E fu così che il giorno lungamente atteso giunse come una cometa, attraversando la casella rilevante del calendario. Scie di fuoco e fiamme accompagnarono l’evento: “Il più noioso da generazioni! Tutta difesa, niente azioni lunghe e interessanti!” Dissero i più infervorati fan dell’una (Patriots) vincitrice e l’altra (Rams) ahimè, perdente. Mentre sul tradizionale e irrinunciabile show di metà partita, precedentemente interpretato da personaggi del calibro di Michael Jackson e Prince, gridavano le malelingue: “Adam Levine, ci hai fatto rimpiangere Lady Gaga! Riuscendo in più a deludere i firmatari della petizione per commemorare con la musica il defunto Hillenburg, l’autore di Spongebob” Di questi tempi non è mai saggio ignorare il popolo di Internet, poco ma sicuro. Così la gente inviperita, durante il più importante evento annuale dello sport statunitense, finiva l’altro giorno per guardare assai più lungamente in alto, interrogandosi su una questione per lo più collaterale ed eppure, a suo modo, estremamente accattivante. Se n’era del resto parlato molto nel corso dell’ultima settimana, il che poteva essere interpretato come un segnale positivo in merito alla capacità di una simile partita di Football di catturare l’attenzione popolare: “Aperto o chiuso? Aperto o chiuso? Riusciremo ad apprezzare lo splendido colore dell’azzurro cielo, mentre i giocatori eseguono le loro gesta nel servizio della sacrosante Finale” Risposta pessimista, no impossibile fa troppo freddo. Risposta ipotetica, si, speriamo i meteorologi abbiano ragione. Risposta a posteriori e basata sull’effettiva realtà dei fatti: in parte. Poiché esattamente 24 ore prima dell’inizio, l’ufficio stampa del geometricamente appariscente Mercedes-Benz Stadium della città di Atlanta, recente aggiunta al ricco carnet di attrazioni cittadine capace di contenere fino a 75.000 persone, si preoccupavano di annunciare che l’appariscente soffitto convertibile dell’edificio, manovrabile nel giro di 12 minuti in maniera esteriormente simile a un obiettivo di macchina fotografica, sarebbe stato chiuso solamente al risuonare del fischio d’inizio della partita. Restando invece aperto fino all’ultimo momento, permettendo agli spettatori di assistere al passaggio sulla verticale della squadriglia acrobatica con gli F-16 degli United States Air Force Thunderbirds. Il che assolveva essenzialmente a due obiettivi, entrambi egualmente importanti: utilizzare finalmente a pieno questa importante risorsa urbana costata 1,6 milioni di dollari, e mostrare al pubblico riunito l’ineccepibile scenografia offerta dalla sua caratteristica più particolare, parte dello spettacolo almeno quanto il complicato sistema di carrucole e pulegge che faceva emergere i gladiatori nel Colosseo dell’antica Roma.
Così allo zenit dell’aspettativa pubblica, ed il nadir dell’entusiasmo prossimo alla delusione, le dozzine di telecamere sono state puntate all’unisono in maniera obliqua, oltre l’anello del maxi-schermo a LED più grande al mondo (srotolato, sarebbe alto quanto la torre Eiffel) per riprendere il più accattivante esempio d’ingegneria al servizio dell’architettura, un gigantesco occhio che si chiude a comando. Ed almeno in quel momento, il più spontaneo applauso ha risuonato tra le moltitudini coinvolte in un momento che si percepiva essere storico, a suo modo…
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Gli spettacolari ombrelli giganti che proteggono la città di Medina
Quando il fondatore dell’Islam Maometto lasciò la Mecca nel 622 d.C, con i 75 mussulmani che l’avrebbero accompagnato nel viaggio a dorso di cammello noto come ègira fino alla città di Medina, l’ispirazione divina di cui era stato investito gli permise subito di capire come il passaggio successivo sarebbe stato costruire l’importante luogo di culto destinato a diventare Al-Masjid an-Nabawi (la Moschea del Profeta). Originariamente una piazza esposta alle intemperie delimitata da tronchi di palma, in un luogo precedentemente utilizzato come cimitero ed in parte per essiccare i datteri, essa dovette entro pochi anni venire ampliata e dotata di un tetto fatto con le foglie intrecciate assieme. Questo perché, con una temperatura media estiva in grado di raggiungere e superare i 40 gradi, la sua intera regione oggi appartenente all’Arabia Saudita non è propriamente tra le più adatte per soggiornare all’aperto, sopratutto mentre si compiono i lunghi e complessi riti opportuni per rendere omaggio ad Allah. Attraverso le generazioni questo importante punto di riferimento per l’intero mondo islamico quindi, iniziò ad essere considerato il secondo più santo dopo la Grande Moschea della Mecca che custodisce il nero edificio della kaʿba, in virtù del fatto che proprio qui venne sepolto Maometto stesso, nel luogo successivamente abbellito con la celebre cupola verde edificata in epoca più recente dal sultano ottomano Mahmud II (anno di costruzione: 1837). Ciò la rese una meta essenziale, per qualunque pellegrino che fosse degno di tale qualifica, aumentando esponenzialmente la quantità di persone pronte a raggiungerla al punto che la moschea, per quanto sottoposta a successive grande opere d’ampliamento, non avrebbe più potuto, semplicemente, riuscire a contenerle. Nonostante le migliori intenzioni, non c’era molto che si potesse fare in epoche precedenti alla nostra per impedire alle moltitudini di prostrarsi sulla pubblica piazza antistante, rischiando più d’un malore a causa delle temperature elevatissime dei suoi pavimenti ornati. Questo finché al re di epoca contemporanea Abdullah bin Abdulaziz Al Saud (in carica: 2005-2015) non venne l’essenziale idea di trovare una soluzione convocando alcuni dei più abili architetti e ingegneri a disposizione sotto la supervisione del tedesco Mahmoud Bodo Rasch, affinché progettassero la serie di 250 installazioni dall’alto grado di funzionalità note come ombrelli dell’Haram (Luogo Sacro).
