Il rischio spesso sottovalutato dell’albero di palma con gli aghi dentro

Frequentando certi spazi multimediali di Internet, diventa gradualmente più facile determinare la natura spettacolare o esorbitante di determinati contenuti online. Talvolta per la qualità delle immagini mostrate. Certe altre è l’argomento. O ancora può trattarsi del commento fuori campo dell’autore, coadiuvato da un’approfondita descrizione divulgativa in qualità di didascalia. Ma soltanto in rari casi è al termine della fruizione, durante la lettura dei commenti, che si riesce finalmente ad acquisire la portata nozionistica di quanto si è appena visto. Questa è senza dubbio l’opportunità che viene offerta dal qui presente capitolo dello sperimentatore gastronomico “All The Fruit”, viaggiatore tedesco operante sulla falsariga di tanti altri influencer a cui non manca il coraggio di trangugiare i più diversi frutti situati sopra i rami più alti degli alberi di questo vasto mondo. Sequenza videografica entro la quale egli osserva, descrive e infine tocca senza esitazione un albero facilmente riconoscibile come l’arecacea che gli anglofoni chiamano fishtail palm (palma a coda di pesce) ma nella natìa India ed il resto dell’Asia Meridionale viene definita molto più semplicemente khitul.
Un albero dal tronco distintamente isolato e le famose foglie sfrangiate, ma anche le copiose, attraenti cascate di frutti sferoidali simili a datteri multicolori o chicchi d’uva sovradimensionati. Che come preannunciato all’inizio della sua dichiarazione costui, almeno a quanto ci viene fatto capire, arriva addirittura a trangugiare. Al che “Sei pazzo?” scrivevano in calce al canale: “Come ti senti? Non hai dolore?” Ottenendo lì soltanto la laconica risposta: “Yes.” Un eufemismo se mai ce n’è stato uno, degno di essere approfonditamente delineato. Giacché pressoché chiunque abiti o abbia sperimentato quell’angolo di mondo per un tempo abbastanza lungo, ha ricevuto almeno una volta il perentorio avviso: non toccare, non avvicinarti senza guanti e soprattutto NON MANGIARE la palma khitul. Se non vuoi sperimentare un sublime livello di sofferenza che potremmo definire, in modo metaforico, la perfetta traduzione funzionale dell’inferno in Terra…

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La scultura fuori dal contesto che mostra la quarta dimensione facendo muovere il tesseratto

