiano. Come esemplificato anche dalla specie più comune e approfondita dalla scienza, definita per l’appunto in lingua latina L. baikalensis, nota per la sua notevole capacità di filtraggio pari a svariate decine di litri al giorno per ciascuna piccola colonia sessile di questo distintivo rappresentante del regno animale, non più vasta complessivamente di 5-7 cm. Un tipico esempio del phylum porifera, proprio per questo privo di organi, cervello, nervi o sistemi di circolazione propriamente detti, trovandosi a fare affidamento in modo pressoché totale al solo mesoilo (o mesenchima) membrana gelatinosa incapsulata tra due strati di cellule polifunzionali interdipendenti. In altri termini tutto il necessario per fagocitare i microrganismi presenti all’interno dell’acqua stessa, fatta entrare dalla base della creatura e risputata dall’apertura in cima detta osculum (piccola bocca) emulando spontaneamente il funzionamento di una classica ciminiera dell’epoca industriale umana. In un processo coadiuvato, nel caso da noi preso in esame, dall’aiuto di nutrite colonie di batteri simbiotici connessi alla sopravvivenza della spugna, capaci di rendere ancor più stretto il rapporto inscindibile tra condizioni ambientali e futuro biologico della suddetta creatura. Fino alla problematica situazione, notata per la prima volta nel 2016 da diversi studiosi d’importanti istituzioni scientifiche russe, di una grave condizione fisica con diffusione a macchia d’olio, capace di essere riassunta con il progressivo liquefarsi e conseguente decesso di intere famiglie di queste spugne. Un problema le cui ramificazioni e implicazioni ad un livello ecologico risultano, tutt’ora, assai difficili da sottoporre ad alcun controllo di tipo preliminare…

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Le discusse vestigia megalitiche di un popolo smarrito sul tetto della Siberia

Sfruttando le odierne pregresse archeologiche e gli ultimi ritrovamenti di resti risalenti alla Preistoria, possiamo dire oggi di conoscere piuttosto accuratamente il luogo d’origine, ed i progressivi movimenti, delle prime inquiete comunità umane. A partire dalla prima manifestazione dell’Homo sapiens, 200.000 anni fa in Africa e lungo l’itinerario successivo delle migrazioni indoeuropee, evento alle radici delle plurime culture da cui derivano entrambi i “mondi” attualmente riconosciuti: Oriente, Occidente. Ma se osserviamo la cronologia approvata per quanto concerne le regioni del Nuovo Mondo, il verticale continente americano, colonizzato circa 15.000 cicli a questa parte cominciando dal settentrione, appare particolarmente evidente l’attraversamento dell’Oceano tramite l’impiego di un perduto ponte di Terra, quello che il mondo accademico è solito chiamare Beringia (per il suo estendersi oltre lo stretto di Bering) ma che i teorici della storia alternativa, i cospirazionisti ed i cultori della teoria extraterrestre non esiterebbero a chiamare Atlantide, Mu o altri nomi strettamente interconnessi a popoli e culture che si affollano nella mitologia ereditata dai nostri antenati. Così appare chiaro il ruolo del più vasto spazio circondato da terre emerse, che oggi ha il nome di massa continentale eurasiatica, come luogo di transito per le popolazioni, cronologicamente corrispondente grosso modo all’epoca in cui le genti del sud-est si spingevano fino al remoto arcipelago indonesiano. Come parte di un viaggio altrettanto interconnesso a culture monolitiche e ipotetici imperi perduti, di cui la scienza non riesce a presentare un numero abbastanza grande di prove inconfutabili per farli figurare nei libri di storia. Non tutti sono coscienti, tuttavia, dell’alto ed inspiegato numero di siti religiosi, rituali e culturali ritrovati nei luoghi remoti della Russia, dove un clima in grado di oscillare fino a molte decine di gradi sotto lo zero avrebbe fatto sospettare l’assoluta invivibilità degli ambienti, almeno fino ad epoche più recenti. Luoghi come il labirinto di pietra della penisola di Kola, Oblast di Murmansk, oppure le triadi di pietra della montagna di Gorelaya, note fin dall’epoca tardo rinascimentale. Largamente sconosciute, d’altra parte, rimasero per un tempo assai più lungo le regioni nel più profondo entroterra della Siberia, dove le restrizioni ai viaggi imposte fin dall’inizio del secolo scorso impedirono alle spedizioni scientifiche di raccogliere dati, almeno fino all’inizio degli anni ’90, successivamente alla caduta dell’Unione Sovietica. Quando abbiamo i primi resoconti di un particolare sito ad est delle montagne di Altai, non troppo lontano dal confine della Mongolia, dove i resti di quella che potrebbe sembrare a pieno titolo un’antica e monumentale fortezza sorgono in corrispondenza di una cresta del paesaggio, comunemente identificata con il nome di Gornaya (monte) Shoria.
Qualcosa di letteralmente inusitato per un dato più di qualsiasi altro, come sarebbe diventato evidente attraverso i primi approcci e notazioni effettuate secondo le metodologie attuali: l’essere composto, in parte rilevante, da un accumulo di pietre in grado di raggiungere il peso unitario di 3.000 tonnellate: abbastanza da renderle, per larga misura, l’oggetto più pesante mai spostato dall’uomo in epoca pre-industriale. Alti e impressionanti macigni di granito sovrapposti l’uno all’altro, con una chiara suddivisione in entità separate ed angoli retti, proprio come fossero i mattoni di un’odierna costruzione in muratura. E spazi interstiziali a misura d’uomo, quasi fossero i residui di antichi archi e porte, mentre la caratteristica striatura di taluni elementi lascia sospettare l’utilizzo di specifici strumenti, dello stesso tipo di quelli usati a Kola e presso altre iterazioni della lunga migrazione ancestrale nella direzione dell’alba. Una significativa svolta nella percezione, nazionale ed internazionale, di questa significativa anomalia paesaggistica si sarebbe quindi verificata nel 2013, per la notizia ripubblicata su Internet dell’archeologo dell’Università della Florida John Jensen, corredata da una ricca serie di fotografie, di un sopralluogo del celebre scienziato di confine Georgy Sidorov di una recente spedizione verso la Siberia meridionale. Durante cui ebbe modo di verificarsi non soltanto l’importante (ri)scoperta di un simile mistero della Terra, ma anche il verificarsi di alcuni eventi inspiegabili e per così dire, sovrannaturali…

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