Per chiunque visiti la prima volta questa importante capitale, quindi, sarebbe difficile sopravvalutare la vista inimmaginabile e quasi surreale di una simile pletora di strutture, individualmente alte 15,30 metri o 21,70 da chiusi, con un’area ombreggiata di esattamente 25 metri quadri. E complessivamente, la capacità di coprire tutti e 143.000 quelli occupati dalla vasta piazza, offrendo un’area climaticamente controllata e al sicuro dai malanni causati dal grande caldo, anche grazie a un sofisticato sistema di ventilatori con nebulizzatori d’acqua installati sulle loro colonne di sostegno. Con l’avvicinarsi della sera quindi, chiudendosi con una sequenza automatica per non urtarsi a vicenda, gli ombrelli lasciano salire il calore accumulato dal pavimento verso il distante cielo. Affinché il giorno successivo, ancora una volta, i pellegrini della Moschea possano condurre le loro attività nella sicurezza garantita da uno stato costante d’ombra e ragionevole refrigerio.
Lo spettacolo alieno di una scavatrice ragno
Nella sequenza culmine di una buona parte della cinematografia di genere catastrofista-fantascientifico, si assiste spesso al trionfo della professionalità acquisita: come in Armageddon di Michael Bay, che finisce per diventare un elogio del mestiere dei trivellatori petroliferi, o nella vicenda del pilota di caccia statunitensi Will Smith in Indipendence Day, che si dimostra perfettamente capace d’impugnare i controlli di un velivolo spaziale nel momento della suprema verità. Se pensiamo invece al più recente Pacific Rim d’altra parte, coi suoi robot giganti che affrontano la rielaborazione hollywoodiana dei kaiju (mostri giganti) provenienti dal Giappone, possiamo chiaramente ricordare le difficoltà incontrate dal protagonista e gli altri personaggi nel far muovere tali campioni ingegneristici del pianeta Terra.
Questo perché, per loro massima quanto evidente sfortuna, il regista Del Toro non ha pensato a includere nella storia il singolo mestiere moderno che richieda l’interfaccia più simile a quella di un meccanismo antropomorfo gigante: sto parlando, tanto per essere chiari, di coloro che si allenano ogni giorno nel mettere a frutto lo strumento di una Spinnenbagger (trad. italiana: scavatrice ragno). Quel tipo di dispositivo svizzero per definizione, o veicolo che dir si voglia, che una volta giunto sul posto in cui fare l’impiego della sua benna mobile, piuttosto che aspettare di essere scaricato dal camion di trasporto estende le “zampe” anteriori fino terra, mentre le altre vengono impiegate per spingere il grosso del suo peso fuori dal cassone di metallo. E che dinnanzi a un ripido pendio, invece che sfruttare la comune rotazione dei quattro pneumatici motorizzati, ne solleva un paio agevolmente per posizionarli un po’ più in alto, mentre si mantiene in equilibrio con il lungo braccio, quindi fa lo stesso con il retrotreno, avendo cura di allargare gli arti al fine di abbassare il proprio baricentro. Chiunque dovesse trovarsi ai comandi di una tipica Menzi Muck ad esempio, mezzo appartenente alla serie più famosa nel mercato di settore internazionale, esattamente come il personaggio folkloristico tedesco da cui prende il nome (il piccolo Muck) non si lascerà scoraggiare da alcun tipo di pendenza, voragine, pendio o ostacolo di altra natura, ben sapendo che una giusta combinazione di comandi impartiti attraverso la nutrita collezione di leve, pulsanti e joystick presenti nel suo abitacolo, può arrivare a dirimere qualsiasi tipo di questione.