Seduto a gambe incrociate nella mezza posizione del loto, sollevo lievemente le mie palpebre al momento esatto in cui lo spaziotempo sembra essere piegato da una vibrazione transiente. Per molti giorni ho meditato, sopra l’arieggiata roccia del Karakorum, alla ricerca della logica ragione delle forme. Il profilo che ora scorgo dominare sulla valle sottostante mi dimostra, finalmente, che avevo una valida regione per farlo. I 32 spigoli ed i 16 angoli della suprema manifestazione appaiono traslucidi ed opalescenti, nello sforzo di permeare la membrana sull’ultimo confine del nostro affollato angolo del mondo. Per volere di una mente ferrea, ed il bisogno di scoprire l’ultima ragione delle cose, l’ultima barriera infine si divide. E con un’inaudibile boato, l’ipercubo è giunto. Ma l’Universo non riesce veramente a contenerlo. Esso esiste, eppure al tempo stesso sfugge in parte alla spaziale comprensione. Nessun aspetto della geometria divina esimersi dal continuare a farlo. Dunque con il movimento e la continua danza dei maestosi astri, l’insieme dardeggiante non potrà davvero porre fine alla sua rotazione persistente. Spinto da una forza che lo porta a ripiegarsi in modo ricorsivo su se stesso, ancora e ancora, dando luogo all’incessante nascita della sua stessa ombra. Con un profondo respiro, chiudo nuovamente gli occhi. Mentre la mia mente incorpora i concetti che conducono alla quarta dimensione dell’Esistenza.
È una visione per certi versi mistica ed in effetti quanto meno straniante, quella che aspetta i partecipanti al tour guidato del complesso Science Gateway presso l’istituto di ricerca del CERN di Ginevra. Dove tra le varie installazioni dedicate in modo esplicito a suscitare un interesse per la fisica nelle nuove generazioni, campeggia fin dall’inaugurazione del 2023 una scultura cinetica dall’aspetto e funzionamento straordinariamente particolari. Trattasi di Round About Four Dimensions, creata dagli artisti tedeschi Julius von Bismarck e Benjamin Maus, con la collaborazione tecnica del fornitore industriale CNC24. Molto più che un semplice cubo e al tempo stesso, qualcosa di diverso da un comune oggetto costruito sulla base di cognizioni logiche e immanenti. Trattandosi nei fatti della propria stessa evidenza, di una delle proiezioni matematicamente possibili di qualcosa di trascendente, ovvero l’ipotesi visuale, resa popolare per la prima volta dall’autore di fantascienza ante-litteram Charles Howard Hinton nel 1880 che l’aveva chiamata il tesseratto, della più basilare forma geometrica capace di coinvolgere un’ulteriore dimensione oltre alla terza. Immaginate dunque un punto immobile nell’infinito, che guadagni un suo compagno permettendo l’esistenza della linea. Che venga successivamente estrusa lungo il piano orizzontale, aggiungendo a quell’immagine mentale il concetto di un quadrato. Il quale sollevandosi verticalmente, darà origine al primo volume nell’insostanziale permanenza. Ed infine nella risultante comunione di elementi, la creazione risultanti inizi a estendersi verso una direzione ulteriore. Che non è l’interno né l’esterno, ma piuttosto entrambe le cose, lungo l’asse imperscrutabile del Tempo…

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Il mobile da ufficio creato sul finire della guerra per sbloccare il vasto potenziale della mente umana

Fu così che il paradigmatico ricercatore, una generazione dopo l’altra, poteva aggiungere Qualcosa ogni volta. E quel Qualcosa diventava, mediante l’espansione del corpus concettuale di riferimento, il fluido stesso che forniva l’energia e la direzione al Progresso, di ogni campo tecnologico o in diverso modo rilevante per l’accrescimento della società umana. Per questo si è soliti riassumere l’allegoria nella metafora: “Nani sulle spalle dei giganti”, in riferimento al margine oltre cui tendiamo a espanderci, lasciando incrementare le aspettative in merito ai minuti che siamo predestinati a trascorrere nell’orizzonte materiale degli eventi. Ma è duplice il significato della scelta di una tale direzione, verso l’alto e in contrapposizione con la forza gravitazionale, quasi ad alludere all’incrementale grado di difficoltà che non può fare a meno di presentarsi, una volta dopo l’altra, eternamente rinnovato per riuscire a oltrepassare tale vetta precedentemente acclarata. Ciò a causa della cosiddetta somma collettiva della conoscenza, l’idea non certo effimera secondo cui per produrre qualcosa di nuovo, occorre avere ben presente tutto ciò di pertinente che abbiamo visto fino al presente momento. E non basterebbe una vita, per leggere tutti quei libri… Così come non sarebbe bastata già dalla metà del secolo scorso.
Sulla base di questa preoccupazione il rinomato ingegnere nonché amministratore dell’OSRD (Ufficio della Ricerca e Sviluppo Scientifico) degli Stati Uniti, Vannevar Bush, dedicò parte dell’estate del 1945 alla preparazione di un saggio in larga parte speculativo, che i commentatori privi di fantasia e visione non avrebbero probabilmente esitato a definire come pura fantascienza. Il titolo, As We May Think (Come Potremmo Pensare) non lasciava d’altra parte trasparire il piece de résistance fondamentale, un meccanismo delineato in modo assai specifico, che in breve tempo a suo avviso avrebbe potuto scrivere il primo capitolo di un nuovo e maggiormente democratico sistema dell’Accademia. Il suo nome: Memex e l’aspetto, grossomodo riconducibile a quello di una grossa scrivania da ufficio. All’interno della quale egli immaginava, sostanzialmente, l’intero contenuto della biblioteca d’Alessandria e molto più di questo, grazie all’applicazione della tecnica innovativa per l’epoca della miniaturizzazione fotografica, o microfilm. Il dispositivo in questione, sostanzialmente un tipo di calcolatore elettromeccanico, avrebbe dunque permesso all’utilizzatore non soltanto di consultare in modo rapido l’intero contenuto e proiettarlo sui due “schermi” dal piano inclinato, ma anche inserire le proprie note e soprattutto creare una serie di collegamenti alfanumerici, al fine di collegare determinate pagine o volumi sulla base del proprio pensiero o del proprio settore di studio. Bush aveva descritto a parole, in altri termini, il primo esempio noto di un ipertesto e al tempo stesso un’enciclopedia che poteva essere creata o modificata sul momento grazie all’intervento del suo stesso possessore. Molto più di Internet e al tempo stesso, molto meno…