Per quanto concerne l’origine remota di questi letterali fulmini del cantiere, d’altra parte, non possiamo fare a meno d’individuare un altro luogo comune derivante in via diretta dal mondo del fantastico: quello secondo cui i due principali rivali, o per meglio dire dopo il loro decesso in tarda età le aziende che hanno rispettivamente fondato negli anni ’60, erano un tempo amici e collaboratori, resi concorrenti dalla rispettiva visione sulla strada da intraprendere a partire dalla loro epocale collaborazione. Sto parlando di Edwin Ernst Menzi (1897-1984) e Joseph Kaiser (1928-1993) che secondo quanto riportato nel libro commemorativo del 2015 “Cento anni d’innovazione. Cento anni di KAISER” s’incontrarono per l’esigenza del secondo di un terreno presso la città svizzera di Widnau dove mettere alla prova la sua personale visione per un nuovo tipo di scavatrice, finendo quindi per collaborare ma soltanto nel perfezionarne i più minuti e secondari dettagli. Mentre per quanto riguarda l’altro lato della barricata, benché manchi un tipo di comunicazione aziendale storica altrettanto approfondita, si riesce a desumere dal boilerplate Menzi un’attribuzione non meno esclusiva al proprio fondatore dei meriti di partenza. Espletati tramite la dimostrazione al pubblico in svariate fiere della MUK 2000 (Menzi Und Kaiser) nel 1965, il primo mezzo semovente fornito di quattro zampe, benché il suo livello di comfort e praticità d’impiego venga oggi descritto come paragonabile “a quello di una cabina telefonica”. Ovviamente, c’è sempre spazio per migliorare.
Uomo inventa il più potente forno solare della Thailandia
Ogni giorno quel dannato autobus passava all’incrocio Kloom Sakae di Nong Sano, nella provincia di Phetchaburi. Dove Sila Sutharat, ormai da un lungo periodo di 20 anni, gestiva il più rinomato e amato chiosco locale per la vendita di polli cotti alla brace. Un mestiere sereno e onesto, per la maggior parte del tempo… Escluso l’attimo cruciale e reiterato, verso metà mattina, in cui il riflesso direzionato dal parabrezza del mezzo infernale si configurava nella maniera perfetta per incrociare la direzione naturale del suo sguardo, causandogli uno spiacevole quanto persistente senso di accecamento. In un primo esteso periodo, il cuoco di strada aveva tentato di evitare una simile esperienza, spostandosi in maniera preventiva per offrire la sua schiena al punto d’origine del problema. Ma ogni giorno l’autobus passava in un orario leggermente differente, ragione per cui egli finiva, sistematicamente, per lavorare in una posizione scomoda per dei periodi sempre più estesi, finendo per restare lo stesso colpito in un’ampia varietà di occasioni. Cento, mille volte dovette limitarsi a sfogare la propria frustrazione con imprecazioni sommesse o semplicemente immaginate, al fine di non disturbare i suoi clienti. Finché ad un certo punto, da questo Purgatorio delle cose semplici non ebbe l’occasione di formarsi un’idea: “E se io trovassi il modo di trasformare questa mia vulnerabilità in un punto di forza?” Come un lottatore di judo, che veicola la spinta del suo avversario in una presa da cui è impossibile fuggire; come Highlander, che decapita il nemico immortale perché “Dovrà restarne soltanto uno”; come Mega-Man, che assorbe il power-up lasciato dal potente boss al termine di un livello.
Con la ragionevole ed altrettanto pragmatica distinzione, tipica del mondo materiale, per cui l’espressione di una tale iniziativa tende a svolgersi dall’interno verso l’esterno, piuttosto che il contrario. Così lui, zaino in spalla, dev’essersi probabilmente recato presso un fornitore locale di cornici a giorno. E poi un vetraio, o forse essersi procurato presso qualche fabbrica delle grandi lastre a specchio, da tagliare con cautela in tanti pezzettini rettangolari. Unendo quindi le due cose, le ha montate su una complessa struttura di metallo parabolica non dissimile da quella usata in svariate possibili opere d’arte moderne. E sarebbe stato perdonato un qualsivoglia passante che, conoscendo il dramma quotidiano di quest’uomo sereno e onesto, avesse pensato che qualcosa di sinistro fosse scattato in lui, per costruire la più fedele corrispondenza asiatica del leggendario specchio ustore di Archimede usato durante l’assedio di Siracusa per bruciare le navi dei Romani (212 a.C.) e indossare una maschera da saldatore per proteggersi gli occhi da tutta la sua potenza spropositata. E pensa che efficacia avrebbe avuto quel riflettore, contro l’inconsapevole, incolpevole rappresentante del trasporto pubblico urbano! Se non che verso l’orario della presunta resa dei conti, con il Sole già ben alto in cielo, piuttosto che puntare l’arma impropria contro la strada Sutharat la orienta attentamente verso il punto che era stato, fin dall’inizio, al centro dei suoi pensieri: la griglia con il pollo da servire ai suoi clienti. Senza fuoco, senza inganno, poco alla volta la genialità del suo progetto appare più che mai evidente. Mentre un sottile fil di fumo, appena tratteggiato in questo giorno senza vento, inizia a sollevarsi dalla coscia di volatile succosa e palesemente cruda. Si ma ancora per QUANTO, sotto la possenza di un raggio artificiale capace di raggiungere superare abbondantemente i 300 gradi?