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Arlecchino nei sargassi, l’astuto micro-predatore del sommerso groviglio

La vita e la morte permeano l’immenso ammasso di vegetazione, che come una nube tempestosa viene trasportato su un tragitto non del tutto prevedibile dall’energia incessante della Terra. Progressivamente più massiccio, per l’accumulo di nitrogeno ed altre sostanze nutrienti, il tipico groviglio è condannato all’ultimo destino di finire, un giorno, ad arenarsi sulle coste di un continente. Ma prima di quel fatidico momento, in esso crescerà un ecosistema, l’intero avvicendarsi di creature progettate dall’evoluzione con il fine ultimo di trarre beneficio da quelle particolari circostanze: i neuston, gli organismi della superficie marina (e non solo) come cnidari, molluschi, isopodi e varie tipologie di vertebrati. Pesci, soprattutto, che trangugiano e riciclano, trasformando gli scarti biologici in prezioso concime del tappeto erboso. In mezzo ad essi, tuttavia, persiste una terribile leggenda. Del modo in cui nuotando in situazione d’assoluta tranquillità, senza nessun tipo di preavviso, la vegetazione può improvvisamente prendere vita. Avendo generato in una convergenza il piccolo e compatto nodulo bitorzoluto che costituisce l’incubo di quel mondo fluttuante. Capace di passare all’improvviso dall’immobilità ad un fervido balzo in avanti. Mentre le sue fauci giungono a serrarsi, con tutta la forza necessaria e non più di quella, per riuscire a trangugiare l’inconsapevole preda di turno. Possibile? Questo non è il funzionamento di una pianta carnivora. Né l’ambiente sommerso sembrerebbe aver prodotto, da un punto di vista evolutivo, molte varietà apprezzabili di tali occorrenze vegetative. Ecco allora che uno sguardo maggiormente attento, possibilmente quello di un sapiente paio di occhi umani, giunge a rivelare al raro esploratore l’effettiva verità dei fatti. La voracità in persona è un temibile carnivoro di questi ambienti. Ciò che il buon Linneo ebbe la cura di chiamare Histrio histrio, binomio tautologico in lingua latina che deriva dalla figura classica dell’istrio, intrattenitore o giullare dell’antica Roma e in seguito, l’arcaico modo di evocare l’archetipo del dissacrante Arlecchino. Creando a tal proposito un elenco delle primarie caratteristiche esteriori del pesce, raramente lungo più 20 cm, sarà difficile non riservare uno spazio preponderante alle sue molteplici frange e strisce multicolori, simili ed aventi una funzione paragonabile alla tipica livrea tigresca dei felini di superficie. Con la sublime e accattivante differenza di arrivare a rendere il profilo dell’animale stesso discontinuo e perciò difficile da collocare nel contesto. Uno strumento niente meno che essenziale, quando la cattura del bersaglio non presuppone alcun tipo di rincorsa ed inseguimento verso i margini ulteriori dell’orizzonte…

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